Quella osteria dove si scrisse la storia dell’arte del dopoguerra.*
Comprai il libro appena uscito dalle stampe,
nel 1994; lo lessi superficialmente.
Qualche
giorno fa l'ho ripreso, approfittando anche del centenario di Pietro Consagra. Ecco che un pezzo di storia dell’ Italia del
dopoguerra viene fuori da quelle pagine, come un lampo di luce, dando una
visione non sempre conosciuta di quel periodo per quanto riguarda l’avvento
dell’arte astratta.
Giovani
artisti siciliani fecero la storia, tra i quali Pietro Consagra di Mazara del
Vallo, Carla Accardi di Trapani e Antonio Sanfilippo di Partanna. Erano gli
anni del dopoguerra che vanno dal 1947 al 1950.
Consagra
e Sanfilippo già si conoscevano per avere frequentato negli stessi anni il
liceo artistico di Palermo.
Antonio Sanfilippo,seduto, e in fondo Pietro Consagra ,in piedi, nell'aula di scultura del liceo artistico di Palermo . 1942-43 |
«Mentre parlava Mafai disegnava sulla tovaglia di carta
macchiata dal vino di Frascati tante facce in fila, una processione; poi le
cancellava. All´altro capo del tavolo anche Consagra parlava e disegnava:
figure geometriche. Al momento di pagare il conto, poi, ebbi una sorpresa.
Nessuno tirò fuori una lira. Da Menghi, all´epoca, si mangiava a credito”
All´osteria si discuteva. Ci si divertiva, con certe
battute fulminanti, oppure´ si litigava per questioni politiche, anche se a
dibattere erano pittori comunisti contro pittori comunisti, astrattisti contro realisti. E parlare di politica significava parlare di
arte, discutere di astrattismo o realismo voleva dire discutere di politica e
di PCI.
C’era aria di cambiamento. Un nuovo vento soffiava da ovest,
da Parigi in particolare. Non certo il malandrino ponentino ma addirittura un
forte maestrale che di lì a poco avrebbe spazzato l’arte figurativa. A Roma la colonia dei siciliani in prima fila
con Consagra, Accardi, Attardi, Perilli, Sanfilippo, Scarpitta ai quali si
aggiunsero altri giovani pittori e critici d’arte, sceneggiatori e uomini del
cinema.
Erano pieni di
progetti, cercavano spazio che non trovavano, però ci provavano, nonostante la
reazione furiosa del partito ai quali appartenevano. Giovani caparbi, più delle
volte squattrinati, alcuni che
sopravvivevano nei tuguri, con lo stomaco perennemente vuoto, affamati tuttavia
di conoscenza, insoddisfatti e poco convinti degli orientamenti canonici di
quel che il partito della verità, il PCI,
indicava loro di attenersi, attraverso i sui rappresentanti più noti nel campo
dell’arte, Guttuso, Manzù, Trombadori.
Giovani dal forte temperamento, orgogliosi, testardi, ingenui,
che non disdegnavano di venire alle mani durante le loro discussioni per
difendere le proprie idee. Poi entravano in gioco i caratteri, sovente seguiti da
silenzi o da calci e pugni. Orbe da artisti insomma. Ogni tanto si organizzava
una mostra, ma non era facile; non si vendeva niente. Neanche una piccola tela
o una scultura né un disegno su un foglio di carta che consentisse loro di
pagare il pranzo, figuriamoci l’affitto.
Manifesto elettorale a favore del blocco del Popolo - Archivio Consagra |
Il mercato era chiuso per loro. I critici, le gallerie, i
musei sbattevano le porte a quei giovani.
Non trovando spazio
all’interno di quello che era in quegli anni del il cuore pulsante della Roma
culturale e artistica che andava da Trinità dei Monti e finiva a Piazza del
Popolo, fino a quel momento riconosciuto come il centro storico degli artisti,
dei corniciai, dei bordelli, il nucleo fondante dell’arte e della cultura,
dopoguerra. Trovarono nell’Osteria dei fratelli Menghi, situato fuori piazza
del Popolo,il luogo dove incontrarsi e discutere. Quella trattoria divenne il loro covo, a
detta degli ortodossi del PCI, l’habitat naturale delle anime ribelli.
In essa si rifugiano, vengono accolti dai proprietari; lì soprattutto
possono colmare la loro fame, naturalmente a credito. I proprietari
diventeranno subito i loro anfitrioni, li accolgono, li incoraggiano, danno
loro fiducia, fanno loro credito, li sfamano.I menghi imparano attraverso quegli
artisti a conoscere l’arte e li
sostengono.
Unico impegno, scrivere sull’apposito quaderno nero con i
margini rossi il pranzo o la cena consumata, con l’impegno di saldare il debito
dovuto quando ne avrebbero avuto la possibilità. Un patto d’onore tra i
proprietari e gli artisti che sarà quasi sempre rispettato, anche in cambio di
disegni o di qualche dipinto.
