Cartesio


Non c'è nulla interamente in nostro potere,se non i nostri pensieri.
Cartesio

lunedì 24 febbraio 2020

Ricordando Pietro Consagra. 1920 - 2020


Quella osteria dove si scrisse la storia  dell’arte del dopoguerra.*


 Comprai il libro appena uscito dalle stampe, nel 1994; lo  lessi superficialmente.
Qualche giorno fa l'ho ripreso, approfittando anche del centenario di Pietro Consagra.  Ecco che un pezzo di storia dell’ Italia del dopoguerra viene fuori da quelle pagine, come un lampo di luce,  dando una visione non sempre conosciuta di quel periodo per quanto riguarda l’avvento dell’arte astratta.
Giovani artisti siciliani fecero la storia, tra i quali Pietro Consagra di Mazara del Vallo, Carla Accardi di Trapani e Antonio Sanfilippo di Partanna. Erano gli anni del dopoguerra che vanno dal 1947 al 1950.
Consagra e Sanfilippo già si conoscevano per avere frequentato negli stessi anni il liceo artistico di Palermo. 
Antonio Sanfilippo,seduto, e in fondo Pietro Consagra ,in piedi, 
nell'aula di scultura del liceo artistico di Palermo . 1942-43
 «Mentre parlava Mafai disegnava sulla tovaglia di carta macchiata dal vino di Frascati tante facce in fila, una processione; poi le cancellava. All´altro capo del tavolo anche Consagra parlava e disegnava: figure geometriche. Al momento di pagare il conto, poi, ebbi una sorpresa. Nessuno tirò fuori una lira. Da Menghi, all´epoca, si mangiava a credito”
 All´osteria si discuteva. Ci si divertiva, con certe battute fulminanti, oppure´ si litigava per questioni politiche, anche se a dibattere erano pittori comunisti contro pittori comunisti,   astrattisti contro realisti.  E parlare di politica significava parlare di arte, discutere di astrattismo o realismo voleva dire discutere di politica e di PCI.
C’era aria di cambiamento. Un nuovo vento soffiava da ovest, da Parigi in particolare. Non certo il malandrino ponentino ma addirittura un forte maestrale che di lì a poco avrebbe spazzato l’arte figurativa.  A Roma la colonia dei siciliani in prima fila con Consagra, Accardi, Attardi, Perilli, Sanfilippo, Scarpitta ai quali si aggiunsero altri giovani pittori e critici d’arte, sceneggiatori e uomini del cinema.
 Erano pieni di progetti, cercavano spazio che non trovavano, però ci provavano, nonostante la reazione furiosa del partito ai quali appartenevano. Giovani caparbi, più delle volte  squattrinati, alcuni che sopravvivevano nei tuguri, con lo stomaco perennemente vuoto, affamati tuttavia di conoscenza, insoddisfatti e poco convinti degli orientamenti canonici di quel che il  partito della verità, il PCI, indicava loro di attenersi, attraverso i sui rappresentanti più noti nel campo dell’arte, Guttuso, Manzù, Trombadori.
Giovani dal forte temperamento, orgogliosi, testardi, ingenui, che non disdegnavano di venire alle mani durante le loro discussioni per difendere le proprie idee. Poi entravano in gioco i caratteri, sovente seguiti da silenzi o da calci e pugni. Orbe da artisti insomma. Ogni tanto si organizzava una mostra, ma non era facile; non si vendeva niente. Neanche una piccola tela o una scultura né un disegno su un foglio di carta che consentisse loro di pagare il pranzo, figuriamoci l’affitto.


Manifesto elettorale a favore del blocco del Popolo
 - Archivio Consagra

Il mercato era chiuso per loro. I critici, le gallerie, i musei sbattevano le porte a quei giovani.
 Non trovando spazio all’interno di quello che era in quegli anni del il cuore pulsante della Roma culturale e artistica che andava da Trinità dei Monti e finiva a Piazza del Popolo, fino a quel momento riconosciuto come il centro storico degli artisti, dei corniciai, dei bordelli, il nucleo fondante dell’arte e della cultura, dopoguerra. Trovarono nell’Osteria dei fratelli Menghi, situato fuori piazza del Popolo,il luogo dove incontrarsi e discutere.  Quella trattoria divenne il loro covo, a detta degli ortodossi del PCI, l’habitat naturale delle anime ribelli.
In essa si rifugiano, vengono accolti dai proprietari; lì soprattutto possono colmare la loro fame, naturalmente a credito. I proprietari diventeranno subito i loro anfitrioni, li accolgono, li incoraggiano, danno loro fiducia, fanno loro credito, li sfamano.I menghi imparano attraverso quegli artisti a conoscere l’arte e li  sostengono.
Unico impegno, scrivere sull’apposito quaderno nero con i margini rossi il pranzo o la cena consumata, con l’impegno di saldare il debito dovuto quando ne avrebbero avuto la possibilità. Un patto d’onore tra i proprietari e gli artisti che sarà quasi sempre rispettato, anche in cambio di disegni o di qualche dipinto.
Per gratitudine e per riconoscimento verso i proprietari, alcuni dipinsero delle pareti della trattoria.. L’affresco di Consagra occupava l’intera parete della stanza più grande. Un seguirsi di forme simili a piastre, dai colori freddi. Non sembravano i colori di un  artista siciliano. Nè l’artista mazarese lo voleva essere.
Le pareti della sala più piccola furono dipinte da Antonio Sanfilippo, da Carla Accardi, da Giulio Turcato. Essi al contrario di quelli di Consagra, andarano distrutti nel tempo per incuria. 
Carla Accardi nella trattoria Menghi 

