Una bella storia di un bambino ebreo
e
di un mazarese sconosciuta alla città.
L’Anschluss
era avvenuta da appena due giorni quando le truppe naziste entrarono a Vienna. Quel
14 marzo del 1938 resterà una data impressa nella memoria di Eric che allora
aveva 8 anni. Seguirono cinque giorni di sconvolgimenti nella vita del bambino
che a quella età sarà costretto a vivere il suo primo trauma; fino allora aveva
goduto di una vita ovattata e agiata grazie alla condizione economica della sua
famiglia. Fu quel giorno che Eric perse l’affetto e le coccole di Millie, la
sua affezionata giovane baby-sitter austriaca, alla quale era stato fino a quel
momento legato. Quello stesso giorno la sua famiglia scoprì l’arroganza, la
freddezza e la cattiveria della giovane collaboratrice domestica. Fu in quel 14
marzo che Eric e i suoi genitori provarono cosa vuol dire essere ebrei, loro,
di origine polacca, che avevano scelto l’Austria come dimora felice e Paese di
adozione. In quei 5 giorni progettarono la loro fuga; Vienna era diventata per
loro inospitale. Fuggirono dalla città servendosi di un taxi con lo stendardo
della croce uncinata. Eric ancora non conosceva il significato di quel simbolo,
né il lucubre marchio delle SS.
Viaggiarono
in treno prima verso la Francia, poi in Italia. Il padre ritorna in Polonia per
seguire gli interessi familiari. Di lui e dei suoi parenti si perdono
definitivamente le tracce dopo l’invasione della Polonia da parte dei tedeschi;
la stessa sorte toccherà a centinaia di migliaia di ebrei polacchi.
Intanto
in Italia, Mussolini aveva promulgato le leggi razziali per compiacere quello
che sarà il suo alleato. A madre e figlio li aspettava il confino. La fortuna
di Eric e di Lotti, la madre, è stata quella di essere stati confinati in uno
sperduto paesino del sud, Ospedaletto d’Alpinolo, milleottocento abitanti, in
cui il tempo sembrava essersi fermato al 1800; dove la gente camminava a piedi
nudi, un villaggio di analfabeti, influenzato dalle antiche tradizioni e
superstizioni secolari. A ben pensarci, più di una pena, forse fu un dono quel
luogo di confino e di confinati politici, antifascisti ed ebrei, inglesi, polacchi,
francesi, tutti considerati nemici del Paese. Tra questi anche due confinati
politici italiani, uno dei quali mazarese.
Pietro
Russo diventa il suo tutore. Le vita di Eric e del siciliano sono destinate a
rinsaldarsi nell’affetto, oltre che nell’amicizia, quando Pietro Russo sposa Mutti, così il bambino chiamava sua
madre Lotti. Ma il conflitto riverbera la sua crudeltà anche in quel paesino
sperduto, ed Eric conosce le atrocità della guerra; il ragazzo è così costretto
a crescere in fretta, sperimentare l'odio, sentire l'odore della morte. Scoprirà
anche l’umanità di un popolo che non li abbandonerà e che lui non abbandonerà.
Eric Lamet alla fine della guerra è rimasto in Italia, a Napoli, fino al 1950,
dove ha studiato e si è laureato in ingegneria.
Pietro
Russo e Mutti decidono, nel 1950 di intraprendere l’avventura americana;
partono tutti per l’America. Là, Eric continua i suoi studi in varie
università; il suo destino sarà ricco di soddisfazioni e di successo nel campo
professionale. Ma non ha dimenticato il suo passato, torna spesso in quei
luoghi e anche a Mazara, la città di colui che è stato padre e amico nella
crescita.
È
a Pietro Russo che Eric Lamet dedica il libro. Una pagina di storia mazarese
sconosciuta alla città.
Eric Lamet: Il Bambino nell’Isola del Sole. Sperling&Kupfer Editore
Il volume sarà presentato dall’Istituto
Euroarabo al Teatro “Garibaldi” di Mazara del Vallo venerdì 12 Febbraio 2016
alle ore 17,00
Dialogano con l’Autore:
Antonino Cusumano, Istituto Euroarabo
Rosario Lentini, Storico
Letture a cura di Gloriana Ripa
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