Il parco eolico nell'Orensund - Danimarca
di
Antonino Cusumano.
La
lingua, si sa, rivela il pensiero fino a tradirlo, a illuminarlo, a supplirlo
in certi casi, fino a metterne a nudo epifanicamente anche i più nascosti
intendimenti. Nel lessico politico le torsioni e le contorsioni linguistiche
sono oggi il segno più evidente ora del vuoto di idee e di progetti, ora dei
raggiri sottintesi e delle imposture più infami. Le parole sempre più spesso
sono piegate a violente distorsioni, a ingannevoli manomissioni. Accade così
che si usi in modo disinvolto e senza suscitare sorpresa l'espressione “parco eolico” per indicare un
impianto di pali piantati in mezzo al mare, a meno di due miglia dalla costa.
Quando
leggo “parco” penso in prima istanza ad un ambiente naturale protetto, ad un
luogo lussureggiante di piante e animali, ad uno spazio pubblico da tutelare o
da valorizzare. Associare alla parola “parco” un insieme di 48 antenne con
eliche ruotanti che fuoriescono dall'acqua per 150 metri, fissate nel fondale
marino lungo il tratto antistante Capo Feto, Margi Spanò e Punta Biscione,
ovvero tra la costa di Mazara e Petrosino, è operazione quanto meno bizzarra,
per non dire ambigua. L'ambiguità trova conferma nelle parole inglesi che
accompagnano con un tocco esotico la locuzione “parco eolico”: off shore,
che letteralmente significa “al largo, lontano dalle coste” ma per estensione
metaforica fa riferimento anche a imprese fittizie create in centri finanziari
sinonimi di paradiso fiscale.
Che
si rischi di consumare un ennesimo misfatto al patrimonio ambientale è più che
un sospetto. Del resto, sul fronte dei beni culturali Mazara ha già alle spalle
una lunga storia di colpevoli e imperdonabili
“distrazioni”. La mente corre all'esempio più clamoroso: il palazzo municipale di Piazza della Repubblica. Un monstrum
di alluminio e cemento che ha nella sua struttura aggettante la cinica
protervia del potere. Ma più indietro nel tempo altre ferite sono state inferte
sul corpo della città: si pensi solo alla costruzione dell'edificio della Cassa
mutua marittima accanto al monumento arabo-normanno della chiesa di san Nicolò
Regale e all'elevazione di grattacieli nel pieno centro storico. Senza contare
lo scempio urbanistico perpetrato ai danni del litorale di Tonnarella. Più recentemente
si è per fortuna scongiurata la realizzazione di un imponente porto turistico
davanti al lungomare che avrebbe privato i mazaresi di uno dei pochi privilegi
gratuiti goduti fin qui: lo spettacolo offerto dall'orizzonte del mare.
La
progettazione di un megaimpianto infrastrutturale di produzione di energia
eolica a poca distanza dalla costa, in mezzo al mare, costituisce una grave
minaccia per l'equilibrio ambientale e paesaggistico. Pensavo fosse acquisita
nel senso comune e collettivo la convinzione del danno prodotto dalla
pervasività di queste altissime “croci” disseminate sul territorio, che a me
sembrano disegnare tanti penosi calvari lungo i crinali delle valli del nostro
entroterra. Se si considera che agli effetti rovinosi sul paesaggio si associano
la scarsissima redditività e l'altissima densità di infiltrazioni mafiose e di
corruttele, si stenta davvero a credere che possa esserci ancora qualche
ingenuo o qualche buontempone che scambi queste operazioni di profitto privato
per opportunità di occupazione e di sviluppo economico. Le stesse offerte di
lavoro sarebbero comunque di breve momento, limitate all'effimera fase
dell'istallazione, mentre l'impatto di queste pale innalzate in mezzo al mare
resterebbe monumento alla stoltezza, memoria dell'inganno, oltraggio
incancellabile alla bellezza.
È
quanto meno singolare che coloro che sostengono, in nome delle innovazioni, le
ragioni di questo mito salvifico affidato alla costruzione del cosiddetto
“parco eolico”, siano gli stessi che rivendicano la vocazione turistica del
nostro territorio e trascurano di considerare che l'impianto sorgerebbe in
presenza di una prospiciente e ampia area protetta (questa sì, vero e proprio
parco), di interesse comunitario e di riconosciuto valore naturalistico. La
Sicilia non è l'Inghilterra né la Danimarca, dove queste turbine che emergono
dal mare sorgono comunque a più di venti chilometri dalla costa. Sarebbe
insensato pensare di assumere questi modelli, impropri per dimensioni
strutturali e caratteristiche naturali. Le contraddizioni non finiscono qui, se si prendono in
considerazione altri fattori: i rischi sismici di origine geologica, le
conseguenze sulla piccola pesca e sulla navigazione, le ripercussioni sulle
correnti marine e sugli habitat delle specie animali.
Ma
un'argomentazione su tutti dovrebbe essere prevalente, quella che ci suggerisce
la storia e ci offre la natura, ovvero la difesa di quanto abbiamo ereditato e
che ci fa diversi, riconoscibili, credibili. Se avessimo più rispetto per la
bellezza dei luoghi che abitiamo, avremmo probabilmente consapevolezza che i
beni ambientali e culturali non sono velleitario appannaggio di minoranze
nostalgiche che negano il diritto alle innovazioni tecnologiche, ma sono invece
preziose risorse economiche da gestire
con intelligenza, occasioni di benessere
e di sviluppo civile, capitali fondamentali del nostro patrimonio
storico e identitario.
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