Carla Accardi e Antonio Sanfilippo   si sposeranno.
Le storie, gli aneddoti, le avventure che si raccontavano durante le cene, rimbalzavano da un tavolo all’altro, da un gruppo di artisti all’altro.
Amori, politica, goliardate, insulti, schiaffi, gelosie e sberleffi. Tutto questo era quella trattoria così particolare, così diversa, così umana, così lontana dal tracotanza sciccosa di chi era artisticamente arrivato o che godeva di privilegi di partito, interpretandone gli orientamenti realistici contro il nuovo vento astrattista.
Non importava se poi il partito si mostrasse in contraddizione. Da una parte avversava i giovani astrattisti e dall’altra elogiava Picasso e la sua avversione al figurativo. In prima fila sempre Guttuso.
Ci voleva tanto coraggio, in quegli anni che vanno dal 1947 al 1950 a fare credito. Ecco, il dopoguerra dell’arte e della cultura in Italia si svolge in quella modesta osteria, luogo duple face, frequentata di giorno da impiegati dello stato, da tranvieri, da militari della marina e di sera da artisti squattrinati.
Ebbene, in quella trattoria si fece la storia dell’arte del dopoguerra e anche del cinema, luogo di ritrovo  non solo di artisti. Si avvicinarono, all’inizio per curiosità, fino a diventare stanziali, scrittori, registi, poeti, critici d’arte.  L’osteria divenne così richiamo di curiosi che venivano da tutto il mondo per conoscere quegli artisti così particolari dei quali s’incominciava a parlare e scrivere sui giornali. Si faceva vedere qualche volta Cardarelli con il suo cappotto trasandato e sporco, più spesso si notava la presenza di Alfonso Gatto. E’ lì che Pavese si ispirò per il suo Barone rampante ascoltando le storielle che raccontava Scarpitta.
In quei tavoli facevano gruppo, si parlava di arte che voleva dire politica, che non era altro che una ferma ribellione agli indirizzi dei sacri canoni del partito comunismo e del realismo  rappresentato da Guttuso e da Manzù.
Accardi, Sanfilippo, Consagra, Turcato ,dopo un breve viaggio a Parigi nel 1947, in cui per la prima volta potevano  vedere dal vivo l’arte astratta della quale ne avevano avuto sentore, furono colpiti emotivamente  dagli impressionisti e in particolare dai dipinti di Cezanne. Incontrarono Magnelli, Hartung. Visitarono la casa di Picasso.
 Al loro ritorno, fu nello studio di Guttuso, nel quale era ospitato, e approfittando della sua assenza, che Consagra insieme a Carla  Accardi,  Antonio Sanfilippo, Ugo  Attardi, Piero Dorazio ,Achille Perilli, Giulio Turcato, Mino Guerrini, osarono contestare la linea ufficiale del PCI ai quali erano peraltro iscritti e militanti.
 “Noi siamo marxisti e formalisti, convinti che i termini marxismo e formalismo non siano inconciliabili…  ci interessa la forma del limone, non il limone” ebbero a scrivere in un numero unico della rivista, a cui diedero il titolo di FORMA  1 quei giovani vogliosi di novità, ai quali il realismo faceva venire l’orticaria, rifiutando di questo ogni pretesa simbolista o psicologica.

