Cartesio


Non c'è nulla interamente in nostro potere,se non i nostri pensieri.
Cartesio

venerdì 25 novembre 2016

Referendum. Una montagna di letame


Mai campagna referendaria e politica ha circuito gli elettori con tanto letame, una montagna di letame.
Mai si è assistito a un ricorso alla comunicazione facendo uso di un linguaggio violento e incivile, tipico dei frequentatori di taverne e postriboli.
Non meno responsabilità si possono attribuire ai mass media che nel proporsi come cassa di risonanza di tale comunicazione, spesso facendosi essi stessi promotori di linguaggio al di sopra delle righe, hanno fatto sì che i toni e le pulsioni raggiungessero livelli di imbarbarimento tali da generare rancore e odio anche all’interno degli stessi luoghi di lavoro, dei nuclei familiari, delle amicizie.
Una responsabilità collettiva che ha diviso il Paese in due parti, in buoni e in cattivi, in onesti e in riprovevoli, in puri e in contaminati, in angeli della legalità e in demoni della corruzione.
È in questo clima da resa dei conti, come se il risultato che uscirà dalle urne il 5 dicembre fosse un’ordalia nei confronti del capo del governo, che il linguaggio folklorico, iperbolico, anche se antipatico e non politicamente corretto, carpito nei fuori onda  o rubato di nascosto, quindi privo di crisma di ufficialità, lo si trasforma in istigazione ad uccidere; che riunioni elettorali a porte chiuse per spronare in modo schietto e politicamente ameno, attraverso  un lessico esplicito e diretto alla ricerca del consenso, chi ha frequentato la politica sa che queste riunioni  e questi linguaggi sono nella normalità, vengono sviscerate, pervicacemente, come assembramenti malavitosi imperniati sul voto di  scambio, come summit di politici rapaci che nel "do ut des" fondano il loro potere e i loro interessi. E si perde il senso della misura, d'altronde, se il reato viene fatto passare per una azione ingenua e la falsificazione in impropria riproduzione. Come dire che l’orto del vicino è sempre pieno di gramigna.
Comparsate televisive di comici capo partito che  vomitano  insulti, che istigano a tirar fuori le pulsioni più selvagge, che pubblicano i commenti più triviali sulle donne ( Boldrini, Boschi, Picierno i bersagli preferiti) fino ad arrivare a definire un capo di governo “Menomato mentale” oppure “Scrofa ferita”, non rappresentano che la deriva morale ed etica di una politica che ha perduto il senso del limite, privando se stessa di credibilità e rendendosi responsabile della sua caduta negli abissi oscuri del populismo più straccione e miserevole.
Da questo guazzabuglio di lerciume germinano facilmente menzogne e inganni, sospetti e malevolenze che non fanno che allontanare sempre più le sensibilità della gente dalla politica. Mai come questa volta c’è il rischio che il vero vincitore di questo referendum sia l’ingannevole turpiloquio.


martedì 22 novembre 2016

Riforma costituzionale.Una cesura nell'ordito della democrazia?



