Mai come questa volta gli assenti hanno perduto
qualcosa che valeva la pena vedere.
Dopo una giornata convulsa e piena di
incertezze per le cattive condizioni
meteo che hanno fatto saltare o spostare molti degli eventi previsti nel Blu
sea Land 2015 abbiamo potuto assistere alla proiezione del film documentario di
Rossella Schillaci, Il Limite.
Il film proposto in prima visione assoluta per
Mazara dall’Istituto Euroarabo, alla presenza della stessa regista, è un
racconto raffinato, crudo e duro dell’usurante lavoro che si svolge sui
pescherecci duranti le battute di pesca. Girato interamente sul motopesca Priamo della flotta di Mazara, è la
testimonianza viva della vita di bordo, della fatica
dell’equipaggio, delle loro emozioni, del loro stato d’animo, della loro attesa
di rientrare a casa, del loro distacco dalle famiglie.
Rossella Schillaci narra attraverso i colori e i
suoni delle immagini uno spaccato di una realtà sconosciuta ai non addetti ai
lavori, agli stessi mazaresi di terra tanto distanti per cultura e per modalità
di pensiero dai loro concittadini marinari.
Due mondi separati e non comunicanti, che non si
contemperano eppure due realtà economicamente interdipendenti.
Mazara è da decenni una città di immigrati, di
convivenza tra diverse culture che non dialogano, separate a compartimenti
stagno, ciascuna con i loro stili di vita, le loro tradizioni, senza una
prospettiva di futura integrazione. Lo stesso isolamento e la stessa mancanza
di comunicazione avviene tra l’equipaggio del motopesca. Da una parte i
mazaresi che hanno le maggiori responsabilità operative e gestionali,
dall’altra l’equipaggio, in questo caso i tunisini. Tra di loro Ahmed, il
capopesca, con le sue preoccupazioni per la moglie in stato di gravidanza e che
per il suo lavoro è costretto a starle lontano. Nessuno è contento del proprio
lavoro, duro, faticoso, poco retribuito e che fa della pesca il compartimento
più in crisi della città. Si lamenta l’armatore, si lamenta il capitano, il
marinaio, sono rassegnati insieme alle loro famiglie a vivere la separatezza. Ci
si aspettava momenti di convivenza solidale tra l’equipaggio, invece il
giudizio del capitano è tranciante: “ Sono cattivi, non dimostrano segni di gratitudine...noi
per rispetto a loro non portiamo a bordo salumi e carne di maiale, ma loro se
ne fregano di questo nostro rispetto…sì, sono cattivi”parlando dei tunisini. Ha
il dente avvelenato per via dei mesi trascorsi nelle prigioni libiche a causa
dello sconfinamento di quel Limite al di là del quale la pesca è preclusa. Quel
limite che rende difficile il lavoro, che spesso si è costretti, per necessità
o per furbizia a oltrepassare, quel limite che diventato cimitero. Perché la
pesca a strascico raccoglie tutto dai fondali, dal gambero rosso alle triglie,
dal Satiro ai cadaveri del padre che tiene abbracciato il suo bambino. Tante
storie, tante delusioni, tante sconfitte. Alberto Licatini è l’armatore del
motopesca “Priamo”; suo padre, Luigi, è stato ucciso, negli anni sessanta, insieme al capitano
Genovese, dai tunisini che spararono sul peschereccio Salemi per avere
superato il limite delle acque territoriali. L’armatore mi racconta del suo
passato, di quando esercitava la pesca a Boston: ”Tutta un’altra cosa. Là le
regole si rispettano. Il fermo biologico è fatto per essere rispettato da
tutti, ed è un bene di tutti. A Boston sono andato a parlare direttamente con
Kennedy, quelli erano miliardari, ma la loro porta era sempre aperta a tutti.
Non come qui, che quando uno si fa quattro soldi non guarda in faccia nessuno.
A Mazara la crisi è colpa degli armatori e della politica. In questi ultimi
vent’anni non sono, non siamo riusciti a mettere insieme un progetto comune sul
futuro della marineria. Da quattrocentocinquanta pescherecci l’armamento è
sceso a novanta. La crisi è colpa di tutti, del gasolio troppo caro, del costo
del lavoro, delle banche che non concedono fidi. Fino a qualche anno fa il
mio conto in banca era abbastanza pingue, adesso è in profondo rosso. Come me
quasi tutti gli altri armatori”.
Licatini rappresenta una marineria che continua a
sopravvivere a stento e che non riesce a frenare il suo inarrestabile declino.
La crisi viene raccontata nelle splendide
immagini che la regista Rossella Schillaci riesce a trasmettere agli spettatori
con il suo film, che mostra una parte della città, la casbah, decadente, ai
limiti della dignità umana, dove risiede la gran parte della popolazione
immigrata, nonostante gli artificiosi orpelli tendenti a mascherarne l’aspetto.
“Il film non vuole essere una denuncia delle
condizioni sociali né contro qualcuno. Ho soltanto voluto testimoniare uno
scorcio di vita a me sconosciuto e che scopro sconosciuto alla gran parte dei
mazaresi.” dichiara la regista.
Una testimonianza che dovrebbe diventare
patrimonio dell’intera comunità mazarese, una pagina di vita e di storia
contemporanea da proiettare nelle scuole.