Nel paese in cui tutti sono tecnici, critici, opinionisti, esperti in tuttologia, non poteva mancare la categoria più amata e più avversata dai politici, quella dei sondaggisti.
Anch’io,
tra il serio e il faceto, ho provato ad addentrarmi in quel groviglio di previsioni
fatto di sondaggi dei quali sono piene le pagine dei giornali. Nel farlo non mi
sono avvalso di un metodo scientifico né di complicati algoritmi; per questo
sono consapevole che sarò smentito dai risultati che usciranno dalle urne tra
quindici giorni.
Perché
non provarci allora? Provate ad entrare in un qualsiasi comitato elettorale di
cui sono piene, in questi giorni, ogni via, ogni angolo, ogni piazza della città.
Vi renderete conto di quante previsioni di voto e di quanti numeri sono scarabocchiati i
fac-simili; risultati usciti da macchinosi calcoli mentali e che interessano ciascun
candidato sindaco, ciascuna coalizione, ciascuna lista. Più che programmi, là
dentro si sfornano con compiacenza numeri a tre–quattro cifre, percentuali, comparazioni
ed elaborazioni statistiche da fare invidia ad un master bocconiano.
Le
mie considerazioni sono strutturate su osservazioni, su scambi di opinioni, ma
soprattutto su sensazioni epidermiche, e pertanto influenzate anche da antipatie e simpatie
(non poteva non essere che così ), ma niente di personale. Alla fine di lunghe
notti insonni passate tra fogli excel, funzioni, formule di imput e
grafici di tutti i tipi, il risultato che sono riuscito a tirare fuori mi è
sembrato quanto meno idoneo a raggiungere due obbiettivi, fare gioire alcuni,
fare incazzare altri. D’altronde la vita non è fatta di gioie e di
incazzamenti?
Che ve ne pare?
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