Cartesio


Non c'è nulla interamente in nostro potere,se non i nostri pensieri.
Cartesio

lunedì 24 novembre 2008

Le classi ponte

Le Classi ponte

Perché scandalizzarsi sulla formazione delle classi ponte? Chi opera nella scuola sa che sono necessarie. Non costituiscono una sorta di apartheid, come qualcuno, con scarsa buona fede, vuole fare intendere, ma una necessità. Il sistema scolastico aperto a tutti, anche a coloro che non presentano le minime conoscenze di base della lingua italiana, è semplicemente idiota. Ciò ha contribuito ad abbassare il livello della nostra scuola, soprattutto in riferimento alla scuola media e agli istituti di istruzione superiore di 2° grado. L’immissione tout court di alunni immigrati nelle classi, in particolare, per quanto riguarda la scuola media, spesso con metodi scriteriati, serve solo a fare raggiungere quei numeri che possano consentire al dirigente di giustificare la formazione di un certo numero di classi. Se la finalità potrebbe essere nobile, come il mantenimento del numero dei docenti o del personale ATA, oppure il mantenimento di introiti finanziari da parte del ministero e degli enti locali, senza i quali gran parte dell’attività scolastica ordinaria non potrebbe essere svolta, tuttavia, il fine, per quanto apprezzabile, non può prevalere sull’interesse generale, che è quello di dare all’utenza una scuola che funzioni, che educhi, che formi, che integri. La scuola non deve essere un contenitore di anime, ma un luogo in cui gli alunni crescono insieme, si complementano, si formano culturalmente e socialmente, si rispettano, si comprendono, si scambiano esperienze e tradizioni, litigano e solidarizzano. La scuola, come tale, deve essere di tutti, degli italiani e dei magrebini, degli slavi e dei cinesi, dei filippini e dei moldavi, purché parlino tutti la stessa lingua. E’ la lingua che dà il senso di appartenenza. Il processo di integrazione non può avvenire in un contesto in cui al posto di una sola lingua sussista il multilinguismo. La Babele linguistica favorisce il multiculturalismo con i suoi compartimenti stagni, isolati, non comunicanti. In un siffatto contesto, le incomprensioni sono, spesso, causa di risentimento verso l’altro. Il ragazzo immigrato percepisce la diversità come disagio e lo manifesta con il risentimento verso i compagni, ritenuti privilegiati e nei confronti dei quali si pone in costante atteggiamento conflittuale; verso gli insegnanti, i quali non prestano la dovuta attenzione alla sua diversità; verso le istituzioni, dalle quali non si sente tutelato; verso l’intera società, dalla quale si considera avversato ed escluso. La difficoltà di comprendere la nuova lingua è alla base dell’insuccesso scolastico e dell’abbandono degli studi, precludendone l’inserimento nel mondo del lavoro. Ciò è un peccato, poiché spesso i ragazzi immigrati, conoscono più lingue rispetto ai loro coetanei italiani, condizione questa, che in seguito, risulterebbe favorevole nel percorso di formazione e di inserimento nei processi produttivi. Cercare di spiegare il Teorema di Pitagora o i Teoremi di Euclide, fare capire la differenza tra i concetti di uguaglianza e di equivalenza, per fare qualche semplice esempio, a dei ragazzi, spesso di età più avanzata dei loro compagni di classe, inseriti per la prima volta in un contesto estraneo a loro, senza che sia dato ad essi la possibilità di apprendere i primi rudimenti della lingua italiana, è praticamente impossibile. Tali inserimenti risultano devastanti, dal punto di vista didattico – educativo, per tutti gli alunni della classe; risultano, inoltre, frustranti per gli insegnanti, aumentando in essi il senso di scoramento e facendo sentire inutile il loro lavoro. Ben vengano le classi ponte, anzi, dovrebbero essere gli stessi ragazzi immigrati , insieme alle loro famiglie, a richiederle, se si vuole una vera integrazione e acquisire una nuova cultura di appartenenza
Semmai, i problemi sono di natura economica. Con quali soldi e con quali insegnanti? Se l’intenzione è di dislocare nelle classi ponte personale in esubero, vedi insegnanti di sostegno, allora sarebbe meglio non farle. Una soluzione all’italiana, rabberciata, approssimata, lasciata all’improvvisazione e alla fantasia dei dirigenti, provocherebbe più disastri e peggiorerebbe la situazione scolastica rispetto a quella attuale. Poiché, la politica economica del governo è orientata sui tagli al sistema scolastico,anziché sull’incremento delle risorse finanziarie, tutta l’operazione sembra più un gioco dialettico che sostanziale Di tutto ciò, sarà ancora una volta, l’intero sistema scolastico a soffrirne. Ce lo possiamo permettere?

L.T

giovedì 20 novembre 2008

La gerontocrazia

Un Paese di Vegliardi

Siamo un paese governato da badanti; l’unico Paese al mondo dove se non sei ultrasettantenne non conti niente.

