Il caos
Ritorno, dopo mesi di assenza a scrivere sul blog. Parto da dove l’avevo
lasciato, dal referendum. Avendo seguito con attenzione le varie ragioni,
quelle del No e quelle del SI, con uno sguardo sempre più cauto sui sondaggi,
azzardo alcune considerazioni personali nel caso che queste previsioni
dovessero avverarsi.
Non
so se il responso che uscirà dalle urne sarà un Ordalia su Renzi, né so se vi
sarà una redde rationem all’interno
del PD, qualunque possa essere il risultato (credo di sì). Una cosa però è
certa, dopo il 4 dicembre non si potrà continuare a parlare il politichese. Tutti
gli schieramenti, l’un contro l’altro armati, usciranno sconfitti sul piano
politico.
In caso di vittoria del No, nel festeggiare la
sconfitta di Renzi, nello schieramento vincitore, al di là delle rituali
dichiarazioni politichesi, non tutti potranno attribuirsi il merito della
vittoria, o per meglio dire, non a tutti sarà concesso tale merito.
Non a Berlusconi
che la Riforma costituzionale e la legge elettorale ha contribuito a scriverla
e votarla più volte e la cui tardiva adesione al NO, più che per convinzione, è
frutto di opportunità, di visibilità e
di rivalsa politica.
Non ai nostalgici della Ditta, la minoranza PD
con in testa Bersani e il suo discepolo prediletto Speranza, che la stessa
riforma hanno appoggiato, sottoscritto e votato in tutti e sei passaggi
parlamentari e che, in nome di una nemesi per una sconfitta mai accettata nel
precedente congresso del partito, con un prodosismo da manuale, non hanno
esitato a passare dall’altra parte, unendo le proprie forze a quelle del M5S, proprio quel movimento che secondo i
sondaggi, dell’Italicum, così com’è, sarebbe il maggior beneficiario ad andare
al governo.
Passata
la sbornia delle europee e dopo il calo nelle scorse amministrative, i bersaniani sperano di dare la spallata al loro segretario
premier passando dall’altra parte per combattere insieme al nemico del loro nemico.
In
politica l’incoerenza è virtù, non importa se Bersani & C
hanno appoggiato e votato favorevolmente la riforma. A sentir loro non si considerano disertori; sono pronti a sbranare chi li accusa di tradimento. La loro è una
missione evangelica di sinistra.
Non
ai vari cespugli della sinistra e ai puristi di Libertà e Giustizia, da
Zagrebelsky a Montanari, che sul piano politico hanno meno peso di un chicco di
grano, e tuttavia utilizzati come foglia di fico dal movimento di Grillo e
Casaleggio oltre che dalla Lega di Salvini e dalla destra della Meloni.
Non alla Lega di Salvini, ai cui appelli di
manifestazioni unitarie, Di Maio e Di Battista non ne sentono la necessità di
aderire.
Non a D’Alema che con la sua imbarazzante
quanto stravagante compagnia dei De Mita, Cirino Pomicino, Gianfranco Fini,
Lambert Dini, utilizza lo scenario referendario come l’ultima e disperata
occasione per resistere all’inesorabile discesa nell’oblìo. E lo fanno nel modo
meno elegante possibile.
La
vittoria del No sarà solo ed esclusivamente la vittoria di facciata del M5S che
ha continuato a mantenere alta la tensione politica sin dal suo ingresso in
Parlamento con strumentalizzazioni spesso populiste intercalate da proposte
accattivanti ma difficilmente realizzabili che fungono da specchio per le
allodole, come il reddito di cittadinanza, nonostante le catastrofi e i sismi
che la buona natura non ci fa mancare.
Il
successo del M5s è dovuto nell’avere alle spalle una cabina di regia raffinata
sul piano della comunicazione; cabina di regia incapace, però, di fare
corrispondere una altrettanto elaborata e credibile proposta politica,
alternativa alla riforma, che si presenti più funzionale a quelle che sono le
esigenze di un sistema socio economico sempre più insofferente della
inadeguatezza dell’attuale. Il M5S, continua a dare in questa lunga campagna
referendaria motivazioni spesso banali per spiegare il suo No e che tuttavia si
mostrano efficaci nella raccolta del consenso.
