Cartesio


Non c'è nulla interamente in nostro potere,se non i nostri pensieri.
Cartesio

venerdì 25 novembre 2016

Referendum. Una montagna di letame


Mai campagna referendaria e politica ha circuito gli elettori con tanto letame, una montagna di letame.
Mai si è assistito a un ricorso alla comunicazione facendo uso di un linguaggio violento e incivile, tipico dei frequentatori di taverne e postriboli.
Non meno responsabilità si possono attribuire ai mass media che nel proporsi come cassa di risonanza di tale comunicazione, spesso facendosi essi stessi promotori di linguaggio al di sopra delle righe, hanno fatto sì che i toni e le pulsioni raggiungessero livelli di imbarbarimento tali da generare rancore e odio anche all’interno degli stessi luoghi di lavoro, dei nuclei familiari, delle amicizie.
Una responsabilità collettiva che ha diviso il Paese in due parti, in buoni e in cattivi, in onesti e in riprovevoli, in puri e in contaminati, in angeli della legalità e in demoni della corruzione.
È in questo clima da resa dei conti, come se il risultato che uscirà dalle urne il 5 dicembre fosse un’ordalia nei confronti del capo del governo, che il linguaggio folklorico, iperbolico, anche se antipatico e non politicamente corretto, carpito nei fuori onda  o rubato di nascosto, quindi privo di crisma di ufficialità, lo si trasforma in istigazione ad uccidere; che riunioni elettorali a porte chiuse per spronare in modo schietto e politicamente ameno, attraverso  un lessico esplicito e diretto alla ricerca del consenso, chi ha frequentato la politica sa che queste riunioni  e questi linguaggi sono nella normalità, vengono sviscerate, pervicacemente, come assembramenti malavitosi imperniati sul voto di  scambio, come summit di politici rapaci che nel "do ut des" fondano il loro potere e i loro interessi. E si perde il senso della misura, d'altronde, se il reato viene fatto passare per una azione ingenua e la falsificazione in impropria riproduzione. Come dire che l’orto del vicino è sempre pieno di gramigna.
Comparsate televisive di comici capo partito che  vomitano  insulti, che istigano a tirar fuori le pulsioni più selvagge, che pubblicano i commenti più triviali sulle donne ( Boldrini, Boschi, Picierno i bersagli preferiti) fino ad arrivare a definire un capo di governo “Menomato mentale” oppure “Scrofa ferita”, non rappresentano che la deriva morale ed etica di una politica che ha perduto il senso del limite, privando se stessa di credibilità e rendendosi responsabile della sua caduta negli abissi oscuri del populismo più straccione e miserevole.
Da questo guazzabuglio di lerciume germinano facilmente menzogne e inganni, sospetti e malevolenze che non fanno che allontanare sempre più le sensibilità della gente dalla politica. Mai come questa volta c’è il rischio che il vero vincitore di questo referendum sia l’ingannevole turpiloquio.


martedì 22 novembre 2016

Riforma costituzionale.Una cesura nell'ordito della democrazia?



Siamo arrivati agli ultimi giorni di questa lunga, indecifrabile, a tratti scivolosa, campagna referendaria. Sarà ricordata per l’esasperazione dei toni, per la politicizzazione degli obiettivi, per l’irriverenza del linguaggio molto al di sopra delle righe, e soprattutto per una forte spinta di nostalgica retorica, quasi un grido di indignazione, al di là degli schieramenti contrapposti, che la loro stessa natura politica contribuisce, in modo esponenziale, a far prevalere le pulsioni sui contenuti, le rivalse politiche sull’essenza della riforma.
Secondo il cartello dei vari comitati del No, il fine della riforma è quello di strappare alla memoria degli italiani quella Costituzione che ha sempre accompagnato la direzione del loro tempo, dalla nascita della democrazia a oggi. La riforma costituzionale del governo Renzi, traccia, secondo loro, una violenta cesura nell’ordito della democrazia, e irrimediabilmente, una barriera di fortissimo impatto tra gli elettori e la politica, una ferita nel cuore dei “padri costituenti” che nel disegnare l’attuale carta costituzionale volgevano il loro sguardo verso l’orizzonte.
Ma è davvero così? Davvero la nostra Costituzione è stata scritta con una dimensione atemporale e con caratteri indelebili? Davvero viene tracciata una cesura tra rappresentanza e popolo? Davvero la funzione parlamentare viene surrogata da una oligarchia della rappresentanza amplificando i poteri del governo? Davvero con l’eliminazione del sistema bicamerale paritario si increspano ulteriormente i procedimenti legislativi? Davvero non si ha il diritto di cambiare la Costituzione laddove essa è ormai superata dallo scorrere degli eventi e del tempo?  Lasciando da parte quei sentimenti valoriali che fanno parte della geografia dell’anima i cui confini sono sempre stati indefiniti e aleatori sin dalla fase costituente, può la Carta Costituzionale costituire una eredità vincolante per le nuove generazioni?
 Per meglio intenderci: possiamo imporre alle future generazioni sensibilità e percezioni (le nostre) che forse saranno diverse dalle loro sensibilità e percezioni? Oppure queste sensibilità, che possono essere condivise, devono servire da stimolo per costruire una nuova struttura, che veda la trasformazione della Costituzione in armonia con le reali esigenze della collettività e in funzione delle dinamiche socio culturali di cui la collettività stessa è soggetto attivo? Non abbiamo nessun dovere di vincolare le future generazioni al nostro concetto di estetica costituzionale; se così fosse, tutto resterebbe immutabile, innaturale. La stessa Costituzione, tenuti saldi i diritti e i doveri sanciti nella sua prima parte, non si attiene al principio etico della conservazione e non prescrive norme morali. A mio parere la politica non può sottrarsi ai processi di intervento su parti del “paesaggio” costituzionale per non rischiare di isolare il Paese bloccandone il cammino verso il futuro.