La scelta di Sergio Zavoli alla presidenza di Vigilanza della Rai, conferma la gerontopatìa che affligge l’Italia da oltre mezzo secolo. Siamo un paese governato da badanti gerovitalizzati e viagrizzati. Siamo l’unico Paese al mondo dove se non sei ultrasettantenne non conti niente. Vale per la politica, per l’economia, per il giornalismo, per la magistratura, per l’università, per la televisione. Altro che Paese della “Meglio Gioventù “. I vegliardi occupano qualsiasi spazio occupabile; essi non sono soggetti all’ invecchiamento, non sono biodegradabili; semmai, si espandono all’infinito, sono aeriformi, tendono ad occupare lo spazio e il tempo, lasciando agli altri, in mancanza di spazio, solo il tempo: il tempo dell’attesa, lungo, interminabile, lento. Occupano saldamente i posti di comando dei centri dove si esercita il potere: nella finanza e nelle grandi banche; nelle imprese, nelle istituzioni: Presidenza della Repubblica, Presidenza del Consiglio dei ministri, Corte Costituzionale, Corte dei Conti, Consiglio Superiore della Magistratura, nelle Università, nei laboratori di ricerca. Nella politica continuano ad esercitare, in maniera rilevante e determinante la loro influenza. Sono ossequiati e rispettati per la loro potenza. Sono soprattutto temuti. Nei paesi normali, i quaranta-cinquantenni sono i responsabili della politica di una nazione: Obama, Sarkozy, Gonzales, Merkel, Brown, Medvedev, Zapatero, Erdoğan Gyurcsány, Reinfeldt , Cowen, Karamanlís, Tymošenko, Fico. Superata tale soglia si è inevitabilmente out: vedi Clinton, Blair, tranne qualche eccezione. Da noi, la nazionale degli ultra settantenni continua instancabilmente a giocare la sua partita, giorno dopo giorno, sempre con gli stessi schemi, osservata da panchinari incapaci di scalzarli dai loro ruoli. I Fini, i Rutelli, i Veltroni, i D’Alema, i Franceschini, i Letta, i Casini, sono cinquantenni o giù di lì, depressi, rassegnati al ruolo di attori non protagonisti, a causa della loro scarsa attitudine a combattere, a soffrire, o forse per le loro inadeguate capacità. Da una parte i purosangue che non vogliono saperne di abbandonare la pista, dall’altra i brocchi con il fiato corto. E dietro, il vuoto assoluto, ” i bamboccioni”. E’ un Paese, l’Italia, incapace di un progetto politico,economico, sociale, a lungo termine, che veda nei giovani la speranza del presente proiettata nel futuro. E’ l’Italia dell’immobilismo e dell’annichilimento giovanile. E’ l’Italia del "quam minimum credula postero", del “ Carpe diem.”

L.T

martedì 18 novembre 2008

Eluana Englara


Monsignor Giuseppe Casale, ex arcivescovo di Foggia, ha rilasciato sul caso Eluana Englaro due interviste: a Il Messaggero e a L’Unità.Le riporto entrambe, anche se presentano qualche ripetizione.

da Il Messaggero 17 novembre 2008

Vescovo Casale:
«La sua vita non è piena, inutile accanirsi»

di Franca Giansoldati

CITTÀ DEL VATICANO (15 novembre) - Carità, comprensione, pietas. Sono parole che ripete più e più volte pensando a Eluana. Monsignor Giuseppe Casale, classe 1923, ex arcivescovo di Foggia è una voce fuori dal coro che, con coraggio, preferisce arrestarsi davanti al grande mistero della morte. Da pastore lui si rifiuta di dare giudizi, di emettere condanne. «Di fronte a questo grande mistero dovremmo avere tutti più rispetto e attenzione. Soprattutto lasciare la possibilità agli interessati di decidere in modo chiaro e sereno».

Dunque lei è favorevole al testamento biologico?
«Sì senza dubbio. Io sono per una vita piena. Nel caso di persone costrette allo stato vegetativo permanente, dico solo che ci si accanisce sulla vita. Eluana vive perché alimentata artificialmente. La sua è una vita ridotta al minimo, non è una vita piena, è vita vegetativa».

Ma è sempre vita.
«Mi interrogo e mi chiedo: davanti a casi simili si può parlare di vita umana, intesa come esistenza piena di relazioni? Noi sappiamo che esistono ammalati gravi, gravissimi, che al contrario possono interagire, farsi ascoltare, essere toccati, reagire, amare, avere sensibilità: ecco, questa per me è ancora vita, per il resto si può solo parlare di stato vegetativo. Posso capire, accostandomi con pietas cristiana, la decisione di un padre davanti ad una figlia in quello stato».

Lei contesta l’accanimento terapeutico?
«Io osservo solo che tutto questo chiasso, la solita battaglia tra guelfi e ghibellini, impedisce di fatto una riflessione serena, che in Italia sarebbe importante. E invece si litiga e alla fine, purtroppo, si perde di vista un aspetto importante: che l’alimentazione artificiale, come quella somministrata dai medici ai malati in stato vegetativo permanente, è una forma di accanimento, se la si toglie provoca la morte. Pertanto, forse, non si può più parlare di eutanasia. Penso che bisognerebbe definire al più presto il problema del testamento biologico, contenente le ultime volontà di vita».

Cosa direbbe al signor Englaro, se lo avesse davanti?
«Lo abbraccerei, gli farei arrivare la partecipazione con la quale, a distanza, l’ho accompagnato spiritualmente in questo calvario, da quando è iniziata la malattia della ragazza, sino al dramma successivo. Il mio augurio è che possano arrivare la pace e la serenità, sia per Eluana che per lui. Pregherò per loro».

Staccare l’alimentazione e l’idratazione non è eutanasia?
«In questo caso alimentazione e idratazione si possono parificare ad un accanimento terapeutico. E poi comunque, quando c’è un consenso alla base. Voglio dire che il padre sapeva bene che cosa avrebbe voluto la figlia medesima».

Lei ricorrerebbe a disposizioni ben precise nel caso dovesse trovarsi in condizioni analoghe a quelle di Eluana?
«Certamente. Per una persona che crede, e io credo in Dio onnipotente, la fine della vita non è “la fine” ma solo il passare da una condizione all’altra. Per un cristiano non è la morte totale. Se mi ritrovassi in una situazione analoga, non vorrei che mi alimentassero artificialmente con le macchine. Noi continuiamo a fare battaglie per la vita, come se la morte terrena fosse la fine della persona, e invece si schiude una esistenza nuova».

Decisamente controcorrente.
«Credo nell’immortalità dell’anima e nella resurrezione dei corpi. Non so cosa il Signore mi riserverà, ma non vorrei nessun accanimento. Spererei solo di avere accanto a me persone care, cui affidare parole di speranza, nella certezza che ci si rivedrà nel Signore. Noi continuiamo a fare un errore grossolano...».