Per gratitudine e per riconoscimento verso i proprietari, alcuni
dipinsero delle pareti della trattoria.. L’affresco di Consagra occupava
l’intera parete della stanza più grande. Un seguirsi di forme simili a piastre,
dai colori freddi. Non sembravano i colori di un artista siciliano. Nè l’artista mazarese lo
voleva essere.
Le pareti della sala più piccola furono dipinte da Antonio
Sanfilippo, da Carla Accardi, da Giulio Turcato. Essi al contrario di quelli di
Consagra, andarano distrutti nel tempo per incuria.
Carla Accardi nella trattoria Menghi |
Carla Accardi e Antonio Sanfilippo si
sposeranno.
Le storie, gli aneddoti, le avventure che si raccontavano
durante le cene, rimbalzavano da un tavolo all’altro, da un gruppo di artisti
all’altro.
Amori, politica, goliardate, insulti, schiaffi, gelosie e
sberleffi. Tutto questo era quella trattoria così particolare, così diversa,
così umana, così lontana dal tracotanza sciccosa di chi era artisticamente
arrivato o che godeva di privilegi di partito, interpretandone gli orientamenti
realistici contro il nuovo vento astrattista.
Non importava se poi il partito si mostrasse in
contraddizione. Da una parte avversava i giovani astrattisti e dall’altra
elogiava Picasso e la sua avversione al figurativo. In prima fila sempre
Guttuso.
Ci voleva tanto coraggio, in quegli anni che vanno dal 1947
al 1950 a fare credito. Ecco, il dopoguerra dell’arte e della cultura in Italia
si svolge in quella modesta osteria, luogo duple face, frequentata di giorno da
impiegati dello stato, da tranvieri, da militari della marina e di sera da artisti
squattrinati.
Ebbene, in quella trattoria si fece la storia dell’arte del
dopoguerra e anche del cinema, luogo di ritrovo non solo di artisti. Si avvicinarono, all’inizio
per curiosità, fino a diventare stanziali, scrittori, registi, poeti, critici
d’arte. L’osteria divenne così richiamo
di curiosi che venivano da tutto il mondo per conoscere quegli artisti così
particolari dei quali s’incominciava a parlare e scrivere sui giornali. Si faceva
vedere qualche volta Cardarelli con il suo cappotto trasandato e sporco, più
spesso si notava la presenza di Alfonso Gatto. E’ lì che Pavese si ispirò per
il suo Barone rampante ascoltando le
storielle che raccontava Scarpitta.
In quei tavoli facevano gruppo, si parlava di arte che voleva
dire politica, che non era altro che una ferma ribellione agli indirizzi dei
sacri canoni del partito comunismo e del realismo rappresentato da Guttuso e da Manzù.
Accardi, Sanfilippo, Consagra, Turcato ,dopo un breve viaggio
a Parigi nel 1947, in cui per la prima volta potevano vedere dal vivo l’arte astratta della quale ne
avevano avuto sentore, furono colpiti emotivamente dagli impressionisti e in particolare dai
dipinti di Cezanne. Incontrarono Magnelli, Hartung. Visitarono la casa di
Picasso.
Al loro ritorno, fu nello
studio di Guttuso, nel quale era ospitato, e approfittando della sua assenza,
che Consagra insieme a Carla Accardi, Antonio Sanfilippo, Ugo Attardi, Piero Dorazio ,Achille Perilli,
Giulio Turcato, Mino Guerrini, osarono contestare la linea ufficiale del PCI ai
quali erano peraltro iscritti e militanti.
“Noi siamo marxisti e formalisti, convinti che i termini marxismo e
formalismo non siano inconciliabili…
ci interessa la forma del limone, non il limone” ebbero a
scrivere in un numero unico della rivista, a cui diedero il titolo di FORMA
1 quei giovani vogliosi di novità, ai quali il realismo faceva
venire l’orticaria, rifiutando di questo ogni pretesa simbolista o psicologica.
Oltre a provocare la reazione stizzosa e velenosa di Guttuso
e di Trombadori, allora vessilliferi del realismo, scese in campo, tempo dopo,
a seguito di una Mostra Nazionale d’Arte Contemporanea a Bologna, con un corsivo
tranciante e sprezzante a firma di Rodrigo di Castiglia, addirittura Togliatti, allora segretario del PCI.
“ E’ una raccolta di
cose mostruose, riproduzione di così detti quadri ,disegni, sculture…Come si fa
a chiamare arte e persino Arte Nuova questa roba…esposizione di orrori e di scemenze,
di scarabocchi…”
Un vero anatema, una scomunica verso quei giovani che avevano
auto l’ardire di sfidare e contestare le linee guida del partito.
Tuttavia erano e risero degli artisti comunisti,con tessera e
militanti.
Talmente militanti e ingenui . A riprova di ciò le elezioni
del 1948. Quando si costituì il Fronte del Popolo, Consagra creò, nel suo
studio di Via Margutta 48 una scultura in ferro chiamandola proprio Fronte del Popolo e se la caricava ogni giorno sulle
spalle fino a Piazza di Spagna,nella speranza che qualcuno la notasse e
intimamente che qualche dirigente del PCI,al quale era tesserato, lo
gratificasse, per quel modo inusuale di fare propaganda per la parte politica a
cui si sentiva idealmente di appartenere.