Siamo arrivati agli ultimi giorni di questa lunga, indecifrabile, a tratti scivolosa, campagna referendaria. Sarà ricordata per l’esasperazione dei toni, per la politicizzazione degli obiettivi, per l’irriverenza del linguaggio molto al di sopra delle righe, e soprattutto per una forte spinta di nostalgica retorica, quasi un grido di indignazione, al di là degli schieramenti contrapposti, che la loro stessa natura politica contribuisce, in modo esponenziale, a far prevalere le pulsioni sui contenuti, le rivalse politiche sull’essenza della riforma.
Secondo il cartello dei vari comitati del No, il fine della riforma è quello di strappare alla memoria degli italiani quella Costituzione che ha sempre accompagnato la direzione del loro tempo, dalla nascita della democrazia a oggi. La riforma costituzionale del governo Renzi, traccia, secondo loro, una violenta cesura nell’ordito della democrazia, e irrimediabilmente, una barriera di fortissimo impatto tra gli elettori e la politica, una ferita nel cuore dei “padri costituenti” che nel disegnare l’attuale carta costituzionale volgevano il loro sguardo verso l’orizzonte.
Ma è davvero così? Davvero la nostra Costituzione è stata scritta con una dimensione atemporale e con caratteri indelebili? Davvero viene tracciata una cesura tra rappresentanza e popolo? Davvero la funzione parlamentare viene surrogata da una oligarchia della rappresentanza amplificando i poteri del governo? Davvero con l’eliminazione del sistema bicamerale paritario si increspano ulteriormente i procedimenti legislativi? Davvero non si ha il diritto di cambiare la Costituzione laddove essa è ormai superata dallo scorrere degli eventi e del tempo?  Lasciando da parte quei sentimenti valoriali che fanno parte della geografia dell’anima i cui confini sono sempre stati indefiniti e aleatori sin dalla fase costituente, può la Carta Costituzionale costituire una eredità vincolante per le nuove generazioni?
 Per meglio intenderci: possiamo imporre alle future generazioni sensibilità e percezioni (le nostre) che forse saranno diverse dalle loro sensibilità e percezioni? Oppure queste sensibilità, che possono essere condivise, devono servire da stimolo per costruire una nuova struttura, che veda la trasformazione della Costituzione in armonia con le reali esigenze della collettività e in funzione delle dinamiche socio culturali di cui la collettività stessa è soggetto attivo? Non abbiamo nessun dovere di vincolare le future generazioni al nostro concetto di estetica costituzionale; se così fosse, tutto resterebbe immutabile, innaturale. La stessa Costituzione, tenuti saldi i diritti e i doveri sanciti nella sua prima parte, non si attiene al principio etico della conservazione e non prescrive norme morali. A mio parere la politica non può sottrarsi ai processi di intervento su parti del “paesaggio” costituzionale per non rischiare di isolare il Paese bloccandone il cammino verso il futuro.


sabato 12 novembre 2016

Referendum. Se vincesse il NO ne uscirebbe sconfitta la politica

Il caos

Ritorno, dopo mesi di assenza  a scrivere sul blog. Parto da dove l’avevo lasciato, dal referendum. Avendo seguito con attenzione le varie ragioni, quelle del No e quelle del SI, con uno sguardo sempre più cauto sui sondaggi, azzardo alcune considerazioni personali nel caso che queste previsioni dovessero avverarsi. 

