Cartesio


Non c'è nulla interamente in nostro potere,se non i nostri pensieri.
Cartesio

domenica 28 febbraio 2016

Presentazione del Dossier Statistico Immigrazione 2015


Si è svolto presso il Centro Interculturale - Auditorium ‘Mario Caruso’ dell’ex Cinema Diana la manifestazione di presentazione del Dossier Statistico Immigrazione 2015 curato dal centro Studi e Ricerche IDOS, in partenariato con Confronti e con il sostegno finanziario tratto dal fondo dell'8 per mille della Chiesa Valdese.
L’evento è stato organizzato, come avviene da qualche anno, dall’Istituto Euroarabo di Mazara del Vallo con il patrocinio della Città di Mazara del Vallo.
Il dossier offre un’ampia e ragguagliata documentazione intorno ai dati conoscitivi del fenomeno immigrazione, nonché l’opportunità di riflettere e ragionare sulla realtà, al di là delle sue rappresentazioni. Nel volume si analizzano i diversi aspetti del fenomeno: il contesto internazionale ed europeo fino ai singoli territori regionali italiani, le caratteristiche quantitative e qualitative dei flussi e delle presenze, i livelli di inserimento sociale ed economico, le problematiche intorno ai diritti, le questioni relative all'accoglienza dei profughi e le prospettive del futuro.

Presenti, tra il folto pubblico, una delegazione degli avvocati dell’ordine di Marsala e i dirigenti della camera del lavoro di Mazara e dell’ufficio immigrati della Uil di Mazara. Dopo i saluti del Presidente dell’Istituto Euroarabo di Mazara del Vallo, Tonino Cusumano, sono intervenuti: Ugo Melchionda, Presidente del Centro Studi e Ricerche IDOS e Antonella Castronovo, dell’Istituto IDOS. Ha coordinato e introdotto i lavori Abdelkarim Hannachi, dell’Università Kore di Enna.