Fronte Popolare 1948 Archivio Consagra |
Guttuso, che appena arrivati a Roma li aveva ospitati nel suo
studio di Via Margutta, punto di riferimento per tutti i giovani artisti
siciliani, non volle più saperne di loro. Li considerava dei traditori.” Basta
allattare serpi nel petto” gridò un giorno riferendosi soprattutto a Consagra.
Non mancavano le goliardate trasgressive, tipiche delle
volgarità di provincia. Se no che goliardate sono.
Una sera Consagra,
evidentemente sotto gli effetti di qualche bicchiere in più, propose di
eleggere “Miss Culo”. Era una sfida al puritanesimo post rivoluzionario del PCI
e soprattutto ai suoi dirigenti. Le uniche che accettarono di partecipare a
quel gioco furono Oretta Fiume, ex fidanzata di Consagra e poi compagna di Turcato e Clotilde Scarpitta
compagna dell’artista siciliano.
Una sera, sempre Consagra, in preda a uno dei suoi
imprevedibili istinti, la combinò grossa.
Tra le tante ragazze che frequentavano l’osteria, vi era
Carmen Scarpitta, giovane attrice di prosa. La ragazza, avvenente,bionda,
portava i capelli lunghi a treccia che le cadeva sulla schiena.
Consagra non sopportava i capelli a coda di cavallo e promise
che un giorno, se non lo faceva lei, glieli avrebbe tagliati.
Una sera, lo scultore, come aveva promesso, afferrò un paio
di forbici e le recise i capelli che gli restarono in mano tra un silenzio allibito
dei presenti.
Consagra ostentava indifferenza mentre la ragazza scoppiava a
piangere.
Fu qualche attimo dopo che egli, nel guardare gli altri, impallidì,
forse sorpreso per quel gesto così violento. Consagra tuttavia non si scusò, non
giustificò il suo gesto; anzi sostenne che una ragazza moderna doveva liberarsi
da quelle arie da collegiale chela treccia le dava.
La reazione di Scarpitta, dinanzi a quel gesto che umiliava
la sorella, anche se stizzita, fu contenuta e con grande sorpresa gli disse:
”Parli così perché sei calvo!” Quel gesto di violenza riportò
alla memoria quello dei partigiani che rapavano, come atto di castrazione e di
umiliazione, le ragazze fasciste.
Quell’episodio suggerì a Ugo Pirri, testimone quella sera del
taglio di capelli, il libro Jovanka e le altre e poi un film.
Una sera, nello studio di Mafai, ognuno doveva scrivere una
propria storia da pubblicare a fine anno in un almanacco.
Consagra scrisse la storia del suo primo amore per una
ragazza del suo paese alla quale non ebbe mai il coraggio di rivolgere la
parola. Era intimidito dalla sua bellezza. Alla fine, perché lei si accorgesse
di lui, modellò una statua che avrebbe dovuto essere collocata sulla facciata
di una chiesa al centro del suo paese: Mazara del Vallo.
Erano consapevoli questi giovani artisti che il loro successo
dipendeva dall’essere notati dai critici, quelli che poi consigliano ai
collezionisti o ai musei di comprare le opere. Per questo erano gelosi l’uno
dell’altro. Cercavano l’esclusiva. Se venivano a conoscenza della presenza di
un collezionista o critico d’arte importante, si faceva di tutto per non farlo
sapere agli altri, al fine di condurlo nel proprio studio e mostrare le proprie opere.
Consagra al lavoro nel suo studio (da L'Europeo,1963) |
Così quando Consagra seppe che Chrstian Zervos,editore e direttore dell’autorevole Cahiers d’art, sarebbe venuto a Roma,
fece di tutto per conoscerne l’itinerario, intercettarlo e condurlo nel suo
studio, in via Margutta 48.Consagra fece di tutto per nascondere la notizia
agli altri per timore che lo potessero precedere e trascinarlo davanti alle
loro opere per impedirgli di visitare
gli altri studi. Erano amici sì, ma concorrenti accaniti. Senonchè Turcato, che
aveva lo studio attiguo e comunicante a quello di Consagra, e che sapeva
dell’arrivo di Zervos, fece in modo che lo sapessero anche gli amici. Così, quando Zervos e Consagra entrarono nello studio, lo trovarono pieno di
giovani artisti ansiosi e contemporaneamente emozionati di parlargli e di ascoltarlo.(Inserire
foto di Consagra a colori dall’europeo)
Consagra con il sen.Ludovico Corrao |
Quella trattoria degli artisti attirò anche i critici
dall’estero, e con essi i cultori e i collezionisti dell’arte astratta. Si
organizzarono le prime mostre, si aprirono per loro le porte della Biennale
I musei, i collezionisti, le gallerie private incominciarono
a mostrare sempre più interesse per l’arte astratta. Seguirono i successi
intercalati da delusioni.
* Ugo Pirro: Osteria
dei pittori. Sellerio 1994.
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