Cioè?
«Vedere la morte e la malattia grave con l’occhio della tecnica, mentre dovremmo accostarci al nostro spegnimento come un passaggio, non dunque come un pericolo, una mannaia».

Intervista rilasciata all’Unità 16 novembre 2008

Monsignor Casale:

«La vita è relazione: basta accanirsi»
L'ex arcivescovo di Foggia ha le idee chiare:
«lo credo che nel caso di Eluana si debba lasciare agli interessati

libertà di decidere in modo sereno»

di Federica Fantozzi

«La vita è relazione, non un fatto biologico. Nel caso di Eluana si parla di stato vegetativo, e non è opportuno accanirsi». È l'opinione controcorrente di monsignor Giuseppe Casale, ex arcivescovo di Foggia. Che invita il Parlamento a esprimersi «con saggezza: una legge sul testamento biologico potrà evitare casi analoghi».

Il silenzio invocato da Beppino Englaro non è mai sceso. Anzi, si moltiplicano le pressioni per dissuadere il Friuli ad accogliere gli ultimi giorni di Eluana. Perché?
«Noi in Italia ragioniamo di alti problemi dimenticando le persone. Ci schieriamo in partiti come guelfi e ghibellini tralasciando di lavorare per soluzioni concrete. Così la politica diventa difesa aprioristica di punti di vista».

Fa eccezione il governatore friulano Tondo, che comprende il dolore della famiglia. Pur facendo parte di uno schieramento, il Pdl, contrario alla sentenza.
«È così, è vero. Il punto è che bisogna guardare la realtà di questa giovane da anni in una situazione difficile. E guardare la realtà del padre depositario della volontà da lei espressa in senso contrario all'accanimento terapeutico».

C'è chi mette in dubbio la volontà di Eluana: mancherebbe la «piena consapevolezza».
«Come si fa a dubitare di un padre che sembra persona seria e preoccupata? Come si può pensare che tiri in ballo una fandonia? Mi sembra così pregiudiziale tutto questo».

Secondo lei, le cure a Eluana configurano accanimento terapeutico?
«La questione di fondo è proprio se dopo tanti anni sia opportuno interrompere cure che sono un accanirsi sul corpo di una ragazza in coma irreversibile. Io credo di sì e che si debba lasciare agli interessati libertà di decidere in modo sereno».

Anche di interrompere l'alimentazione artificiale?
«La mia opinione è che la nutrizione forzata vada considerata come cura. Se non nella sostanza, almeno nella forma: viene erogata con tubicini, attraverso espedienti. È un'operazione non naturale ma collegata a interventi medici, solo grazie ai quali Eluana vive. Attardarsi dietro la distinzione tra terapia e alimentazione mi sembra, se non un sofisma, spaccare il capello in quattro».

Su questo sofisma presto dibatterà il Parlamento. Prevedibilmente, in modo aspro.
«Speriamo che ragioni con saggezza. Al di là degli scontri e delle posizioni precostituite. Servirebbe un sussulto di dignità perché una legge sul testamento biologico potrà impedire casi del genere».

Non solo la politica ha opinioni restrittive. Anche la Chiesa si è fatta sentire In modo pressante. Dalla Santa Sede alla Cei ai movimenti più oltranzisti.
«La Chiesa si sente di dover difendere grandi principi e la prima reazione è tenere fermo il cammino. Nella sua storia ci sono sempre stati due momenti: il primo per erigere una diga che fermasse riflessioni reputate pericolose per la vita sociale. Nel secondo momento sono arrivati riflessione e discernimento delle novità giuste da quelle sbagliate».

Significa che la Chiesa si aprirà sui temi bioetici?

«Faccio un esempio storico. Dopo Pio IX è arrivato Leone XIII con la Rerum Novarum. Di fronte ai grandi movimenti di opinione la Chiesa si è sempre comportata così».

Ha avuto contatti con il signor Engiaro?
«No. Studio, lavoro, prego. Spero che la cosa si risolva con serenità. Non è una battaglia di opinione: è la difesa di chi soffre».

Si spegnerà una vita?
«La vita è relazione, non un fatto biologico. In questi casi si parla di stato vegetativo. Quella di Eluana non è una vita piena, è ridotta al minimo».

Soffrirà?

«Secondo i medici non dovrebbe».


lunedì 17 novembre 2008

Eluana Englaro

Pubblico senza alcun commento l'editoriale di Mons. Andrea Gemma.Esso costituisce,comunque la si pensi,un motivo di profonda riflessione che non può lasciare indifferenti le nostre coscienze.

