Finite le elezioni amministrative con il risultato che sappiamo e che
tutti ci aspettavamo, ammainate le bandiere delle tante, troppe liste civiche,
sembra che in città la politica sia caduta in catalessi, in particolare i dirigenti
del PD, i quali evidenziano anche chiari e inconfutabili segni di catatonia.
Perché solo il PD e gli altri no? Semplice, il PD dovrebbe essere, il
condizionale è di obbligo, l’unico partito istituzionale con una propria
struttura dirigenziale democraticamente eletta e legittimata da un regolare
congresso. Di quel congresso si sa tutto, da come Giorgio Macaddino e le sue
truppe cammellate hanno conquistato il partito e come una minoranza largamente
sconfitta abbia accettato il risultato con grande mal di pancia. Questa
ambiguità, che è una costante del PD degli ultimi anni è stata la causa della
frana nelle ultime amministrative ed europee. Alla prima vera grande prova
politica cui è stato chiamato, il PD ha svelato il suo vero volto: un partito
privo di contenuti, di idee, di strategie, di programmi, di credibilità e per
niente attrezzato ad affrontare una campagna elettorale. Al contrario, gli
avversari si sono dimostrati di gran
lunga più organizzati e soprattutto più ancorati nel territorio. Il partito paga
lo scotto di scelte irresponsabili avvenute dopo una serie di primarie e di
alleanze che ne hanno messo a nudo tutte le sue incoerenze. Sul quel PD
incombeva allora l’ombra di Torrente, tanto che nel suo segno Gucciardi ottenne
una caterva di voti e la sconosciutissima Orrù veniva inaspettatamente eletta
senatrice con grande gaudio dei trapanesi. Questi sono fatti incontestabili. Lo
stesso Torrente era stato presentato e accolto nella casa madre in un gremito
teatro e incensato pubblicamente dai vertici del partito, dal sen.Papania, all’on.Gucciardi
per finire a Ina Agate allora reggente ad interim del partito a Mazara. Quella
occasione doveva sancire l’investitura di Torrente come candidato ufficiale del
PD alle prossime amministrative. Ma venne impallinato dalle solite anime
angelicate secondo le quali la legittimazione del candidato doveva essere
espressione di primarie. Sappiamo come è andata a finire; Torrente progettò il
suo percorso politico autonomamente, fuori da ogni partito, costruendo una
coalizione di liste civiche di oltre 8000 voti. Intanto tra una primaria e
l’altra il PD mostrava il suo cinico trasformismo salendo sul carro del
vincitore Renzi tanto che i renziani della prima ora divennero minoranza e gli
ex Bersaniani, divenuti anche loro renziani per convenienza, si presero il
partito attraverso un congresso farsa, privo di contenuti politici, in cui
Giorgio Macaddino impone la forza dei numeri, mettendo a capo della segreteria
una figura onesta ma politicamente modesta. Il PD ne esce lacerato con
conseguenze disastrose sul piano dell’immagine, ancor più perché incapace di
dotarsi di un disegno politico a pochi mesi dalle amministrative. C’è da
chiedersi, alla luce dei risultati delle recenti amministrative, il senso di
quella operazione. Intanto, in prossimità delle amministrative la nuova gestione
sotto il diretto controllo del sindacato, apparsa incapace, da un lato, di
dotarsi sia di un progetto politico in coerenza con la nuova politica imposta
da Renzi, sia per la mancanza, all’interno del partito, di figure di rilievo da
candidare alla poltrona di primo cittadino, è costretta, ob torto collo, a
subire la candidatura alla carica di sindaco del dott. Pino Bianco, imposto da
un gruppo di volenterosi di liste civiche, di esterni al partito e di varia
provenienza politica. Il risultato è stato una disfatta del PD che non è riuscito
a capire gli stravolgimenti della politica, anche all’interno dello stesso
partito, con l’avvento di Renzi. A Mazara si è ragionato come se niente fosse
successo; ognuno ha pensato di coltivare il proprio orticello e di ricavarne il
massimo. Solo che non si sono accorti che le sementi che avevano in mano erano
scadute e che non avrebbero germinato anche su un terreno ben fertilizzato. Il
resto è cronaca di una disfatta annunciata.
I risultati elettorali delle europee, in particolare, hanno dimostrato
che chi possedeva la golden share nel
PD locale non era affatto in sintonia con quella che era la lunghezza d’onda
della rivoluzione renziana. Una cosa era dichiararsi renziani per opportunità e
un’altra è quella di muoversi secondo direttrici coerenti con il nuovo corso
nazionale. Ciò non solo non è stato fatto, ma addirittura si è voluto
proseguire in senso opposto. Vediamo come:
La designazione di Bianco ha rappresentato nel complesso lo stato di
debolezza politica di quella classe dirigente del PD, nonché il suo stato
confusionale, tanto da contraddire quelle che erano le condizioni non
negoziabili di quelle anime angelicate, le primarie. La designazione di Bianco
al di fuori di esse rivelava l’obnubilamento e la pochezza politica di quella
classe dirigente.
Ciò non poteva che indebolire politicamente Pino Bianco dal punto di
vista della legittimazione politica. Lo stesso Bianco, al di là delle buone
intenzione, non è riuscito a districarsi da quella ragnatela mortale in cui era
caduto dovendo subire un insieme di designazioni assessoriali che andavano in
direzione opposta a quelle di un a nuova svolta. Mentre in campo nazionale Renzi
presentava come capi lista facce nuove e fresche, tutte donne, il candidato del
centrosinistra disegnava la sua squadra assessoriale con facce così vecchie che
più vecchio non si può, non curandosi se il comportamento politico delle stesse
fosse stato coerente, nel recente passato con quelle che erano le aspettative
dell’elettorato. Ci si aspettava che il candidato della sinistra prendesse in
mano il partito dandogli impulso e personalità. Così non è stato.
Il risultato è stato che il PD a Mazara è stato in controtendenza
rispetto ai risultati nazionali, con la conseguenza di una debacle politica di
enormi dimensioni. Di fronte a tanto disastro, nessuno della classe dirigente,
pur perdendone la faccia, ha avuto il pudore di rassegnare le dimissioni.
Quali considerazioni bisogna trarne?
- Primo: dal punto di vista politico la dirigenza piddina ha
dimostrato pochezza in termini di consensi e soprattutto di idee;
- Secondo: quel sindacato che ha consentito in altri momenti essere
una formidabile macchina di voti, si è rivelato in questa occasione, del tutto
disancorato dalla realtà, poco credibile, inoltre, sul piano della raccolta di
consensi, a tal punto da non riuscire a far eleggere in consiglio comunale il
suo rappresentante ufficiale, così come era stato stabilito da riunioni a
livello locale e provinciale;
- Terzo, che non esiste un PD come soggetto politico. Ci si aspettava
che dopo questi risultati avvenissero dimissioni di massa da parte dei
responsabili di chi ha portato in PD in questo tracollo. Ciò non è avvenuto.
Credo che il rinnovamento passi attraverso una questione fondamentale:
al sindacato, chiunque esso sia, non bisogna consentire di gestire la politica
all’interno dei partiti, per qualunque fine. Mi auguro che nel bene del PD
uomini dei sindacati ne restino fuori, almeno sul piano del controllo.