lunedì 22 febbraio 2016

Il congresso del PD

(foto Roberto Rubino)
Mai come questa volta i numeri hanno un significato insignificante. La percentuale con la quale è stata eletta la nuova segreteria del nuovo Pd che dovrebbe produrre una nuova politica a Mazara per avviarla su un nuovo corso verso un nuovo futuro, appare inoppugnabile e la partecipazione del pubblico sembra foriera di speranze per un partito per troppo tempo rimasto allo sbando, in balia di se stesso e delle sue contraddizioni.
Ma veramente tutto quel che si vuol fare apparire è realtà?
Soffermiamoci un momento sui numeri. Ad iscrizioni appena chiuse il nuovo circolo PD conta ben 427 neo tesserati, uno dei circoli più numerosi della provincia. Ci si aspetta una gran voglia di politica, di ricominciare, di partecipazione dopo una lunga pausa di torpore e di catalessi. Quel tesseramento rappresenta una notevole insufflazione di ossigeno in un organismo in stato di asfissia Tanti giovani, se così si possono considerare i quarantenni entrati di forza nel partito. Tanta linfa apportata da formazioni politiche trasversali, segno che il partito della nazione si forma nelle periferie, tanti osservatori e un parterre delle grandi occasioni con sindaci e codazzi a portare i saluti istituzionali dopo un inno nazionale cantato da una voce assai timida e un pubblico in piedi, in raccoglimento più che in corale partecipazione alle note di Mameli. Esaurita la passerella formale dei politici di turno che non possono fare a meno di fare notare la loro presenza, ne va della propria esistenza, il congresso entra nel vivo con la relazione delle due mozioni contrapposte, una di maggioranza e una di minoranza, come nelle più classiche delle partite di democrazia. A tenere le due lectio magistralis di politica i due candidati alla segreteria non prima di essere stati preceduti dal mea culpa del segretario uscente, che da capro espiatorio, assume su di se le responsabilità della debacle delle trascorse elezioni amministrative. Un gesto coraggioso, eroico, un martirologio politico, come si conviene in quei partiti per bene che della democrazia e dell’autocritica ne fanno un simbolo, un nome e una bandiera.
L’Ecce Homo si fa da parte, non prima di avere dato prova di incondizionata fedeltà al suo mentore. Nessuno grida il “ crucifigge”, il martirio è già avvenuto. L’esposizione delle due mozioni appare stantia, vaga, generica, fumosa e vuota di contenuti, come hanno insegnato i dorotei democristiani. Nessuna analisi politica, nessuna ricerca introspettiva della propria essenza di partito, come se niente fosse successo, con la velleità di costruire il futuro proprio a partire da questo niente. Come se da quel 27 ottobre 2013 non fosse successo niente. Eppure quel pomeriggio di tre anni fa ne erano volati stracci!
Non si lesinano gli applausi e gli squilli di tromba da destra e da sinistra. Nell’aria aleggia una calma di rassegnazione, un clima sereno. È il segno dell’accordo tra King Giorgio e l’ex avversario del precedente congresso. Teresa Diadema, nomen omen, sarà incoronata segretaria. Son tutti felici, le vestali hanno avuto la vittima sacrificale, adesso si può dare fiato alle trombe. Sono i prodromi di un sindaco donna per la prima volta nella storia della città?
I risultati parlano chiaro. Il 76% di preferenze alla neo segretaria, il 24% all’avversario. Soffermiamoci un momento sui numeri. I voti congressuali sono stati 278, molto ben al di sotto degli oltre quattrocento aventi diritto. Ne mancano un bel numero per un congresso in cui si inneggia alla voglia di partecipare alla politica. Il 35% ha preferito astenersi. Non è un bel segnale. Come interpretare questo entusiasmo affievolito?
Ma il vero congresso si svolge fuori dal palco, tra le poltrone della platea. È lì che hai la sensazione del clima. I miei interlocutori non lesinano argomenti. C’è chi parla di giochi che potrebbero aprirsi tra qualche settimana con l’ingresso di nuove presenze nella scarna rappresentanza PD in consiglio comunale. Addirittura la stessa segreteria verrebbe messa in minoranza all’interno del neo formato gruppo democratico. Un problema di non poco conto. Un componente di spicco del PD si limita a far notare come “questo congresso non abbia alcun senso in prospettiva delle prossime amministrative in cui i partiti contano sempre meno e le liste civiche sempre di più. Gli ultimi sindaci, da vent’anni a questa parte sono stati espressione di liste civiche e non di partito, citando Crimaudo, Macaddino, lo stesso Cristaldi, nonché i loro avversari sconfitti, dalla Di Giovanni a Torrente. I destini della città e della politica non sarà certo questo congresso a segnarli”. Un esponente della vecchia guardia parla di accordi e “cornetti”, forse riferendosi al tavolo della stanza adiacente  ricolmo di vassoi con cornetti. Il linguaggio criptico continua con un altro esponente di primo piano che addirittura chiama in ballo la letteratura e Camilleri citando un personaggio il quale, alla domanda se avesse qualcosa da dire, risponde” che devo dire? Non ha visto che i due si sono guardati negli occhi?”
È nella platea il vero congresso. Segno di vitalità.

domenica 14 febbraio 2016

Il messaggio di Eric Lamet. Invito al perdono.

Eric Lamet (foto L. Tumbarello)

Non è di tutti i giorni che una manifestazione culturale, condotta in modo raffinato, faccia scoprire alla collettività, dopo uno spazio temporale abbastanza lungo, una storia iniziata nel più tragico dei modi, e che da quella follia umana possano nascere dei valori e degli insegnamenti che elevano l’uomo ad una dimensione superiore. Non è facile perdonare, soprattutto quando la propria vita è stata segnata dalla più grande atrocità che il mondo avesse mai visto, ancor più, quando, di tutta la propria numerosa parentela, si sono perdute le tracce nei campi di sterminio nazisti. Tuttavia, può succedere, che, se analizzato da un punto di vista diverso da quella tragedia, che la Arendt definì “la banalità del male”, il bene possa avere il sopravvento sul male e il perdono sull’odio, non rinunciando al ricordo. Sapere perdonare è l’insegnamento che alla fine l’autore vuole trasmettere ad un pubblico attento, emotivamente coinvolto. Non è facile perdonare, ci vuole tempo, occorre scavare in profondità nell’introspezione di se stessi, andare alle proprie radici, sapere raccogliere da quella banalità del male quanto bene può sgorgare, considerarlo un dono da portare con se per sempre.