Non so se il responso che uscirà dalle urne sarà un Ordalia su Renzi, né so se vi sarà una redde rationem all’interno del PD, qualunque possa essere il risultato (credo di sì). Una cosa però è certa, dopo il 4 dicembre non si potrà continuare a parlare il politichese. Tutti gli schieramenti, l’un contro l’altro armati, usciranno sconfitti sul piano politico.
 In caso di vittoria del No, nel festeggiare la sconfitta di Renzi, nello schieramento vincitore, al di là delle rituali dichiarazioni politichesi, non tutti potranno attribuirsi il merito della vittoria, o per meglio dire, non a tutti sarà concesso tale merito.
 Non  a Berlusconi che la Riforma costituzionale e la legge elettorale ha contribuito a scriverla e votarla più volte e la cui tardiva adesione al NO, più che per convinzione, è frutto di opportunità,   di visibilità e di rivalsa politica.
 Non ai nostalgici della Ditta, la minoranza PD con in testa Bersani e il suo discepolo prediletto Speranza, che la stessa riforma hanno appoggiato, sottoscritto e votato in tutti e sei passaggi parlamentari e che, in nome di una nemesi per una sconfitta mai accettata nel precedente congresso del partito, con un prodosismo da manuale, non hanno esitato a passare dall’altra parte, unendo le proprie forze  a quelle del   M5S, proprio quel movimento che secondo i sondaggi, dell’Italicum, così com’è, sarebbe il maggior beneficiario ad andare al governo.
Passata la sbornia delle europee e dopo il calo nelle scorse amministrative, i  bersaniani  sperano di dare la spallata al loro segretario premier passando dall’altra parte per  combattere insieme al nemico del loro nemico.
In politica l’incoerenza è virtù, non importa se  Bersani & C hanno appoggiato e votato favorevolmente la riforma.  A sentir loro non si considerano disertori; sono pronti a sbranare chi li accusa di tradimento. La loro è una missione evangelica di sinistra. 
Non ai vari cespugli della sinistra e ai puristi di Libertà e Giustizia, da Zagrebelsky a Montanari, che sul piano politico hanno meno peso di un chicco di grano, e tuttavia utilizzati come foglia di fico dal movimento di Grillo e Casaleggio oltre che dalla Lega di Salvini e dalla destra della Meloni.
 Non alla Lega di Salvini, ai cui appelli di manifestazioni unitarie, Di Maio e Di Battista non ne sentono la necessità di aderire.
 Non a D’Alema che con la sua imbarazzante quanto stravagante compagnia dei De Mita, Cirino Pomicino, Gianfranco Fini, Lambert Dini, utilizza lo scenario referendario come l’ultima e disperata occasione per resistere all’inesorabile discesa nell’oblìo. E lo fanno nel modo meno elegante possibile.
La vittoria del No sarà solo ed esclusivamente la vittoria di facciata del M5S che ha continuato a mantenere alta la tensione politica sin dal suo ingresso in Parlamento con strumentalizzazioni spesso populiste intercalate da proposte accattivanti ma difficilmente realizzabili che fungono da specchio per le allodole, come il reddito di cittadinanza, nonostante le catastrofi e i sismi che la buona natura non ci fa mancare.
Il successo del M5s è dovuto nell’avere alle spalle una cabina di regia raffinata sul piano della comunicazione; cabina di regia incapace, però, di fare corrispondere una altrettanto elaborata e credibile proposta politica, alternativa alla riforma, che si presenti più funzionale a quelle che sono le esigenze di un sistema socio economico sempre più insofferente della inadeguatezza dell’attuale. Il M5S, continua a dare in questa lunga campagna referendaria motivazioni spesso banali per spiegare il suo No e che tuttavia si mostrano efficaci nella raccolta del consenso.
Di contro, bisogna dargliene atto, ha saputo portare il dibattito alla radicalizzazione, trasformandolo da tecnico ed elitario, buono per pochi giuristi e per gli addetti ai lavori, in politico, facendo uso di un linguaggio diretto, forte, rivolto soprattutto alla pancia del suo elettorato e agli scontenti.
Così facendo stimola le pulsioni di un malessere causato dalla politica del rigore dell’Europa, dai poteri forti, dai grandi interessi finanziari, dalla Spectre di Bildeberg dalle agenzie di rating e dai governi che in questi anni si sono avvicendati, ieri Monti, poi Letta, oggi Renzi.
La superficialità con la quale discutono nel merito la riforma oggetto del referendum, se per gli osservatori e gli avversari rappresenta un loro punto debole, al contrario, diventa per loro un punto di forza, abili come sono nel ribaltare la questione sul malessere sociale dal quale è facile trarre linfa.
 Questo inevitabilmente sarà sicuramente un formidabile propellente per arrivare al governo di alcune regioni, la Sicilia in testa, ma non a quello nazionale. A meno che Renzi non faccia quello che tutti chiedono a gran voce, ma che nessuno in camera caritatis si augura, dimettersi in caso di sconfitta.
Corte Costituzionale permettendo, l’Italicum li traghetterebbe con probabilità elevate al governo del Paese. Perché è chiaro che mai il M5S accetterà un governo di transizione in caso di vittoria del No, e meno che mai a guida Renzi. Chiederanno lo scioglimento di quel parlamento da loro ritenuto illegittimo in forza della sentenza della Consulta contro il porcellum e di andare alle elezioni con l’abominevole Italicum al quale in segreto strizzano l’occhio.
 Cosa farà il PD in caso di bocciatura della riforma? Meglio cosa farà Renzi?
Tutto dipenderà dal risultato in termini numerici. Appare chiaro che uno scarto di pochi punti percentuali a vantaggio del No, significherebbe, è vero, la sconfitta del governo, ma in termini politici sarebbe un innegabile successo personale del premier. Essere  sconfitto di misura da una Santa Alleanza  che vede insieme religiosi e miscredenti, neo fascisti di F.N e ANPI,  Grillo insieme a Salvini,  Berlusconi con  D’Alema, gli intellettuali di Libertà e Giustizia con Magistratura Democratica insieme alla minoranza del PD e il variegato mondo della sinistra italiana, lo rinforzerebbe all’interno dello stesso PD. Gli verrebbe facile argomentare che l’alternativa a Lui sarebbe il nulla o il Caos, e sul piano politico nessuna alleanza sarebbe possibile con i soggetti vincitori. D’altronde sarebbe inimmaginabile sostituire l’attuale governo con un governicchio di scopo che abbia la funzione di fare una nuova legge elettorale ad un solo anno dalla scadenza naturale.
 Non ci starebbe il PD sempre più Renzi dipendente, soprattutto in vista di un congresso al cui interno si consumerebbe quella resa dei conti definitiva sino a oggi tanto rinviata.
Non ci starebbero i partiti vincitori che sarebbero su posizioni divisive e inconciliabili. Non sarebbe,apparentemente, neanche ipotizzabile un Patto del Nazareno 2.0 in considerazione dell’ultima conversione di Berlusconi sulla via del proporzionale e del bicameralismo paritario, né tanto meno una convergenza Destra – M5S sul proporzionale. Sarebbe la fine delle speranze di entrambi gli schieramenti di andare a governare.
A meno che la paura non faccia novanta e tale “scantu” non faccia correre sia il PD sia quel che resta di Berlusconi ai ripari, riposizionandosi su un Italicum con premio di maggioranza alla coalizione vincente ed eliminazione del ballottaggio. In questo caso gli scenari politici sarebbero imperscrutabili e tutti da immaginare. Ma con la bocciatura della riforma, l’Italicum applicato ad una sola camera non avrebbe senso.
La prospettiva di un ritorno alle urne anticipato è la strada che tutti si avviano a intraprendere. Con prospettive non facilmente preconizzabili, sia se si vada alle urne con il proporzionale, sia con l’Italicum, anche riveduto e corretto, se la Corte Costituzionale non lo dovesse bocciare. Nell’uno e nell’altro caso non ci sarebbero vincitori.  Questo sì che getterebbe il Paese nel caos. Sarebbe la sconfitta di tutti. Soprattutto della politica.