L’Editoriale di Monsignor Andrea Gemma -

Cara Eluana,

dopo l’ultima incredibile notizia che riguarda la tua situazione e si abbatte crudelmente su di te come una fredda sentenza di morte, dopo il tripudio quasi diabolico proveniente da qualche settore della cosiddetta opinione pubblica, preoccupata di salvaguardare “diritti civili” (!), vorrei gridare al mondo l’orrore che provo per una così palese ingiustizia nei tuoi confronti; mi rifugio, invece, ancora una volta, in un dolce colloquio con te, come una sorella d’anima e quasi come con una mansueta agnella condotta al macello incapace di aprire la sua bocca (sono le stesse parole che la profezia antica riserva a descrivere l’empia condanna a morte toccata al mio Redentore). Pensavo che dopo i rumori che ti hanno subissata nel tuo placido sonno, allorché si affacciò appena l’ipotesi dello spegnimento della tua vita ed una successiva più pacata riflessione, i tuoi aspiranti carnefici potessero aver ottenuto qualche resipiscenza. Per questo, come già ti dissi, elevavo la mia preghiera al Datore di vita perché confondesse le tragiche ed oscure manovre di morte che ti riguardavano. Non è stato così. Forse, nel disegno di quel Dio che “nutre gli uccelli dell’aria e veste i gigli del campo”, la tua vicenda può segnare una incontrovertibile testimonianza della iniquità che grava su questo povero mondo confuso. Tu, innocente creatura, forse non meriti di continuare a trovarti tra questa schiera di giustizieri e pseudo-difensori di cosiddetti diritti civili, e allora il Padre del cielo permette che ti raggiunga, quale ultima purificazione terrena, questa lunghissima agonia per portarti finalmente, quanto alla tua personalità spirituale, in quella celeste dimora che è regno di vita, di luce, di gioia. Quando colà sarai arrivata, avrò ancora qualcosa da chiederti, perché allora sarai una sicura interceditrice, non solo per chi ha paventato e tentato di scongiurare la tragica sorte che sta per colpirti, ma per coloro stessi che si proclamano autentici interpreti di una presunta tua volontà che in nessun modo può essere provata nelle condizioni tue attuali ed è solo una macabra scappatoia a cui sono ricorsi anche coloro che si arrogano il diritto di conoscere l’inconoscibile. Per chi avverte in sé quel seme di vita che Dio ha deposto nel nostro essere e in tutti gli esseri viventi, nessun umano ragionamento potrà sostituirsi a quell’impellente, indistruttibile anelito di vita che certamente fu ed è il tuo, Eluana carissima. Accosto ora l’orecchio al tuo petto e sento che il tuo cuore batte regolarmente come il mio; mi sfiora il viso, mentre mi chino su di te, il soffio del tuo alito: chi potrà essere così insensato e crudele da voler interrompere questi due segni di vita che non si vorrebbero estinguere anche in una piccola bestiola? Tu sei viva, me lo dice il tepore delle tue membra, me lo dice il battito periodico delle tue ciglia: chi sarà così crudele da voler porre fine a questa vita ricorrendo a pratiche di morte mascherate abilmente come operazioni di dignità e di decoro? Quanti corpi di fratelli ammalati e incapaci ho sfiorato con la mia mano sacerdotale per benedire e “adorare” quel “sacramento” che i più “piccoli” degli uomini rappresentano nei confronti del Cristo che in questi ha voluto essere amato e servito. Già! In tutta questa indecifrabile ed amara vicenda non ho sentito nessun riferimento al corpo piagato e dissanguato di quel Cristo che è salito sulla Croce perché il mondo fosse più buono, perché nel mistero della sua morte trionfasse la gloria immortale della vita.

Cara Eluana,

al sacrificio di Lui si aggiunge ora - e pare sia arrivato al suo epilogo - anche il tuo. Non maledire. Perdonaci, e se, come amo immaginare, i miei pensieri e la mia carezza per vie misteriose potranno raggiungerti, consolino la tua lunga agonia che gli uomini indegni e degradati ti preparano sotto la luce di conniventi riflettori e ti introducano finalmente e soavemente nella vita senza fine. Ci rivedremo lassù.

http://www.papanews.it/news.asp?IdNews=10416









venerdì 14 novembre 2008

Lo Sbarazzo

Lo sbarazzo

Il possesso e l’utilizzo di immobili di un certo pregio e di indubbia utilità sembra apportare prurito all’attuale amministrazione, per cui è meglio sbarazzarsene.

Premetto che non ho pregiudizio alcuno sui politici, avendo anch’io fatto politica all’interno della D.C e poi nel P.P.I. fino a qualche anno fa. E non dirò le solite frasi di circostanza come:“ ai miei tempi la politica era un’altra cosa“.Le banalità le dicano gli altri. Cercare di conoscere e comprendere le motivazioni che spingono gli uomini a farsi carico di certe scelte che possono avere conseguenze rilevanti per gli interessi della collettività, è, però, nelle prerogative del cittadino, elettore e amministrato nello stesso tempo Quando si ricoprono cariche di responsabilità amministrative, e dall’esercizio di queste possono derivarne sviluppi negativi che investono il futuro della Città, ci si aspetterebbe una maggiore ponderatezza nelle decisioni, per non mandare tutto in malora, come si usa dire dalle nostre parti. Inizia l’allora Vicesindaco Giampiero Giacalone, il quale, con un atto pubblico ufficializza,impegnando l’ Amministrazione, quello che il Sindaco Macaddino, aveva, credo con un certo imbarazzo, promesso al comitato pro Liceo: “adottare ogni provvedimento utile a garantire il rientro del Liceo Classico presso la sua sede storica dell’ex Collegio dei Gesuiti.” Non voglio addentrarmi sulla legittimità dell’atto, vi ritorneremo al momento opportuno, tenuto conto che gran parte del mondo della cultura della Città, a suo tempo, ha espresso la netta contrarietà al ritorno del Liceo Classico nella sede nobile del Collegio dei Gesuiti.
Vedi:
http://mazaracult.blogspot.com/2008/01/come-si-costruisce-un-paradosso.html.
Si prosegue con il Sindaco, sarei felice di essere smentito, il quale assegna, a titolo gratuito, alla “Belice Ambiente spa”ATO TP2 l’intero immobile dell’ ex “Istituto Santa Agnese“ di proprietà comunale, affinché ne diventi la nuova sede. Tutto ciò senza beneficio alcuno per la collettività. Il possesso e l’utilizzo di immobili di un certo pregio e di indubbia utilità sembra apportare prurito all’attuale amministrazione, per cui è meglio sbarazzarsene Non si discute la legittimità della cessione, ma ciò appare quanto meno inopportuna, soprattutto quando il Comune è costretto ad affittare locali da privati, gravando sul bilancio della collettività per qualche centinaio di migliaia di euro. Vedi gli esosi affitti pagati per allocare l’Ufficio Anagrafe, gli uffici della P.I e BB .CC, la Biblioteca Comunale, l’Archivio Storico,l’Ufficio Tributi. L’allocazione di tali Uffici in immobili di proprietà comunali come l’ “ex IPAB S. Agnese, l’Istituto S. Carlo, l’ex Chiesa di S. Bartolomeo, ”S. Francesco” rivitalizzerebbe e rivalorizzerebbe il centro storico. Se ne avvantaggerebbe il bilancio comunale in modo non indifferente, e le risorse economiche risparmiate potrebbero essere investite in serie attività culturali, finora disattese. Sarebbe una scelta virtuosa e costituirebbe un volano per il rilancio economico legato soprattutto allo sviluppo turistico e culturale. La saggezza impone di riflettere e di rimediare al danno fatto all’intera collettività. La democrazia implica una reversibilità di ogni decisione. Le soluzioni definitive ai problemi,quelle che non consentono ripensamenti o aggiustamenti sono propri dei regimi dove vi è una unica e ferma giustizia e una unica e ferma verità . La democrazia invece è dialogica e aperta; la strada per dire “ ci siamo sbagliati” deve restare sempre aperta.

