Mai campagna referendaria e politica ha circuito gli elettori con tanto letame, una montagna di letame.
Mai si è assistito a un ricorso alla comunicazione facendo uso di
un linguaggio violento e incivile, tipico dei frequentatori di taverne e
postriboli.
Non meno responsabilità si possono attribuire ai mass media che
nel proporsi come cassa di risonanza di tale comunicazione, spesso facendosi
essi stessi promotori di linguaggio al di sopra delle righe, hanno fatto sì che
i toni e le pulsioni raggiungessero livelli di imbarbarimento tali da generare
rancore e odio anche all’interno degli stessi luoghi di lavoro, dei nuclei
familiari, delle amicizie.
Una responsabilità collettiva che ha diviso il Paese in due parti,
in buoni e in cattivi, in onesti e in riprovevoli, in puri e in contaminati, in
angeli della legalità e in demoni della corruzione.
È in questo clima da resa dei conti, come se il risultato che
uscirà dalle urne il 5 dicembre fosse un’ordalia nei confronti del capo del
governo, che il linguaggio folklorico, iperbolico, anche se antipatico e non
politicamente corretto, carpito nei fuori onda
o rubato di nascosto, quindi privo di crisma di ufficialità, lo si
trasforma in istigazione ad uccidere; che riunioni elettorali a porte chiuse
per spronare in modo schietto e politicamente ameno, attraverso un lessico esplicito e diretto alla ricerca
del consenso, chi ha frequentato la politica sa che queste riunioni e questi linguaggi sono nella normalità,
vengono sviscerate, pervicacemente, come assembramenti malavitosi imperniati
sul voto di scambio, come summit di
politici rapaci che nel "do ut des" fondano il loro potere e i loro interessi. E
si perde il senso della misura, d'altronde, se il reato viene fatto passare per
una azione ingenua e la falsificazione in impropria riproduzione. Come dire che
l’orto del vicino è sempre pieno di gramigna.
Comparsate televisive di comici capo partito che vomitano
insulti, che istigano a tirar fuori le pulsioni più selvagge, che pubblicano
i commenti più triviali sulle donne ( Boldrini, Boschi, Picierno i bersagli
preferiti) fino ad arrivare a definire un capo di governo “Menomato mentale”
oppure “Scrofa ferita”, non rappresentano che la deriva morale ed etica di una
politica che ha perduto il senso del limite, privando se stessa di credibilità
e rendendosi responsabile della sua caduta negli abissi oscuri del populismo
più straccione e miserevole.
Da questo guazzabuglio di lerciume germinano facilmente menzogne e
inganni, sospetti e malevolenze che non fanno che allontanare sempre più le
sensibilità della gente dalla politica. Mai come questa volta c’è il rischio
che il vero vincitore di questo referendum sia l’ingannevole turpiloquio.
Nessun commento:
Posta un commento