sabato 12 novembre 2016

Referendum. Se vincesse il NO ne uscirebbe sconfitta la politica

Il caos

Ritorno, dopo mesi di assenza  a scrivere sul blog. Parto da dove l’avevo lasciato, dal referendum. Avendo seguito con attenzione le varie ragioni, quelle del No e quelle del SI, con uno sguardo sempre più cauto sui sondaggi, azzardo alcune considerazioni personali nel caso che queste previsioni dovessero avverarsi. 

Non so se il responso che uscirà dalle urne sarà un Ordalia su Renzi, né so se vi sarà una redde rationem all’interno del PD, qualunque possa essere il risultato (credo di sì). Una cosa però è certa, dopo il 4 dicembre non si potrà continuare a parlare il politichese. Tutti gli schieramenti, l’un contro l’altro armati, usciranno sconfitti sul piano politico.
 In caso di vittoria del No, nel festeggiare la sconfitta di Renzi, nello schieramento vincitore, al di là delle rituali dichiarazioni politichesi, non tutti potranno attribuirsi il merito della vittoria, o per meglio dire, non a tutti sarà concesso tale merito.
 Non  a Berlusconi che la Riforma costituzionale e la legge elettorale ha contribuito a scriverla e votarla più volte e la cui tardiva adesione al NO, più che per convinzione, è frutto di opportunità,   di visibilità e di rivalsa politica.
 Non ai nostalgici della Ditta, la minoranza PD con in testa Bersani e il suo discepolo prediletto Speranza, che la stessa riforma hanno appoggiato, sottoscritto e votato in tutti e sei passaggi parlamentari e che, in nome di una nemesi per una sconfitta mai accettata nel precedente congresso del partito, con un prodosismo da manuale, non hanno esitato a passare dall’altra parte, unendo le proprie forze  a quelle del   M5S, proprio quel movimento che secondo i sondaggi, dell’Italicum, così com’è, sarebbe il maggior beneficiario ad andare al governo.
Passata la sbornia delle europee e dopo il calo nelle scorse amministrative, i  bersaniani  sperano di dare la spallata al loro segretario premier passando dall’altra parte per  combattere insieme al nemico del loro nemico.
In politica l’incoerenza è virtù, non importa se  Bersani & C hanno appoggiato e votato favorevolmente la riforma.  A sentir loro non si considerano disertori; sono pronti a sbranare chi li accusa di tradimento. La loro è una missione evangelica di sinistra. 
Non ai vari cespugli della sinistra e ai puristi di Libertà e Giustizia, da Zagrebelsky a Montanari, che sul piano politico hanno meno peso di un chicco di grano, e tuttavia utilizzati come foglia di fico dal movimento di Grillo e Casaleggio oltre che dalla Lega di Salvini e dalla destra della Meloni.
 Non alla Lega di Salvini, ai cui appelli di manifestazioni unitarie, Di Maio e Di Battista non ne sentono la necessità di aderire.
 Non a D’Alema che con la sua imbarazzante quanto stravagante compagnia dei De Mita, Cirino Pomicino, Gianfranco Fini, Lambert Dini, utilizza lo scenario referendario come l’ultima e disperata occasione per resistere all’inesorabile discesa nell’oblìo. E lo fanno nel modo meno elegante possibile.
La vittoria del No sarà solo ed esclusivamente la vittoria di facciata del M5S che ha continuato a mantenere alta la tensione politica sin dal suo ingresso in Parlamento con strumentalizzazioni spesso populiste intercalate da proposte accattivanti ma difficilmente realizzabili che fungono da specchio per le allodole, come il reddito di cittadinanza, nonostante le catastrofi e i sismi che la buona natura non ci fa mancare.
Il successo del M5s è dovuto nell’avere alle spalle una cabina di regia raffinata sul piano della comunicazione; cabina di regia incapace, però, di fare corrispondere una altrettanto elaborata e credibile proposta politica, alternativa alla riforma, che si presenti più funzionale a quelle che sono le esigenze di un sistema socio economico sempre più insofferente della inadeguatezza dell’attuale. Il M5S, continua a dare in questa lunga campagna referendaria motivazioni spesso banali per spiegare il suo No e che tuttavia si mostrano efficaci nella raccolta del consenso.