mercoledì 12 novembre 2008

Mazara tra leggenda e realtà: mostri marini

Pesci

Nell’anno 1734 nel litorale di Mazara,e nel giorno di S.Andrea, per una gran tempesta arenarono dodici smisurati pesci,sei de’ quali erano maschi, e sei femmine,ognuna di queste con mammelle binche, e capezzolo rosso. Il colore, e pelle di tali pesci, era simile al pesce gronco. Era la loro lunghezza di palmi settantadue e la circonferenza di palmi quaranta. Eran di straordinaria grassezza, onde venivano circondati di lardo all’altezza di un palmo, che liquefatto in forma d’olio,e manteca, adoperato nelle candele ardeva bene, con chiarissimo lume, senza cattivo odore; e fu sperimentato giovevole per le ferite, e piaghe. La maggior pinguedine era nella testa, in niente dissimile allo spermaceti, anche nell’odore. Il muso era così denzo nel suo callone, che cedeano alla sua durezza il fuoco,e le mannaje. Le coste erano bianche di grossezza oncie quattro. La carne era tanto rossa, che dava nel nero: e assaggiata da molti, la ritrovarono di buon gusto, ma si sperimentarono più gustose le frittole tra le minestre verdi. I denti eran solo nella parte di sotto; ma vacanti più della metà: e i maggiori alla misura di una spola di tessitore. D’uno di questi pesci si conservano nel Museo del Collegio di Palermo le costole, due ossi delle mascelle, e la mascella di sotto.

( da La Sicilia ricercata di Antonino Mongitore )

domenica 9 novembre 2008

Dialogo tra Cristiani e Musulmani

Cristiani e musulmani

''Il seminario cattolico-musulmano il cui tema è stato "Amore di Dio, amore del prossimo". che si e' svolto a Roma dal 4 al 6 novembre 2008 e' un passo avanti significativo nel dialogo'' è la dichiarazione di padre Lombardi. Per gli osservatori più attenti, lo scetticismo rimane. In attesa di potere conoscere i vari interventi, il documento conclusivo è già noto ( L'Osservatore Romano - 7 novembre 2008), ritengo utile pubblicare la relazione di + Maroun Lahham, Vescovo di Tunisi, nella conferenza tenuta a Mazara il 3/10/2007, per capire sia i punti di convergenza ma anche quelli di divergenza tra cristiani e musulmani. Rappresenta un punto di vista sincero,sebbene in un contesto musulmano sicuramente non fondamentalista, quale è la Tunisia, ma non per questo meno interessante.

Cristiani e musulmani

Quale possibile condivisione?

Bella domanda, ottimista e piena di speranza. Lo dico perché l’aria che si respira normalmente quando si parla di cristiani e di musulmani è meno sana, meno pura e certamente meno portata alla condivisione.

Pongo qualche interrogativo a proposito dell’uso del termine “condivisione”. La condivisione suppone una situazione tranquilla dove due parti mettono in comune le loro ricchezze e le condividono. Questo implica, quando si parla dell’Islam in Europa, un certo livello d’integrazione sociale, la presenza di una certa mentalità pluralistica, nonché di contatti sereni e regolari, presi in modo onesto e civile, e tali da rendere possibile un incontro ricco e arricchente, un’accettazione e un rispetto dell’altro così com’è, tutte cose che spero si stiano realizzando nella società italiana, o almeno a Mazara del Vallo. So che da parte cristiana il passo può essere fatto più facilmente per ovvi motivi, spero che lo stesso valga da parte dell’Islam europeo.

Penso che il primo passo verso una possibile condivisione con l’Islam, e che ritengo possibile, sia il dialogo. Parlo di un dialogo islamo cristiano realizzato in Europa, con le sue regole, il suo linguaggio, i suoi fini, i suoi interlocutori specifici. Lo dico perchè mi risulta chiaro che un dialogo fra cristiani e musulmani in un paese a maggioranza cristiana è molto diverso da un dialogo fra cristiani e musulmani in un paese a maggioranza musulmana.

Condivisione, dialogo, si. Ma già prima dei due, l’incontro.

