Cartesio


Non c'è nulla interamente in nostro potere,se non i nostri pensieri.
Cartesio

domenica 22 marzo 2015

SOTTOMISSIONE



Confesso che ero impaziente di leggere l’edizione italiana del libro di Michel Houellebecq Soumission, uscito finalmente per tipi della Bompiani  con il titolo Sottomissione.
Subito il pensiero corre, inevitabilmente, dopo i fatti di Charlie Hebdo, al breve cortometraggio di Theo Van Gogh Submission, per il quale il regista olandese fu assassinato per mano di un fanatico islamista.
In Sottomissione sin dalle prime pagine aleggia la rassegnazione all’ineluttabilità nichilista  di sottomettersi , incondizionatamente, al potere nelle sue varie forme, culturale, politica, finanziaria, etica , senza alcuna  voglia di reagire, di riconsiderare i valori di appartenenza.
È in questo romanzo non romanzo, in questo racconto di vita, la totale sconfitta di quei valori  una volta definiti non negoziabili. È anche un grido di allarme di quel che si ha paura di comunicare, anche con un semplice accenno o accademiche ipotesi, di  quelle proiezioni statistiche e sociologiche su come la nostra società secolarizzata e laica si avvierebbe ad essere islamizzata attraverso quegli stessi meccanismi di democrazia diretta di cui ne va tanto fiera. Processo inevitabile dopo la contaminazione della propria identità e della propria cultura; è questa superiorità culturale che si ritorce contro se stessa fino ad un annichilimento totale dei  propri valori identitari. Mighel Houllebecq denuncia con  freddezza e razionalità una Francia  vittima del suo stesso multiculturalismo, con i due partiti tradizionali gollisti e socialisti usciti, contro ogni previsione, sconfitti al primo turno, i quali,  per evitare che vinca al ballottaggio la destra xenofoba e antieuropea di Marie Le Pen, si alleano con il partito islamico moderato uscito sorprendentemente come seconda forza politica. La vittoria di quest’ultimo sulla destra nazionalista porta alla presidenza della repubblica un islamico, ma soprattutto, è la grande finanza araba dei petrodollari a dominare il nuovo corso, con l’islamizzazione delle università, la conversione alla religione imposta, il regresso delle donne dalla vita sociale, l’imposizione del velo, il  divieto ad esse di lavorare, relegandole totalmente al  ruolo di sottomesse con l’istituzionalizzazione della poligamia, intesa come via islamica all’evoluzione secondo il principio di selezione naturale.  Il finale non può che essere l’elogio della prosknesis, della sottomissione al  potere, in forma amara  e  cinica,  e la contemporanea morte della democrazia liberale, con i suoi principi fondanti quali lo stato di diritto, l’autonomia dei poteri, le libertà civili e religiose.
Un libro provocazione o un grido d’allarme disperato?

domenica 15 marzo 2015

Presentato il libro di Rosario Lentini ” Vincenzo Raja”



«Politica e passione per lo studio della viticultura,impegno diretto ad affrontare i problemi concreti del mondo agricolo – da socialista riformista quale egli era, con una visione interclassista che gli permetteva di interloquire con imprenditori, coltivatori, semplici braccianti, e di farsi apprezzare universalmente per competenza  e serietà – appaiono in Vincenzo Raja difficilmente scindibili.»
Così scrive nell’introduzione Rosario Lentini, autore del libro  Vincenzo Raja - tra passione politica e impegno scientifico -.
Mazarese di nascita, di formazione politica inizialmente anarco socialista e poi socialista riformista, la crescita politica, culturale e professionale di Raja si evolve in quell’intervallo di tempo che va dai primi del ‘900 all’inizio della Grande Guerra, in una Mazara dove i fermenti politici erano caratterizzati dai dibattiti, spesso poco ortodossi, tra le componenti politiche, e all’interno dello stesso partito socialista, diviso tra giolittiani e antigiolittiani, e nella Scuola Superiore di Agricoltura di Portici dove si forma professionalmente. È in questo periodo che Raja fece convivere  la sua passione politica riformista con quella di imprenditore e di studioso della vitivinicoltura, tanto da potere giustamente essere considerato un antesignano nel richiedere un intervento legislativo che tutelasse il territorio e la produzione del vino Marsala.
È stata una lezione di storia a più voci quella proposta dall’Istituto Euroarabo di Mazara editore del libro. Interventi di grande competenza scientifica che tratteggiavano con raffinatezza la storia locale e il personaggio, delineato nelle sue sfaccettature socio politiche, professionali, umane, in una Mazara in cui, spenti gli entusiasmi dei fasci della fine dell’ottocento, si iniziava, con passione a organizzare la politica.
È la storia di un periodo incerto quello dipinto, con metodo storico, da Salvatore Costanza e Rosario Lentini sul piano politico, sociale ed imprenditoriale, e in cui si assiste ad una società in movimento anche tra tante contraddizioni, che cerca, pur tra difficoltà, timidezze e ambiguità, di organizzarsi politicamente e industrialmente, soprattutto per quanto riguarda l’agricoltura e la vitivinicoltura uscita in quegli anni devastata dalla Fillossera.
Viene così delineata, nei vari interventi moderati da Antonino Cusumano, presidente dell’Istituto Euroarabo, la personalità di un Raja politicamente riformista  e  moralmente intransigente che si coniuga con quella di imprenditore e di studioso, che metteva in primo piano, in un insieme, politica, agricoltura e vitivinicultura, essendo egli stesso agricoltore e produttore, dando anche, con competenza, il suo contributo di proposte sotto l’aspetto organizzativo della produzione e della commercializzazione del prodotto principale, il Marsala. Idee e proposte che costituivano l’abbozzo embrionale di quella che sarà, di lì a qualche anno la Questione meridionale.
Alla fine della serata, al pubblico presente è stato fatto omaggio, da parte dell’istituto Euroarabo, di una copia del libro, la cui stampa è stata integralmente sostenuta, con entusiasmo, dal dott. Andrea Maria Genna  rappresentante procuratore dell’Agenzia  di Assicurazioni Generali di Mazara del Vallo.