Eric Lamet, il suo nome di nascita è però Erich Lifschutz, ebreo polacco, infanzia trascorsa a Vienna, cresciuto in Italia, maturato negli Usa. Apparentemente una storia come tanti altri costretti a provare l’orrore della diversità razziale, tuttavia al contrario degli altri, considera quell’ingiustizia subita un dono dal proprio nemico. Quel confino che lo ha relegato, insieme alla madre, a seguito delle leggi razziali contro gli ebrei, in un paesino sperduto dell’appennino campano, lontano dalla civiltà, e dove ha la fortuna di incontrarvi un siciliano, di Mazara del Vallo, che lo plasmerà sul piano degli affetti, della formazione e soprattutto della crescita, verrà considerato, da Eric, un regalo da preservare per tutta la vita.

Oggi Enrico è un giovane ultraottantenne dagli occhi vispi, curiosi, dal sorriso pronto, bell’uomo, e soprattutto testimone di un passaggio epocale di società e modi di vivere diversi, una trasformazione antropologica che lo ha sedotto e forgiato sul piano umano.
Rosario Lentini, Eric Lamet, Antonino Cusumano (foto L.Tumbarello)
Lamet non racconta, dialoga con i suoi interlocutori, lo storico Rosario Lentini e Antonino Cusumano dell’Istituto Euroarabo di Mazara. Soprattutto dialoga con il pubblico. Lo fa in modo affascinante, con linguaggio suadente, lo sguardo benevolo e commosso. Una grande umanità aleggia nelle sue parole, dense di amore e pregne della sofferenza che lui e la sua famiglia hanno dovuto subire. Soprattutto colpisce la serenità con la quale parla di quel momento di vita. Il suo è un atto di amore verso Pietro Russo, quel mazarese antifascista che conobbe durante il confino e che divenne il suo secondo padre, verso quello sperduto paesino che lo ospitò durante la guerra, verso l’America, in cui tuttora vive, verso i parenti di suo padre, i quali, nonostante le diffidenze iniziali, accettarono e riempirono di affetto i nuovi strani parenti di altra religione. Il libro è anche un atto di amore nei confronti di Mazara, città dove Eric portò l'urna con le ceneri del padre per conservarle nel cimitero cittadino.