Incontrare l’altro diverso vuol dire scoprire la sua presenza. L’incontro non è una semplice giustapposizione, ma un movimento vero verso l’altro, un rapporto nel quale avviene, si realizza qualche cosa. Spesso questo inizia con la scoperta dell’ignoranza in cui ci si trova nei confronti dell’altro – a livello personale -, a volte dopo anni di coesistenza materiale e passiva. Lo shock di questa scoperta può essere allora l’inizio di un incontro. L’incontro fra comunità o gruppi è molto più complesso perchè la libertà di movimento di un gruppo è ancora più limitata rispetto a quella di un individuo. I gruppi difficilmente si muovono in massa. Essi hanno bisogno di animatori o di pionieri.(*) Anche se è auspicabile che simili pionieri si trovino da ambedue le parti, spesso è necessario accettare che le iniziative siano a senso unico, almeno all’inizio. È tutta la problematica della reciprocità di cui si parla tanto oggi. (*)- (mediatori culturali)

Il dialogo autentico è frutto dell’incontro. Il dialogo è un incontro che si fa parola. Ci sono incontri che non sbocciano sulla parola, perchè non sentono il bisogno di essere verbalizzati o esplicitati. È un dialogo vero ma implicito. È il caso in molti dialoghi fra cristiani e musulmani nel mondo arabo. È una specie di modus vivendi ereditato da lunghi secoli che permette di “vivere insieme” senza un dialogo esplicito e profondo. Similmente, molti musulmani “europei” – o che vivono in Europa – esitano davanti al dialogo, chiedendosi quali possano essere le motivazioni che spingono oggi tanti occidentali a proporlo. Alcuni affermano: “Quando gli occidentali avevano il potere (cioè all’epoca coloniale) non parlavano di dialogo”. Bisogna anche dire che il Vaticano II non fa parte del cursus storico e teologico dell’Islam. Altri temono addirittura che il dialogo sia l’ultimo mezzo utilizzato per “averli”, nel senso di ingannarli.

Detto questo, possiamo dire che c’è un dialogo vero, basato su un vero incontro. Parlando dell’Italia, bisogna insistere sul fatto che i due interlocutori dispongano delle stesse possibilità e delle stesse capacità di esprimersi, altrimenti la relazione si troverà bloccata a causa della sproporzione dei mezzi e dalla disuguaglianza culturale. Più arriveremo a prendere coscienza di questa realtà, più saremo capaci di creare ponti, di fare passi verso l’altro che ci permettano un dialogo vero.

Incontro, dialogo, condivisione: affrontare insieme le sfide comuni

La principale sfida comune è quella di costruire insieme una società umana in cui ciascuno possa vivere nella dignità e nella libertà e così incontrare l’altro in una certa uguaglianza e in una verità di rapporti. Si tratta dell’accettazione dell’altro così come è, senza violenza né disprezzo, e senza dover nascondere la differenza. Questo dovrebbe permettere di scoprire che le diverse appartenenze religiose e culturali possono essere complementari anziché contraddittorie.

Questo atteggiamento richiede evidentemente un’educazione ai valori che sono alla base del vero incontro e soprattutto al significato dell’alterità. È qui che le scuole e l’educazione mista religiosa e culturale possono essere veri e propri laboratori per la convivenza, a condizione che esse abbiano un adeguato accompagnamento, senza il quale rischiano di diventare luoghi di violenza. Una simile educazione presuppone il fatto di non limitarsi ad un discorso teorico e deve implicare una grande attenzione per gli aspetti affettivi e sociali.

Principi e regole dell’incontro-dialogo-condivisione

Una condivisione positiva e un dialogo costruttivo presuppongono alcuni elementi, in mancanza dei quali ci si può aspettare un fallimento.

Libertà interiore. La libertà interiore, cioè spirituale, permette di superare gli aspetti passionali che l’incontro/dialogo può presentare. Capita spesso di essere davanti ad una simpatia appassionata, senza sfumature o discernimento, o davanti un senso di un forte rifiuto che non riconosce alcun bene negli altri. Per arrivare a questa libertà interiore, occorre operare una guarigione della memoria sia a livello personale sia collettivo, recente o passato (crociate, guerre, conflitti attuali…). La libertà spirituale diventa nello stesso tempo fonte e frutto di questa guarigione della memoria. Essa permette uno sguardo libero verso l’altro, apre il cuore per sapervi accogliere l’altro che lo ha ferito. Attenzione però a non cadere nella ingenuità. Portare uno sguardo libero e positivo sull’altro non impedisce di vedere gli errori, i difetti, gli sbagli e gli atteggiamenti cattivi, ma ci fa sempre accettare la persona dell’altro, anche quando non possiamo giustificare e accettare le sue azioni.

La conoscenza dell’Islam. Una prima conoscenza riguarda le istituzioni, la storia, il dogma, la realtà socio-politica. Questa conoscenza è importante per cogliere il significato delle parole utilizzate dall’interlocutore musulmano e la base del suo pensiero; infatti ogni uomo è segnato, molto più di quanto pensiamo, dal sistema religioso, culturale o ideologico dal quale ha ereditato e nel quale è stato educato. Una seconda conoscenza riguarda i rapporti personali approfonditi con i musulmani. Senza questi contatti, il dialogo e la condivisione rimangono astratti. La relazione personale permette di scoprire la fede religiosa nel vissuto di persone concrete. Tale scoperta può creare una vera condivisione, o addirittura una comunione vissuta nella differenza.

Comprendere il contesto culturale e sociale. Abbiamo parlato dell’importanza di situare i fenomeni religiosi in un contesto più inglobante, e di non isolare la religione dal contesto della vita. Ciò implica una attenzione al substrato culturale. Spesso è difficile distinguere fra il risultato di una cultura o di una religione (ruolo della donna, libertà personali…) Ed è in questo senso che si può parlare di una pluralità di Islam, anche all’interno di una stessa società musulmana. Un punto importante da tener presente nei rapporti fra cristiani e musulmani è l’impatto della disuguaglianza culturale e/o economica sul dialogo, con i “complessi” che ne derivano. In effetti, nel diritto musulmano (Fiqh) manca ancora una elaborazione giuridica della situazione della comunità musulmana in condizione minoritaria o di non governo. Un’altra diversità di Islam esiste anche secondo quello che viene vissuto dall’interlocutore; un Islam ideologia che porta facilmente a una certa chiusura o rigidità, o un Islam fede con una vera apertura a Dio e quindi all’altro.