martedì 10 marzo 2015

L'istituto Euroarabo prenta il libro "Vincenzo Raja"

L'Istituto Euroarabo, con il patrocinio del Comune di Mazara del Vallo, presenta il volume di Rosario Lentini, Vincenzo Raja, tra passione politica e impegno scientifico. Il volume, edito a cura dell'Istituto Euroarabo, grazie al sostegno finanziario dell'Agenzia Assicurazioni Generali Genna, ricostruisce il profilo umano e culturale di un illustre mazarese che è stato imprenditore e uomo politico, studioso di viticoltura ed enologia, presidente della Provincia di Palermo dal 1923, prima della svolta totalitaria del regime fascista. Il volume raccoglie, inoltre, in una ricca appendice documentaria, gli scritti che testimoniano le sue competenze e il suo impegno ad affrontare i problemi concreti dell'agricoltura, a cominciare dalla battaglia condotta a tutela del vino marsala.
Si tratta del quindicesimo volume edito dall'Istituto Euroarabo nella collana di saggi, monografie e ristampe che dal 2000 ad oggi sono stati pubblicati con l'obiettivo di recuperare e valorizzare la memoria di uomini e fatti connessi alla storia e alla cultura del nostro territorio.
La manifestazione avrà luogo sabato 14 marzo alle ore 17.30 nel Teatro Garibaldi di Mazara. A presentare il volume interverranno il Sindaco, on. Nicola Cristaldi, lo storico Salvatore Costanza e l'autore del volume, Rosario Lentini. Introdurrà Antonino Cusumano, dell'Istituto Euroarabo.
Ai presenti sarà offerta una copia del volume.