domenica 29 maggio 2016

Presentato il volume Dialoghi Mediterranei. Antropologia delle migrazioni


Presentato ieri pomeriggio, nella bella cornice del Teatro “Garibaldi” di Mazara, il volume DIALOGHI MEDITERRANEI - Antropologia delle migrazioni, edito dall’Istituto Euroarabo di Mazara.
Si tratta di una raccolta antologica consistente in venti articoli, degli oltre quattrocenti pubblicati dal bimestrale on line Dialoghi Mediterranei dello stesso istituto culturale. Il volume rappresenta, sul piano culturale e soprattutto su quello dell’attualità, un esempio di analisi del fenomeno immigratorio visto e spacchettato secondo angolature diverse, raccontate da giovani antropologi o neo laureati in antropologia, in gran parte provenienti dall’Università di Palermo, secondo un processo di decostruzione del fenomeno, in cui l’attore o gli attori sono gli immigrati, ciascuno con una propria storia. Un volume di piccole storie, brevi saggi in cui il fenomeno immigratorio viene raccontato con quella che è la sua essenza intima, l’umanità. È l’umanizzazione dell’altro con tutto ciò che ne scaturisce: la speranza, la nostalgia, la delusione. Articoli in cui sono gli stessi immigrati, intervistati, a denunciare il mercificio in cui si sono stati trasformati alcuni centri di accoglienza, Interessante, a proposito quello sul CARA di Mineo. Volume di testimonianza, in cui l’immigrato non rappresenta solo il problema, ma sempre più spesso una risorsa, e che contribuisce a riempire un vuoto sull’informazione del fenomeno migratorio raccontato nei e dai  media. Interessanti i contributi dei relatori, Gabriella D’Agostino e Mario Giacomarra dell’Università di Palermo moderati da Antonino Cusumano presidente dell’istituto Euroarabo. 
La stampa del volume è stata possibile grazie al contributo di un privato che lo ha interamente finanziato. A tutto il pubblico presente è stato fatto omaggio, da parte dell'Istituto euroarabo, di una copia del volume.

lunedì 9 maggio 2016

Referendum Costituzionale. Questo non è un Paese per giovani.