martedì 9 febbraio 2016

Unioni civili. Una crociata di retroguardia



Quanto sia strana e ipocrita questa politica ormai è sotto gli occhi di tutti. Ma ancor di più lasciano sconcertati alcuni interventi da crociata da parte di personaggi che ritenevamo, per la loro età e per il ruolo che hanno esercitato nel cristallizzare questo Paese in una posizione di retroguardia, si pensi al divorzio, all’aborto, alla fecondazione assistita, ai DICO, essersi ritirati alla contemplazione dello spirito in una prospettiva escatologica.
La stranezza di tutto ciò sta soprattutto nella mobilitazione di centinaia di piazze a manifestare, legittimamente, ma ipocritamente, in favore o contro il d.d.l. che regolerà le unioni civili delle coppie omosessuali. La disinformazione è tale da generare un calderone di giudizi e pregiudizi , seminare confusione nella gente, dividere il Paese in bianchi e neri, in puri e impuri, in probi e reprobi, in virtuosi e debosciati.
Il nocciolo della questione è la così detta stepchild adoptotion, un brutto termine anglofono che significa adozione del figliastro di uno della coppia da parte dell’altro partner. Poiché si tratta di coppie appartenenti allo stesso sesso, l’obiezione che viene posta da una parte è: l’adozione aprirebbe le porte all’utero in affitto; inoltre si degenererebbe il concetto naturale di procreazione che avviene attraverso ed esclusivamente tra sessi diversi. -Perchè un bambino possa essere adottato, affermano, occorre che la famiglia adottante sia composta da un padre e una madre e non da due genitori dello stesso sesso; una famiglia in cui manca la figura genitoriale di sesso diverso creerebbe disturbi nell’equilibrio della crescita del bambino, genererebbe delle diversità di relazione con i coetanei di famiglie “naturali”, introdurrebbe inevitabilmente alterazioni della personalità-. Siamo, come si vede, nel campo speculativo del pensiero in assenza di riscontri scientifici. Infatti, le opinioni, sul piano sociologico, sono contrastanti, ancor di più, se da parte di coloro che sono fermamente contrari, si riconosce che la tesi non è generalizzabile. La figura genitoriale naturalmente viene identificata con la mancanza di una madre nel caso di una coppia gay, mentre si è “più disponibili” a chiudere un occhio per una coppia lesbica.
L’aspetto centrale, quello del riconoscimento dei diritti dell’altro coniuge viene artatamente offuscato da ipotesi che si spingono al di là della stessa legge e che non sono previste o espressamente vietate come il ricorso dell’utero in affitto.
Si tratta, invece, nel riconoscere le unioni civili, di dare dignità alle persone, alle coppie omosessuali e a quei bambini che, comunque sia il metodo con il quale sono stati procreati, hanno diritto ad avere gli stessi diritti dei loro simili nati da coppie etero.
Cosa diversa, invece, è la pretesa al diritto di avere figli. Ma se questa possibilità la si lascia aperta alle coppie etero, difficilmente potrà essere non consentita alle coppie omosessuali, visto che l’orientamento giuridico internazionale va in questa direzione. Su questo punto, anche se con i soliti distinguo, il Paese reale è molto più avanzato e aperto rispetto alla politica; gli stessi cattolici non sono propensi a seguire la crociata del card. Ruini & C se all’interno della stessa Chiesa si riscontrano posizioni teologiche discordanti. A riprova di ciò le battaglie sul divorzio e sull’aborto che videro sconfitte le posizioni di retroguardia della Curia Romana e della politica ad essa molto sensibile.
La famiglia come comunemente la si intende, quella “tradizionale e naturale”, sembra ormai una questione non più dirimente, al contrario di quello che si vuol far credere, se essa viene sempre più percepita come superata nella realtà, soprattutto in un contesto di società secolarizzate. Né, tantomeno risulta credibile quanto si afferma, da parte cattolica, clero e laici, ovvero che il riconoscimento delle unioni civili condurrebbe, a breve termine, alla disgregazione della famiglia “naturale”. Lo stesso ritornello è stato declamato per il divorzio e per l’aborto. I fatti li hanno smentiti. Ma la politica di retroguardia, con i suoi giochetti del mezzo passo indietro o di uno laterale, non ha intenzione di stare al passo dei tempi né della ragione.

domenica 7 febbraio 2016

Il silenzio dei puri



E così è stato assolto! I giudici di 2 grado, assolvono, perché il fatto non sussiste, l’impresentabile, l’impuro, il reprobo, il politicamente scorretto, il campione della politica clientelare. La corte di appello di Salerno assolve dall’accusa di “abuso di ufficio” Francesco De Luca, attuale governatore della Campania. La sua condanna ad un anno di reclusione, in 1 grado, scatenò le coorti dei vessilliferi dell’illibatezza politica contro la sua candidatura alla presidenza della regione. Venne additato come “Impresentabile” da Rosi Bindi, presidente della commissione parlamentare antimafia. Venne attaccato duramente dall’alfiere del moralismo politico Roberto Saviano, il quale, dalle pagine del Fatto Quotidiano arringò il popolo a disertare le primarie del PD in Campania. L’ex sindaco subì i sermoni velenosi dei sacerdoti del giornalismo"senza macchia e senza paura" Gomez e Travaglio. Bersaglio preferito della ipocrita satira di Crozza; additato come esempio di malapolitica camorristica clientelare da parte dei palafranieri pentastellati Di Maio, Di Battista e Fico; segnato dalla minoranza piddina come mela marcia da scartare per non infettare i buoni frutti; demonizzato nei salotti radical chic dai maitre a penser del perbenismo di facciata; messo alla gogna nei talk show dagli opinion leader; oggetto di scherno da parte del blog del Grande Comico: tutto questo è stato opera dei Torquemada del nostro tempo.
Questa mattina, sfogliando i giornali, la notizia dell’assoluzione veniva data in fondo, molto in fondo, sulla pagina del Fatto Quotidiano, mentre gli altri siti la relegavano come una notiziola qualsiasi. Eppure ne avevano riempito di pagine su De Luca, rimarcando con forza come loro fossero diversi da De Luca.
Tacciono Saviano, la Bindi, Travaglio, Gomez. Tace la Gruber. Silenzio da parte delle anime sinistre del PD.
Chissà cosa proveranno costoro, adesso, ad essere diversi da una persona assolta dalla giustizia.

mercoledì 3 febbraio 2016

Il Bambino Nel Paese Del Sole




Una bella storia di un bambino ebreo
e di un mazarese sconosciuta alla città.