venerdì 6 marzo 2015

Michele dal sorriso argentino


di Nino Giaramidaro
Sì, Michele, Michele Argentino, dava del lei all’Analisi matematica. Non aveva cuore di aggrovigliarsi fra derivate e integrali, e il calcolo differenziale gli provocava lo stesso dolore di quello renale. Marchingegni. Estranei a una personalità affascinata dal bello, dalla semplicità del dire anche senza prudenza, a volte con tutta la perfidia che provoca l’impossibile rinunzia alla verità.
Da ragazzo mancava del “lato oscuro” che un po’ tutti offuschiamo, e da grande, saltellando fra il suo lavoro di amministrazione di un Dipartimento universitario e quello di professore affascinante, non era riuscito a conquistarselo. Forse gli sarebbe servito, ma lui, Michele, come un uomo senza ombra, andava avanti, anche nelle tane dei lupi, intemerato e sorridente: di quel suo sorriso di allegria da partecipare, che “accelerava” quando si mischiava all’autoironia degli intelligenti.
È difficile parlare di Michele, più grato ricordarselo: lungo la via Maqueda con un malloppo di libri Feltrinelli nel sacchetto, la sigaretta in bocca, e il suo andare fra rapido e bighellone; in salita nella via del Parlamento con la camicia di seta indossata nel negozio dell’acquisto, verso «Mommino, cuoco sopraffino, servizio a puntino, prezzi a mercatino».
Verso i suoi cinquant’anni – e i miei di più – decidemmo di frequentare mostre, conferenze, convegni e “installazioni”. Ci provammo con caparbietà. Ma non riuscivamo mai ad avvicinarci ad una sola tartina, un tramezzino di quelli lasciati. L’unico conforto allo scoramento subìto era un mezzo bicchiere di vino rosso, nel bicchiere di plastica, che, a stomaco vuoto, ci survoltava pericolosamente. Scappavamo per evitare di imbatterci in discussioni profumate di tannino.
Ci rifugiavamo al bar Spinnato per una “scorsonera” oppure un Campari soda. Noi, quasi antichi titolari delle sedie del bar Sardo – piazza Mokarta di Mazara - con don Vito che, dopo il clangore della chiusura che proveniva da Pino “Bombolone” verso le due di notte, frettoloso ci diceva: «Picciotti, mi raccumannu li seggi».
Era leggero, sì, Michele metteva a dura prova il suo “lato chiaro”: quando rompeva con una ragazza, restava suo amico, contraccambiato. Con mia meraviglia: per elaborare la separazione io ci mettevo mesi e mesi torbidi, sino a perdere di vista la ex fiamma che mi aveva scottato. Credo che lui smorfiasse “La vita è sogno” con la vita è gioco, rendendo sorridente anche Calderon de la Barca. Non ho mai avuto notizia di un suo litigio. Riusciva con una battuta affilata a disarmare chiunque. Così come disarmava se stesso.
Un suo parente sacerdote portò lui ragazzo a pranzo in un ristorante. Alla frutta scelsero le pesche, allora pregiate, si vedevano col binocolo. Il prete tentò senza prudenza di colpire di coltello il frutto, ma la pesca schizzò dal piatto e rotolò a terra. Michele si girò per seguirne l’andazzo, ma quando tornò a guardare nel suo piatto lo vide vuoto, guardò il parente e si sentì dire: «Michele, con garbo, vedi cosa succede quando si è precipitosi?». Morale di Michele: scherzo da prete. Raccontava l’episodio sorridendo e con la convinzione che fosse stato giusto che l’anziano sacerdote avesse fatto ricadere la brutta figura su di lui, che era un ragazzo.
Si affollano i ricordi, gli uni sopra gli altri, madidi di un sentimento di angoscia puntuta: la mancanza di qualcosa di personale, dei ragionamenti alla cui fine avevo sempre l’impressione di avere rubato un altro pezzettino al me stesso pigro; il piacere di pensare in direzioni molteplici senza avvertire il greve senso del tempo perduto.
foto E.Scaccio
Provo – ho sempre provato – un senso di malessere fisico alla fine di conversazioni inutili, mi atterrisce il dialogo con proprietari del luogo comune, delle idee dominanti, con coloro che sono muniti di tutti i grimaldelli per sfondare porte aperte. Posso solo ringraziarli di farmi ricordare Michele, darmi la percezione di una sua presenza esoterica che mi dà la forza di dire basta, di allontanarmi dalle voci inutili, dalle idiozie da bar, dagli idiomi inafferrabili e senza grammatica. Un prezioso regalo fattomi da questo amico di decenni, tedoforo della parola salvata, sempre in possesso di qualche idea, sempre stimolante, faticosa, bella, pure se riguardava una scelta minima.
Insieme ci arrampicavamo sulle montagne alla ricerca di testimonianze arabo-normanne, scorrazzavamo per librerie, ci infangavamo sino ai malleoli per trovare verdure e i funghi dei quali lui era pericoloso conoscitore. Sedevamo al primo banco di aule universitarie perché c’erano lezioni divertenti, come quelle di matematica del professore Miranda che risolveva i misteri delle rette e dell’infinito dicendo che «così il marchingegno ha voluto».
Sin da ragazzo, Michele aveva una possibilità illimitata di amicizia: tra i pescatori di Mazara del Vallo, fra gli accademici, sino ad Ettore Sottsass, con gli studenti greci degli anni Settanta, incurante che in mezzo a loro ci fossero diversi “ascoltatori” per conto dei colonnelli. Ma la sua natura fatta di timidezza e coraggio lo avventurava in qualsiasi ambiente con qualunque persona. E credo che a chiunque lasciasse un po’ del suo stile, l’eleganza del sapere e dell’intelligenza. 
Michele Argentino e Philippe Daverio
Capitavano riunioni di asciutti lavoratori silenziosi, esperti custodi della cultura materiale con le mani che si muovevano in arabeschi, mirabili torsioni e movimenti come di balletti, raffinati utilizzatori della parola, usufruttuari di delicate vite segnate, scettici melanconici, fuori di testa, partigiani al limite delle idee. Guazzabugli di età trasversale che trovavano in lui, il Michele dal sorriso argentino, un minimo comune denominatore che trasformava tutte quelle fazioni in equivalenze umane e solidali.
Tante amicizie, a lui dovute, continuano in un moto perpetuo senza l’aggressione dello scopo, dell’interesse: nude e crude, belle, probabilmente indistruttibili. Così come perdura l’affetto delle tante generazioni di studenti, siciliani, italiani, americani, mediorientali ai quali il “professore” non ha insegnato soltanto a disegnare il comò.
Forse, tra le millanta adagi e detti e parabole che aleggiano su di noi da voci lontane e sempre più flebili, qualche piccola verità la troviamo: «Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei». Sì, insieme ci si scambia qualcosa, una corrente di particelle, gocce di se stessi che fanno zoppicare se l’amico è zoppo.
Ora, rimane l’affetto per Mariella e per i quattro figli. Tutti diversi dal padre, e tutti diversi fra di loro. Ma quando sorridono, sembra di rivedere Michele che si infila dentro un’altra briciola di futuro.