Ho dato una lettura veloce al documento firmato dai 50 giuri-costituzionalisti con il quale si schierano apertamente contro la riforma costituzionale sulla quale saremo chiamati a votare, attraverso il referendum confermativo, il prossimo ottobre.
Essendo completamente a digiuno di giurisprudenza e di diritto costituzionale, lungi da me nell’entrare nel merito della questione.
Tuttavia, essendo il documento scritto in maniera chiara e intellegibile in ogni sua parte, chiunque, dotato degli strumenti di base della conoscenza della lingua italiana, viene messo nelle condizioni di comprenderlo e possibilmente, là dove gli è possibile, confutarlo, o quanto meno di cogliere le sue contraddizioni.
E contraddizioni ve ne sono tante, a cominciare dalla premessa per finire alle conclusioni. Nel merito dei 7 punti del documento, si avrà tempo di riflettere quando si entrerà nel vivo della campagna referendaria.
Più che i punti di merito, mi ha incuriosito soprattutto il lungo elenco dei firmatari, che si considerano i custodi e i sacerdoti della Costituzione. Professoroni, alcuni dei quali li ho ascoltati in alcuni talk show televisivi, che dall’alto della loro preparazione giuridica erano incapaci di trasmettere, attraverso un linguaggio chiaro e accessibile a tutti, così come vuole la democrazia, le ragioni della loro avversione. Li ho visti impacciati e goffi, corazzati nel loro linguaggio filosofico giuridico, saltare da un pericolo ipotetico ad un altro, lontano anni luce dalla realtà, paventando derive politiche autoritarie e ipotesi scolastiche di autoritarismi propri di chi ha paura di confrontarsi con chi ha idee diverse dalle loro in termini di governabilità e di efficienza legislativa.
In un Paese incardinato sul vecchio, dove il potere e i privilegi appartengono ancora ad una casta di vecchi, sempre più potenti e sempre più decisi a non cedere il passo, lo stesso concetto di riforma è assolutamente estraneo alla loro filosofia di concepire il potere, e dunque da combattere.
Mi viene in mente il bel libro di Nunzia Penelope “Vecchi E Potenti. Perché l’Italia è in mano ai settantenni” Vecchi finanzieri, vecchi boiardi di stato, vecchi A.D. di banche, di gruppi finanziari, di aziende, vecchi della politica. Vecchi che controllano e si controllano, si accordano, si coalizzano per non cedere neanche parte del potere, soprattutto se a sgomitare sono i giovani, combattendoli fino ad estrometterli, esiliarli, togliere loro la speranza nel futuro almeno fin quando i virgulti avranno vita. Vecchi che pontificano nel privato e nel pubblico, con inauditi privilegi, con faraonici stipendi e benefit. Anche i giudici della Corte Costituzionale appartengono a questa categoria castale.
Tra i cinquanta giuri consulti eccellenti e firmatari del documento ben venti sono ultra settantenni, gran parte di questi ottantenni, presidenti emeriti ed ex componenti della consulta. Quando guardo la loro età ripenso ai padri costituzionalisti che nel 1946 scrissero la Costituzione. Trenta – quarantenni, che uscivano dal disastro politico e morale del fascismo, che si sbracciarono per ricostruire e disegnare un futuro per le generazioni successive, rinunciando a privilegi e potere. Ne venne fuori una Costituzione di mediazione, non potevano farne a meno, essendo le condizioni geo politiche di allora profondamente diverse di quelle di oggi, con una democrazia che emetteva i primi vagiti e un Paese da ricostruire sul piano politico, economico, culturale, sociale, morale.
Dopo settantanni tutto è profondamente cambiato. La Costituzione, tuttavia, per i nostri saggi giuristi, deve restare un Totem, e cambiarne alcuni aspetti vuol dire riecheggiare visioni cassandresche, scenari distopici, riferimenti ad impossibili passati.
Le disfunzioni della Costituzione, rivelatasi non al passo dei tempi, causa, sul piano istituzionale, di incertezze e di contraddizioni legislative, assolutamente inadeguata al tenere il passo con gli altri Paesi Europei, hanno rallentato ed ostacolato lo sviluppo dell’intero Sistema Paese sul piano politico, rafforzandone, al contrario, inefficienze e privilegi, sprechi e dissipamenti, corruzione e ingiustizie.
Appare singolare il forte impegno di molti di questi fautori del conservatorismo, giuristi, cattedratici e magistrati, ostinati a far valere la loro autorevolezza autoreferenziale e a imporre, sul piano culturale e politico, la loro visione conservatrice che consente di continuare a mantenere caste e privilegi o in dispregio a quello che è lo spirito del referendum, a mostrare il loro ostracismo politico nei confronti del governo. Checchè se ne possa dire, le cose stanno esattamente così, e il documento da loro firmato parla chiaro. In esso si afferma che vi sono molti aspetti positivi, lungamente attesi ed altri che potrebbero, in linea di ipotesi tutte da verificare, rendere più complicata l’attività legislativa se non determinare situazioni politiche antidemocratiche. Ma la conclusione del documento è tutta politica, altro che di merito. E per non smentirsi preferiscono buttare l’acqua sporca insieme al  bambino.