Superare il doppio linguaggio. Una condizione di verità per il dialogo e la condivisione è l’impegno a superare il doppio linguaggio, il politically correct. Capita spesso di tenere un discorso sincero regolato sul registro delle relazioni sociali, manifestando interesse per i buoni rapporti di vicinato e stima per i vicini fedeli di un’altra religione. Nello stesso tempo, esiste un altro discorso - non meno sincero - regolato sul registro dogmatico, secondo il quale gli altri sono condannati all’inferno. Saper arrivare a una vera onestà richiede sempre uno sforzo di lucidità. Liberarsi della tentazione del doppio linguaggio richiede maturità, coraggio e perseveranza. In questo cammino saranno importanti incontri personali veri, anche se non sono mezzi magici.

Che senso ha il dialogo/condivisione? Per evitare gravi malintesi e dolorose delusioni, è necessario sapere stabilire una certa intesa preliminare sul significato della condivisione, anche implicitamente. È necessario sapere perché si intraprende il dialogo, che cosa ci si aspetta, quali sono gli scopi che ci si prefigge, quali sono le sue possibilità ma anche i suoi limiti, quali sono le soluzioni in caso di vicoli ciechi o di fallimenti. Un accordo su tutti questi aspetti è lungi dall’essere scontato. Ripetiamo che il dialogo/condivisione ha il dovere di rispettare le differenze irriducibili fra religioni.

Dialogo di testimonianza. Islam e Cristianesimo sono due religioni universaliste. Si rivolgono all’uomo in quanto tale e quindi a tutti gli uomini. Qui bisogna rinunciare al dialogo/condivisione come proselitismo, ovvero propaganda, e insistere sul dovere dell’apostolato inteso come testimonianza. Per sanare il dialogo e preservarlo da ogni sospetto o diffidenza, è necessario liberarlo dalle strumentalizzazioni. Scopo del dialogo è comprendere a fondo la fede dell’altro, rispettando le differenze senza volerle abolire. A livello della fede, questa condivisione non può essere altro che un dialogo di pura testimonianza. Spogliato dai suoi difetti, il dialogo può diventare una sana emulazione nella via di Dio e a servizio della pace e degli uomini.

Scelta degli interlocutori. Un altro elemento importante per un dialogo giusto è la scelta degli interlocutori. È essenziale scegliere bene il partner del dialogo. È necessario non favorire troppo una certa categoria né trascurarne un’altra. Come cristiani dobbiamo cercare di avere, per quanto possibile, un dialogo con vari tipi di Islam. Certamente esiste il pericolo di scegliere “gli interlocutori che ci convengono”. Un’altra tentazione per un dialogo “facile” è cercare, da ambedue le parti, interlocutori poco convinti della propria fede. Simile dialogo non serve.

Accettare di essere messi in discussione. Accettare di essere messi in discussione, senza paura o complessi, in spirito di verità. Ciò non vuol dire necessariamente che la messa in discussione sia giustificata, ma in ogni caso bisogna saperla accettare. Infatti, questo fa parte della libertà interiore ed è questa libertà che permetterà di rispondere senza scatti e in modo da sapersi mettere al posto dell’altro. La preoccupazione per la verità nei rapporti fa parte dell’amore alla verità, e la verità in fin dei conti non è una cosa ma “qualcuno”: Dio stesso, è Dio che è Verità. D’altra parte le verità coinvolte nel dialogo non sono verità astratte, ma la verità è nelle relazioni; in questo, il contrario della verità non è un semplice errore, ma la menzogna, la falsità, l’inganno.

Riconoscere l’alterità. È un’esigenza necessaria per qualsiasi dialogo o condivisione, ed è implicita in tutto quello che abbiamo detto. Bisogna cercare, da entrambe le parti, di arrivare ad un senso reale di alterità. Sembra facile farlo da parte cristiana, ma non lo è da parte musulmana. L’Islam considera il Cristianesimo come una parte dell’Islam, una preparazione all’Islam. Bisogna che l’Islam riconosca che il Cristianesimo è altra cosa rispetto all’Islam. Il modo musulmano di credere in Gesù Cristo non è per niente il modo cristiano. Accettare l’alterità non impedisce però di rallegrarsi di molti terreni di incontro né di porre domande di fronte a posizioni che possono creare problemi.

Conclusione

Vorrei concludere con qualche considerazione su un dialogo o una condivisione a livello teologico. È possibile? Alcuni lo credono ed altri lo rifiutano con decisione. Credo che una certa condivisione a livello teologico sia possibile, a condizione di saper bene ciò che questo può voler dire e che gli interlocutori siano ben attrezzati per intraprenderlo. Parlo di una capacità di oggettività, di essere in grado di prendere una certa libertà rispetto ai propri punti di vista, una conoscenza profonda della propria religione e abbastanza elasticità di spirito per comprendere un punto di vista diverso.

Per quanto riguarda il contenuto di una possibile condivisione teologica, il primo scopo è uno sforzo per conoscersi meglio a livello della fede religiosa. Altri terreni di condivisione possono essere la preghiera, la fede vissuta nella vita concreta, la lotta per la giustizia, prima di tutto a favore dei poveri e dei piccoli, il distacco dagli idoli moderni (denaro, potere, godimento), le esigenze dello sviluppo umano. Un ambito particolarmente fecondo può essere quello dell’etica, per non parlare del grande tema della mistica musulmana, equivalente alla teologia spirituale cristiana.

Torno al titolo: è possibile una condivisione con l’Islam? Si, è possibile per chi crede nella grazia di Dio e nella bontà di fondo dell’essere umano.

+ Maroun Lahham

sabato 8 novembre 2008

Il bello della Democrazia


Il Dubbio

“Ciao, Chicago!

