Ha
smesso di piovere da alcune ore,ma si respira un’aria ancora umida e calda
dovuta allo scirocco. Lo scirocco a Novembre
non è una normalità,di solito predominano i venti di ponente e qualche
libecciata. Ma da un po’ di tempo il clima si è tropicalizzato. Così si
alternano violenti acquazzoni ad intensi squarci di cielo azzurro.
Decido,all’improvviso,di lasciare in standby il
mio notebook e di sgranchire le gambe irrigidite dall’immobilità della postura con una passeggiata lungo le strette stradine
del centro storico di Mazara.Vi sono appena trecento metri da casa mia a piazza
Mokarta.
Approfitto
del tepore della temperatura che gradualmente va innalzandosi per uscire di
casa,non prima di avere messo in tasca la mia Nikon coolpix. E’ una di quelle
macchinette digitali di cui ti puoi sempre fidare all’occorrenza e che non ti
tradiscono mai. Almeno si pensa. Peraltro sono estremamente comode da tenere in
un taschino per le loro dimensioni molto ridotte. Sono meno ingombranti del
portafoglio. Solo che ti devi ricordare di tenere la batteria sempre carica,ma
chissà perché, a me capita spesso che si scarichi all’improvviso nel momento in
cui ne hai più bisogno.
Uscire
alle 10 di mattina e guardare le vie luccicanti
dai riflessi della pioggia ti da un senso di pulizia e di serenità,soprattutto
se le strade del centro sono avvolte nel silenzio assoluto. In quell’inizio di giornata non c’è anima viva
in giro,i ragazzi sono tutti a scuola. Le saracinesche dei negozi sono state da poco alzate,i bar vuoti.
E’ in queste condizioni che puoi godere della
musica del silenzio. Chi vuoi che esca a quest’ora di un martedì,che poi è il
più anonimo dei giorni della settimana? (La stessa sensazione e lo stesso
effetto si ripresenta più tardi, alle cinque di pomeriggio).
Attraverso
una Piazza Mokarta ancora intorpidita dalla pioggia,la zona ZTL amplifica il
senso di vuoto. I miei sneakers rendono felpati i passi al contatto con i
lastroni bocciardati della strada. La
piazza Municipio si presenta davanti a me incorniciata in una scenografia stracolma di assenze. Non un’anima viva, il bar vuoto,la
via Garibaldi che si snoda nella sua incomprensibile solitudine,e quei pochi
raggi incidenti di luce che vi penetrano
la rendono ancor più triste e desolante. Sembra il percorso di un
paesaggio kafkiano.
Itinerario dei Vicoli. Trovo
la scritta su mattonelle in ceramica ripetersi ossessivamente lungo tutto quel
labirinto di viuzze. La stessa scritta ,con le stesse piastrelle,con lo stesso
colore, con gli stessi smalti,con lo stesso carattere che mi accompagnò durante
una mia visita a Calatafimi.
Mi incammino per il vicolo Giattino:lo
percorro lentamente accompagnato dal ritmo scandito dalle note martellanti e
ripetute di una musica arabeggiante
proveniente da uno di quei cortili taroccati da piastrelle,le stesse che sul
pavimento cementato indicano la direzione, le stesse che in quelle facciate in parte bianche e in parte azzurre ricalcano
uno improbabile miscuglio stilistico di
culture che non riescono ad intrecciarsi.
Osservo lo sventolio di panni ancora umidi,
stesi ad asciugare sulle ringhiere delle
brevi scale dei piccoli cortili interni,andare alla ricerca del tepore del sole
che vi penetra abbagliante; dalle porte socchiuse voci magrebine si intercalano alle
nostalgiche note della musica delle radio o dei televisori sintonizzati sulle
frequenze dei canali tunisini. E’ la stessa nostalgia che da sempre accompagna
ogni migrante in ogni luogo.
Osservo
i pannelli di ceramica che tappezzano le facciate delle case, messi là a
bella posta,in un inconsapevole caos culturale, per raccontare una storia,una leggenda,una tradizione,tutte slegate tra
loro,e per ricordare retaggi che non senti tuoi, mentre hai la percezione di
essere osservato da presenze che ti
seguono da dietro le finestre. Proseguo
curioso in quelle viuzze di case abbandonate,degradate,fatiscenti,
mascherate da cornici di pittura con
calce bianca,quasi a volerle disinfestare, con su disegnate finte porte che introducono al niente, commiste ad abitazioni ricostruite con stile stridente
dopo l’ultimo sisma degli anni ’80. La ricostruzione ha violentato più del
sisma l’antica tipologia del quartiere storico.
Dal vicolo degli Aragonesi si arriva alla
piazzetta Mahdia seguendo il solito camminamento tracciato da piastrelle sui
muri,dall’ossessiva presenza di giare e pannelli,dai racconti e dai disegni che
vogliono coprire la violenza del degrado dovuto al tempo,all’incuria e
all’indifferenza dell’uomo. Di tanto in
tanto passa un mio consimile,un tunisino
o uno slavo,le sole forme antropologiche di quella mattinata.
Proseguo
attraverso quell’intreccio di viuzze della casba,sono le 11 appena trascorse, e
questa volta di gente ne incontro un po’ di più;ragazzini che giocano ma che dovrebbero essere a scuola a quell’ora,un’anziana
slava seduta sul gradino della porta di
casa,i soliti panni stesi nei cortili;la via Pilazza con i suoi
inconfondibili contrafforti a forma di semiarco è immersa nella sua solitudine.
Mi colpisce la pulizia delle stradine,l’assenza di spazzatura e di odori dei quali vado inconsciamente alla ricerca.
Ancora piastrelle con i soliti disegni,ancora giare,ancora pannelli
multicromatici,e ancora muri dipinti con la calce a far da cornice che ti invitano
ad osservare quel che si vuole che si osservi,che ti invogliano a tenere lo
sguardo non oltre un certo livello al di
sopra del quale ti rendi conto che la
realtà non può essere nascosta né artefatta,perché se il passato vive nel
presente, questo presente non riesce a restituirgli l’anima e dargli un futuro.
E’ scomparsa l’antica pilazza, il lavatoio
comune adesso fa posto ad un cortile anonimo, e
più in là,una breve scala ceramizzata ti accompagna nella chiesa barocca
di S. Francesco,vittima di un restauro mal riuscito e soprattutto devastata e umiliata da un arredo di paccottiglie che feriscono la dignità e la
storia di quel luogo di preghiera.
Non
meno offeso dal degrado e da restauri approssimativi si presenta il convento
francescano,in pessimo stato, con le pareti scalcinate e corrose,con il suo chiostro
in balìa delle erbacce e dell’incuria.
Esco da quel groviglio di
macerie del passato,di silenzio e di degrado per immergermi nei rumori della
quotidianità.
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