Di
contro, bisogna dargliene atto, ha saputo portare il dibattito alla
radicalizzazione, trasformandolo da tecnico ed elitario, buono per pochi
giuristi e per gli addetti ai lavori, in politico, facendo uso di un linguaggio
diretto, forte, rivolto soprattutto alla pancia del suo elettorato e agli
scontenti.
Così
facendo stimola le pulsioni di un malessere causato dalla politica del rigore
dell’Europa, dai poteri forti, dai grandi interessi finanziari, dalla Spectre
di Bildeberg dalle agenzie di rating e dai governi che in questi anni si sono
avvicendati, ieri Monti, poi Letta, oggi Renzi.
La
superficialità con la quale discutono nel merito la riforma oggetto del
referendum, se per gli osservatori e gli avversari rappresenta un loro punto
debole, al contrario, diventa per loro un punto di forza, abili come sono nel ribaltare
la questione sul malessere sociale dal quale è facile trarre linfa.
Questo inevitabilmente sarà sicuramente un
formidabile propellente per arrivare al governo di alcune regioni, la
Sicilia in testa, ma non a quello nazionale. A meno che Renzi non faccia quello che
tutti chiedono a gran voce, ma che nessuno in camera caritatis si augura, dimettersi in caso di sconfitta.
Corte
Costituzionale permettendo, l’Italicum li traghetterebbe con probabilità
elevate al governo del Paese. Perché è chiaro che mai il M5S accetterà un
governo di transizione in caso di vittoria del No, e meno che mai a guida
Renzi. Chiederanno lo scioglimento di quel parlamento da loro ritenuto
illegittimo in forza della sentenza della Consulta contro il porcellum e di
andare alle elezioni con l’abominevole Italicum al quale in segreto strizzano
l’occhio.
Cosa farà il PD in caso di bocciatura della
riforma? Meglio cosa farà Renzi?
Tutto
dipenderà dal risultato in termini numerici. Appare chiaro che uno scarto di
pochi punti percentuali a vantaggio del No, significherebbe, è vero, la
sconfitta del governo, ma in termini politici sarebbe un innegabile successo
personale del premier. Essere sconfitto
di misura da una Santa Alleanza che vede
insieme religiosi e miscredenti, neo fascisti di F.N e ANPI, Grillo insieme a Salvini, Berlusconi con D’Alema, gli intellettuali di Libertà e Giustizia
con Magistratura Democratica insieme alla minoranza del PD e il variegato mondo
della sinistra italiana, lo rinforzerebbe all’interno dello stesso PD. Gli
verrebbe facile argomentare che l’alternativa a Lui sarebbe il nulla o il Caos,
e sul piano politico nessuna alleanza sarebbe possibile con i soggetti
vincitori. D’altronde sarebbe inimmaginabile sostituire l’attuale governo con
un governicchio di scopo che abbia la funzione di fare una nuova legge
elettorale ad un solo anno dalla scadenza naturale.
Non ci starebbe il PD sempre più Renzi dipendente,
soprattutto in vista di un congresso al cui interno si consumerebbe quella resa
dei conti definitiva sino a oggi tanto rinviata.
Non
ci starebbero i partiti vincitori che sarebbero su posizioni divisive e
inconciliabili. Non sarebbe,apparentemente, neanche ipotizzabile un Patto del Nazareno 2.0 in
considerazione dell’ultima conversione di Berlusconi sulla via del
proporzionale e del bicameralismo paritario, né tanto meno una convergenza
Destra – M5S sul proporzionale. Sarebbe la fine delle speranze di entrambi gli
schieramenti di andare a governare.
A
meno che la paura non faccia novanta e tale “scantu” non faccia correre sia il
PD sia quel che resta di Berlusconi ai ripari, riposizionandosi su un Italicum
con premio di maggioranza alla coalizione vincente ed eliminazione del ballottaggio.
In questo caso gli scenari politici sarebbero imperscrutabili e tutti da
immaginare. Ma con la bocciatura della riforma, l’Italicum applicato ad una
sola camera non avrebbe senso.
La
prospettiva di un ritorno alle urne anticipato è la strada che tutti si avviano
a intraprendere. Con prospettive non facilmente preconizzabili, sia se si vada
alle urne con il proporzionale, sia con l’Italicum, anche riveduto e corretto, se
la Corte Costituzionale non lo dovesse bocciare. Nell’uno e nell’altro caso non
ci sarebbero vincitori. Questo sì che
getterebbe il Paese nel caos. Sarebbe la sconfitta di tutti. Soprattutto della
politica.
|