Di contro, bisogna dargliene atto, ha saputo portare il dibattito alla radicalizzazione, trasformandolo da tecnico ed elitario, buono per pochi giuristi e per gli addetti ai lavori, in politico, facendo uso di un linguaggio diretto, forte, rivolto soprattutto alla pancia del suo elettorato e agli scontenti.
Così facendo stimola le pulsioni di un malessere causato dalla politica del rigore dell’Europa, dai poteri forti, dai grandi interessi finanziari, dalla Spectre di Bildeberg dalle agenzie di rating e dai governi che in questi anni si sono avvicendati, ieri Monti, poi Letta, oggi Renzi.
La superficialità con la quale discutono nel merito la riforma oggetto del referendum, se per gli osservatori e gli avversari rappresenta un loro punto debole, al contrario, diventa per loro un punto di forza, abili come sono nel ribaltare la questione sul malessere sociale dal quale è facile trarre linfa.
 Questo inevitabilmente sarà sicuramente un formidabile propellente per arrivare al governo di alcune regioni, la Sicilia in testa, ma non a quello nazionale. A meno che Renzi non faccia quello che tutti chiedono a gran voce, ma che nessuno in camera caritatis si augura, dimettersi in caso di sconfitta.
Corte Costituzionale permettendo, l’Italicum li traghetterebbe con probabilità elevate al governo del Paese. Perché è chiaro che mai il M5S accetterà un governo di transizione in caso di vittoria del No, e meno che mai a guida Renzi. Chiederanno lo scioglimento di quel parlamento da loro ritenuto illegittimo in forza della sentenza della Consulta contro il porcellum e di andare alle elezioni con l’abominevole Italicum al quale in segreto strizzano l’occhio.
 Cosa farà il PD in caso di bocciatura della riforma? Meglio cosa farà Renzi?
Tutto dipenderà dal risultato in termini numerici. Appare chiaro che uno scarto di pochi punti percentuali a vantaggio del No, significherebbe, è vero, la sconfitta del governo, ma in termini politici sarebbe un innegabile successo personale del premier. Essere  sconfitto di misura da una Santa Alleanza  che vede insieme religiosi e miscredenti, neo fascisti di F.N e ANPI,  Grillo insieme a Salvini,  Berlusconi con  D’Alema, gli intellettuali di Libertà e Giustizia con Magistratura Democratica insieme alla minoranza del PD e il variegato mondo della sinistra italiana, lo rinforzerebbe all’interno dello stesso PD. Gli verrebbe facile argomentare che l’alternativa a Lui sarebbe il nulla o il Caos, e sul piano politico nessuna alleanza sarebbe possibile con i soggetti vincitori. D’altronde sarebbe inimmaginabile sostituire l’attuale governo con un governicchio di scopo che abbia la funzione di fare una nuova legge elettorale ad un solo anno dalla scadenza naturale.
 Non ci starebbe il PD sempre più Renzi dipendente, soprattutto in vista di un congresso al cui interno si consumerebbe quella resa dei conti definitiva sino a oggi tanto rinviata.
Non ci starebbero i partiti vincitori che sarebbero su posizioni divisive e inconciliabili. Non sarebbe,apparentemente, neanche ipotizzabile un Patto del Nazareno 2.0 in considerazione dell’ultima conversione di Berlusconi sulla via del proporzionale e del bicameralismo paritario, né tanto meno una convergenza Destra – M5S sul proporzionale. Sarebbe la fine delle speranze di entrambi gli schieramenti di andare a governare.
A meno che la paura non faccia novanta e tale “scantu” non faccia correre sia il PD sia quel che resta di Berlusconi ai ripari, riposizionandosi su un Italicum con premio di maggioranza alla coalizione vincente ed eliminazione del ballottaggio. In questo caso gli scenari politici sarebbero imperscrutabili e tutti da immaginare. Ma con la bocciatura della riforma, l’Italicum applicato ad una sola camera non avrebbe senso.
La prospettiva di un ritorno alle urne anticipato è la strada che tutti si avviano a intraprendere. Con prospettive non facilmente preconizzabili, sia se si vada alle urne con il proporzionale, sia con l’Italicum, anche riveduto e corretto, se la Corte Costituzionale non lo dovesse bocciare. Nell’uno e nell’altro caso non ci sarebbero vincitori.  Questo sì che getterebbe il Paese nel caos. Sarebbe la sconfitta di tutti. Soprattutto della politica.