L’Anschluss era avvenuta da appena due giorni quando le truppe naziste entrarono a Vienna. Quel 14 marzo del 1938 resterà una data impressa nella memoria di Eric che allora aveva 8 anni. Seguirono cinque giorni di sconvolgimenti nella vita del bambino che a quella età sarà costretto a vivere il suo primo trauma; fino allora aveva goduto di una vita ovattata e agiata grazie alla condizione economica della sua famiglia. Fu quel giorno che Eric perse l’affetto e le coccole di Millie, la sua affezionata giovane baby-sitter austriaca, alla quale era stato fino a quel momento legato. Quello stesso giorno la sua famiglia scoprì l’arroganza, la freddezza e la cattiveria della giovane collaboratrice domestica. Fu in quel 14 marzo che Eric e i suoi genitori provarono cosa vuol dire essere ebrei, loro, di origine polacca, che avevano scelto l’Austria come dimora felice e Paese di adozione. In quei 5 giorni progettarono la loro fuga; Vienna era diventata per loro inospitale. Fuggirono dalla città servendosi di un taxi con lo stendardo della croce uncinata. Eric ancora non conosceva il significato di quel simbolo, né il lucubre marchio delle SS.
Viaggiarono in treno prima verso la Francia, poi in Italia. Il padre ritorna in Polonia per seguire gli interessi familiari. Di lui e dei suoi parenti si perdono definitivamente le tracce dopo l’invasione della Polonia da parte dei tedeschi; la stessa sorte toccherà a centinaia di migliaia di ebrei polacchi.
Intanto in Italia, Mussolini aveva promulgato le leggi razziali per compiacere quello che sarà il suo alleato. A madre e figlio li aspettava il confino. La fortuna di Eric e di Lotti, la madre, è stata quella di essere stati confinati in uno sperduto paesino del sud, Ospedaletto d’Alpinolo, milleottocento abitanti, in cui il tempo sembrava essersi fermato al 1800; dove la gente camminava a piedi nudi, un villaggio di analfabeti, influenzato dalle antiche tradizioni e superstizioni secolari. A ben pensarci, più di una pena, forse fu un dono quel luogo di confino e di confinati politici, antifascisti ed ebrei, inglesi, polacchi, francesi, tutti considerati nemici del Paese. Tra questi anche due confinati politici italiani, uno dei quali mazarese.
Pietro Russo diventa il suo tutore. Le vita di Eric e del siciliano sono destinate a rinsaldarsi nell’affetto, oltre che nell’amicizia, quando Pietro Russo sposa Mutti, così il bambino chiamava sua madre Lotti. Ma il conflitto riverbera la sua crudeltà anche in quel paesino sperduto, ed Eric conosce le atrocità della guerra; il ragazzo è così costretto a crescere in fretta, sperimentare l'odio, sentire l'odore della morte. Scoprirà anche l’umanità di un popolo che non li abbandonerà e che lui non abbandonerà. Eric Lamet alla fine della guerra è rimasto in Italia, a Napoli, fino al 1950, dove ha studiato e si è laureato in ingegneria.
Pietro Russo e Mutti decidono, nel 1950 di intraprendere l’avventura americana; partono tutti per l’America. Là, Eric continua i suoi studi in varie università; il suo destino sarà ricco di soddisfazioni e di successo nel campo professionale. Ma non ha dimenticato il suo passato, torna spesso in quei luoghi e anche a Mazara, la città di colui che è stato padre e amico nella crescita.
È a Pietro Russo che Eric Lamet dedica il libro. Una pagina di storia mazarese sconosciuta alla città.
Eric Lamet: Il Bambino nell’Isola del Sole. Sperling&Kupfer Editore
Il volume sarà presentato dall’Istituto Euroarabo al Teatro “Garibaldi” di Mazara del Vallo venerdì 12 Febbraio 2016 alle ore 17,00
Dialogano con l’Autore:
Antonino Cusumano, Istituto Euroarabo
Rosario Lentini, Storico
Letture a cura di Gloriana Ripa