Siamo
arrivati agli ultimi giorni di questa lunga, indecifrabile, a tratti scivolosa,
campagna referendaria. Sarà ricordata per l’esasperazione dei toni, per la
politicizzazione degli obiettivi, per l’irriverenza del linguaggio molto al di
sopra delle righe, e soprattutto per una forte spinta di nostalgica retorica, quasi
un grido di indignazione, al di là degli schieramenti contrapposti, che la loro
stessa natura politica contribuisce, in modo esponenziale, a far prevalere le
pulsioni sui contenuti, le rivalse politiche sull’essenza della riforma.
Secondo il cartello dei vari comitati del No,
il fine della riforma è quello di strappare alla memoria degli italiani quella Costituzione
che ha sempre accompagnato la direzione del loro tempo, dalla nascita della
democrazia a oggi. La riforma costituzionale del governo Renzi, traccia,
secondo loro, una violenta cesura nell’ordito della democrazia, e irrimediabilmente,
una barriera di fortissimo impatto tra gli elettori e la politica, una ferita
nel cuore dei “padri costituenti” che nel disegnare l’attuale carta
costituzionale volgevano il loro sguardo verso l’orizzonte.
Ma
è davvero così? Davvero la nostra Costituzione è stata scritta con una
dimensione atemporale e con caratteri indelebili? Davvero viene tracciata una
cesura tra rappresentanza e popolo? Davvero la funzione parlamentare viene
surrogata da una oligarchia della rappresentanza amplificando i poteri del
governo? Davvero con l’eliminazione del sistema bicamerale paritario si
increspano ulteriormente i procedimenti legislativi? Davvero non si ha il
diritto di cambiare la Costituzione laddove essa è ormai superata dallo
scorrere degli eventi e del tempo? Lasciando da parte quei sentimenti valoriali
che fanno parte della geografia dell’anima i cui confini sono sempre stati
indefiniti e aleatori sin dalla fase costituente, può la Carta Costituzionale
costituire una eredità vincolante per le nuove generazioni?
Per meglio intenderci: possiamo imporre alle
future generazioni sensibilità e percezioni (le nostre) che forse saranno
diverse dalle loro sensibilità e percezioni? Oppure queste sensibilità, che
possono essere condivise, devono servire da stimolo per costruire una nuova struttura,
che veda la trasformazione della Costituzione in armonia con le reali esigenze
della collettività e in funzione delle dinamiche socio culturali di cui la
collettività stessa è soggetto attivo? Non abbiamo nessun dovere di vincolare
le future generazioni al nostro concetto di estetica costituzionale; se così
fosse, tutto resterebbe immutabile, innaturale. La stessa Costituzione, tenuti
saldi i diritti e i doveri sanciti nella sua prima parte, non si attiene al
principio etico della conservazione e non prescrive norme morali. A mio parere
la politica non può sottrarsi ai processi di intervento su parti del “paesaggio”
costituzionale per non rischiare di isolare il Paese bloccandone il cammino
verso il futuro.
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