Se là fuori c'è ancora qualcuno che dubita che l'America sia un luogo dove tutto è possibile, che ancora si chiede se il sogno dei nostri Fondatori sia vivo nella nostra epoca, che ancora mette in dubbio la forza della nostra democrazia, questa notte è la vostra risposta. Gli americani hanno inviato al mondo il messaggio che noi non siamo mai stati semplicemente un insieme di individui o un insieme di Stati rossi [Repubblicani] e Stati blu [Democratici]: noi siamo e saremo sempre gli Stati Uniti d'America”.( Barak Obama) Noi non abbiamo mai dubitato che un uomo di colore (abbronzato ) potesse diventare Presidente degli Stati uniti d’America. Abbiamo però dubitato che in Italia anche gli imbecilli potessero diventare Presidente Del Consiglio. Di ciò chiediamo scusa.

L.T


mercoledì 5 novembre 2008

Le nuove feste

Halloween.

Ma chi minchia sta succidenno nna stu’ paisi? Puru pri li morti ‘sti carnivalati?”Lo zio Ascenzio non aveva grande proprietà di linguaggio; il suo era colorito e spontaneo.Più dello stupore egli esprimeva il fastidio per quella scena che si presentava davanti agli occhi nell’altro lato del marciapiedi. Lo zio Ascenzio apparteneva all’altro secolo con i suoi 80 anni appena compiuti.Quel gruppo di ragazzini,mascherati da streghe,zombi,vampiri, accompagnati da giovani mamme compiacenti,che indossavano attillati jeans a vita bassa e top succinti, non passava inosservato.Lo sguardo dello zio Ascenzio fu attirato, anche, dall’ombelico in bella mostra di qualche giovane mamma.”Capisco che c’è ancora cavuru:ma caspita! Ma chi vuliti da‘sti picciriddi quannu li matri sunnu accussì?”Ha ragione lo zio Ascenzio; che si vuole dai ragazzini quando a trasmettere certi valori sono cotanto genitori con la complicità di qualche maestrina? Non mi riferisco all’abbigliamento. Questa società é sulla via di perdere qualsiasi punto di riferimento. Pietre miliari della nostra tradizione e della nostra cultura antropologica vengono lentamente frantumate, soppiantate da manifestazioni apparentemente allegre, commiste a nuove credenze,stravaganti riti, e alla festa più pagana e anticattolica che si possa immaginare: Halloween. ”Troppo spesso la morte e l’aldilà sono soggette a credenze superstiziose e a sincretismi perchè la verità cristiana non rischi di mischiarsi con mitologie di vario genere”.E’ l’allarme accorato di Papa Benedetto XVI nel giorno in cui ricorre la festa di tutti i morti, dinanzi all’imperversare di inquietanti manifestazioni che “allontanano i giovani dalle tradizioni e segnano nuovi stili di vita e comportamenti dissacratori.” Qualcosa bisogna fare incominciando dalla scuola primaria. In classe,ma non solo ,si ricominci a parlare della festa dei morti, della tradizione dei pupi di zucchero e della frutta martorana che le anime dei defunti fanno trovare ai bambini dopo averli nascosto negli angoli piu remoti della casa.Così come i morti si ricordano dei vivi,i vivi non dimentichino i morti.

Armi santi,armi santi,

iu sugnu unu e vuatri sìti tanti:

Mentri sugnu ‘ntra stu munnu di guai

Cosi di morti mittitiminni assai.

Le mamme facciano uno sforzo intellettuale,se ne è rimasto di intelletto:ritornino bambine; ritornino dalle loro nonne a rivivere le tradizioni troppo presto dimenticate, e poi le trasmettano ai loro figli. Le mamme e le maestre lascino stare le feste e le credenze Celtiche con le loro leggende e con i loro rituali:li mandino “a fare in culo”assieme “all’Isola dei Famosi,”alla Talpa,ai Tronisti, alle Veline”;soprattutto mandino “a fare in culo“Halloween e il suo Trick or treat”.

L.T

lunedì 3 novembre 2008

Mazara tra leggenda e realtà

Vincenzio Antonio Catinella ( Saltalevite )

Vincenzio Antonio Catinella,mazzarese,detto poi per soprannome Saltalevite:nacque egli a’ quattro aprile del 1675 di bassi natali. Avanzato negli anni divenne astuto,e malvagio;di cuore intrepido,e di ammirabile agilità, e soprattutto fu dotato di straordinaria forza. Ancora garzone,per non so quale delitto,fu seguito dal padre,risoluto di castigarlo:ma egli per sfuggire il suo sdegno,si diede a correre,ma gli fu dietro il padre fino alle mura della città;ivi l’ardito Vincenzio vedendo non restargli luogo allo scampo,con gagliardo salto,gittossi giù delle mura,che erano ben alte. Restò attonito al temerario eccesso il padre,e credea per la caduta fosse restato morto,e smembrato,o almeno in terra storpio:ma affacciatosi dal muro videlo con suo stupore,che velocemente correva. Si applicò a fare il manuale,e in tale impiego mostrò rari prodigi di agilità,e fortezza. Saliva con mirabil prestezza per le funi, e per le travi,e con la stessa scendeva;saltava da uno ad altro ponte in altezza spaventevole,e in molta distanza,e con tale agevolezza,che a quei,che con istupore lo vedeano,parea,che volasse. Per ostentare la sua meravigliosa fortezza, nel salire per le scale de’ palagj, ove era in esercizio di fabbrica,caricatasi su gli omeri,i somari con tutta la soma,che portavano:e accadde una volta,che un di quei giumenti sollevato in alto proruppe a fortemente ragliare con riso de circostanti. Alzava da terra colla sola bocca cosa,che passava presso a cento libbre per ordinario portava sopra una spalla tre gran mezzane piene d’acqua legate insieme Ma abusandosi egli delle doti naturali,si diede alle ruberie,e divenne assassino: e poicchè entrò sacrilegamente co’ suoi compagni di notte entro il monastero di S.Michele di Mazara di Monache Benedettine,per rubare. Presa poi la fuga fuori del Regno,e arrestato,fu trasferito in Palermo ove sulle forche pagò la dovuta pena alle sue iniquità.

( da La Sicilia Ricercata nelle cose più memorabili “ di Antonino Mongitore )