Oltre a provocare la reazione stizzosa e velenosa di Guttuso e di Trombadori, allora vessilliferi del realismo, scese in campo, tempo dopo, a seguito di una Mostra Nazionale d’Arte Contemporanea a Bologna, con un corsivo tranciante e sprezzante a firma di Rodrigo di Castiglia, addirittura  Togliatti, allora segretario del PCI.
E’ una raccolta di cose mostruose, riproduzione di così detti quadri ,disegni, sculture…Come si fa a chiamare arte e persino Arte Nuova questa roba…esposizione di orrori e di scemenze, di scarabocchi…”
Un vero anatema, una scomunica verso quei giovani che avevano auto l’ardire di sfidare e contestare le linee guida del partito.
Tuttavia erano e risero degli artisti comunisti,con tessera e militanti.
Talmente militanti e ingenui . A riprova di ciò le elezioni del 1948. Quando si costituì il Fronte del Popolo, Consagra creò, nel suo studio di Via Margutta 48 una scultura in  ferro chiamandola proprio Fronte  del Popolo e se la caricava ogni giorno sulle spalle fino a Piazza di Spagna,nella speranza che qualcuno la notasse e intimamente che qualche dirigente del PCI,al quale era tesserato, lo gratificasse, per quel modo inusuale di fare propaganda per la parte politica a cui si sentiva idealmente di appartenere. 
Fronte Popolare 1948  Archivio Consagra
Guttuso, che appena arrivati a Roma li aveva ospitati nel suo studio di Via Margutta, punto di riferimento per tutti i giovani artisti siciliani, non volle più saperne di loro. Li considerava dei traditori.” Basta allattare serpi nel petto” gridò un giorno riferendosi soprattutto a Consagra.
Non mancavano le goliardate trasgressive, tipiche delle volgarità di provincia. Se no che goliardate sono.
Una sera  Consagra, evidentemente sotto gli effetti di qualche bicchiere in più, propose di eleggere “Miss Culo”. Era una sfida al puritanesimo post rivoluzionario del PCI e soprattutto ai suoi dirigenti. Le uniche che accettarono di partecipare a quel gioco furono Oretta Fiume, ex fidanzata di Consagra e poi  compagna di Turcato e Clotilde Scarpitta compagna dell’artista siciliano.
Una sera, sempre Consagra, in preda a uno dei suoi imprevedibili istinti, la combinò grossa.
Tra le tante ragazze che frequentavano l’osteria, vi era Carmen Scarpitta, giovane attrice di prosa. La ragazza, avvenente,bionda, portava i capelli lunghi a treccia che le cadeva sulla schiena.
Consagra non sopportava i capelli a coda di cavallo e promise che un giorno, se non lo faceva lei, glieli avrebbe tagliati.
Una sera, lo scultore, come aveva promesso, afferrò un paio di forbici e le recise i capelli che gli restarono in mano tra un silenzio allibito dei presenti.
Consagra ostentava indifferenza mentre la ragazza scoppiava a piangere.
Fu qualche attimo dopo che egli, nel guardare gli altri, impallidì, forse sorpreso per quel gesto così violento. Consagra tuttavia non si scusò, non giustificò il suo gesto; anzi sostenne che una ragazza moderna doveva liberarsi da quelle arie da collegiale chela treccia le dava.
La reazione di Scarpitta, dinanzi a quel gesto che umiliava la sorella, anche se stizzita, fu contenuta e con grande sorpresa gli disse:
”Parli così perché sei calvo!” Quel gesto di violenza riportò alla memoria quello dei partigiani che rapavano, come atto di castrazione e di umiliazione, le ragazze fasciste.
Quell’episodio suggerì a Ugo Pirri, testimone quella sera del taglio di capelli, il libro  Jovanka e le altre e poi un film.
Pietro Consagra in posa con la sua sagoma da bambino
(Carla Lonzi, Autoritratto)

Una sera, nello studio di Mafai, ognuno doveva scrivere una propria storia da pubblicare a fine anno in un almanacco.
Consagra scrisse la storia del suo primo amore per una ragazza del suo paese alla quale non ebbe mai il coraggio di rivolgere la parola. Era intimidito dalla sua bellezza. Alla fine, perché lei si accorgesse di lui, modellò una statua che avrebbe dovuto essere collocata sulla facciata di una chiesa al centro del suo paese: Mazara del Vallo.
Erano consapevoli questi giovani artisti che il loro successo dipendeva dall’essere notati dai critici, quelli che poi consigliano ai collezionisti o ai musei di comprare le opere. Per questo erano gelosi l’uno dell’altro. Cercavano l’esclusiva. Se venivano a conoscenza della presenza di un collezionista o critico d’arte importante, si faceva di tutto per non farlo sapere agli altri, al fine di condurlo nel proprio studio e  mostrare le  proprie opere.
Consagra al lavoro nel suo studio (da L'Europeo,1963)
Così quando Consagra seppe che Chrstian  Zervos,editore e direttore dell’autorevole Cahiers d’art, sarebbe venuto a Roma, fece di tutto per conoscerne l’itinerario, intercettarlo e condurlo nel suo studio, in via Margutta 48.Consagra fece di tutto per nascondere la notizia agli altri per timore che lo potessero precedere e trascinarlo davanti alle loro opere per  impedirgli di visitare gli altri studi. Erano amici sì, ma concorrenti accaniti. Senonchè Turcato, che aveva lo studio attiguo e comunicante a quello di Consagra, e che sapeva dell’arrivo di Zervos, fece in modo che lo sapessero anche gli amici.  Così, quando Zervos e Consagra  entrarono nello studio, lo trovarono pieno di giovani artisti ansiosi e contemporaneamente emozionati di parlargli e di ascoltarlo.(Inserire foto di Consagra a colori dall’europeo)
Consagra con il sen.Ludovico Corrao

Quella trattoria degli artisti attirò anche i critici dall’estero, e con essi i cultori e i collezionisti dell’arte astratta. Si organizzarono le prime mostre, si aprirono per loro le porte della Biennale
I musei, i collezionisti, le gallerie private incominciarono a mostrare sempre più interesse per l’arte astratta. Seguirono i successi intercalati da delusioni.

*  Ugo Pirro:   Osteria dei pittori. Sellerio 1994.