Dimmi come ti chiami e ti dirò
chi sei. Perché il nome, checchè se ne dica, ha una sua fascinazione,
soprattutto dalle nostre parti, tanto da segnarne il destino. Fino a qualche
anno fa l’anagrafe imperversava di Kevin, Igor, Désirée (con l’accento grave,
mi raccomando, altrimenti il suono non può slargarsi, per capirci cercate di
pronunciare carameella), Jessica, Samuel, Michael, Sarah, Samantha e altri di
quei nomi, che Iddio ce ne scampi, tanto che i poveri Salvatore, Vito, Maria,
Caterina, Ignazio venivano derisi come se fossero dei paria pagando
innocentemente la colpa della tribale tradizione di quei loro genitori appaesanati
e non globalizzati.
Da un lustro a questa parte,
tra gli umani figli dell’Inclita Urbs sembra che le cose stiano cambiando, con
grande gioia degli impiegati dell’anagrafe, anche se allittrati per la verità, i quali non sono più costretti a contorsioni
e capitomboli su come posizionare la mutolina alla fine o tra una consonante e
una vocale di uno di quei nomi di alieni.
Oggi va di moda Nicola,
e il nome evoca l’antico, la storia, la bellezza, la solennità, il
calore, la fede, la gioia della festa, la tradizione, la magnificenza. Non per
niente la sua radice etimologica ha il significato di vittoria.
Il nome si diffonde, ahimè, anche
tra i non umani. A uno di questi Nicola si spalancano i monumentali Palazzi
e vengono messi nella sua disponibilità loggiati, eleganti chiostri, e per
prenderne possesso non si fa pregare nel farsi adottare dalla comunità, che lo
coccola, lo protegge, lo accudisce,lo nutre,lo vizia. Si sente proprio a suo
agio Nicola
nell’elegante colonnato del Collegio dei Gesuiti, è la star di turno; si lascia
fotografare con quella sua aria di sufficienza, con quello sguardo ingenuo addolcito
dagli occhi languidi. Da quando è diventato cittadino istituzionalizzato, anzi
mascotte ufficiale, anche la sua condizione sociale si è evoluta, non
geneticamente né zoologicamente, perché sempre meticcio rimane (guai a
chiamarlo bastardo, altrimenti chi li sente gli animalisti), tanto che oggi la sua vita da cani è una condizione di
privilegio, invidiata non solo dai suoi simili che non hanno avuto la fortuna
di chiamarsi Nicola, ma addirittura sognata da chi appartiene ad un ordine
tassonomico superiore, dai Samir, dagli Abdul, dagli anonimi umanoidi clochard
che girovagano nelle periferie, rovistano tra i cassonetti dell’immondizia, dormono
sugli scalini delle chiese tra l’indifferenza generale, vagano con le loro
scassate e arrugginite biciclette da una strada ad un’ altra, senza una meta,
senza un domani, senza una attesa. Per Samir niente cittadinanze onorarie,
niente diritti, niente foto, niente articoli sui giornali, niente applausi
dagli umani né dagli animalisti (questi ultimi perché dovrebbero?). Samir (è un
nome immaginario) non invidia Nicola, anzi, si preoccupa di
prendersi cura anche di una piccola randagia appartenente alla stessa specie ma
meno fortunata del nostro furbo eroe quadrupede carnivoro. Samir la porta sempre
con se, sulla sua bicicletta, va a rovistare nei cassonetti anche per lei e
forse si confida con lei. A Samir forse piacerebbe essere adottato da quella bizzarra
e strabica comunità che impazzisce per Nicola e magari cambiare nome. In
cuor suo Nicola
gli andrebbe bene, ma lo farebbe solo per la sua cagnetta.
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