venerdì 15 aprile 2016

Il referendum delle falsità


Leggo spesso i post sui social e da essi sorgono spontanei alcuni spunti di riflessione, sempre che qualcuno non mi attacchi in modo diciamo poco urbano, soprattutto quanto al ragionamento e alle prove scientifiche si preferiscono gli articoli di giornali e i falsi filmati televisivi, si fanno prevalere le pulsioni e si parla alla pancia invece che alla testa.
Si dice che il referendum è stato voluto dalla gente e che esso è una forma alta di democrazia. Sul concetto di democrazia  se ne scrivono di tutti i colori ,senza badare troppo né sullo stile né sull’uso parsimonioso degli aggettivi. Questo referendum, quello che si dovrà votare domenica, non è stato firmato dalla gente, ma è stato voluto dalle regioni. Legittimamente, lo prevede la Costituzione. Ma appunto per questo, esso assume una connotazione politica. Si tratta di una reazione a un potere decisionale che viene di fatto tolto alle regioni in termini di politica ambientale. Sappiamo ciò cosa comporta sul piano economico, si pensi alle royalties ad esempio. Una lotta tra accentramento e decentramento. Una questione puramente politica, che viene strumentalizzata dai partiti come un inizio di una resa di conti. Per quanto riguarda il PD, poi, è una battaglia iniziata nel precedente congresso e mai sopita. Una lotta interna al PD, con in testa i governatori dello stesso partito ai quali si sono accodati strumentalmente quelli di destra e della lega. Che ci azzecca in tutto questo il voto della gente?
Conosciamo tutti la capacità di dissimulazione dei partiti; quanta demagogia viene velata dalla retorica; quanta retorica effluvia di ipocrisia.
Non sembra strano questa improvvisa sensibilità a salvaguardare la limpidezza delle nostre acque accusando le piattaforme, brutto il termine trivelle, quando in realtà il degrado ambientale e l’inquinamento delle acque è dovuto invece alla mancanza di efficienti depuratori, al controllo degli scarichi, al permessivismo della cementificazione, al far finta di non vedere l’eccessivo uso di pesticidi e di nitrati che inquinano nelle falde? ( dati di Lega Ambiente). In termini di ambiente molte regioni sono colpevoli, come la nostra, e nascondono le loro responsabilità colpevolizzando altri. E’ da ieri la notizia che la Regione Sicilia guidato da un incapace quanto pavoneggiante Crocetta, sostenuto irresponsabilmente dal PD, abbia dichiarato di non avere soldi per salvaguardare le riserve naturali, tra queste “Lo Zingaro”, lasciandole di qui a poco al loro destino. Questo è il vero scandalo e questa dovrebbe essere la vera ragione di ribellione degli ambientalisti, altro che trivelle.
In questo referendum si sono demonizzati gli idrocarburi, riducendoli tutti a petrolio, sapendo di mentire, quando quasi tutte le concessioni sono per l’estrazione di gas, che non costituisce alcun pericolo di inquinamento per le acque. Si contano sulle dita di una mano le piattaforme che estraggono greggio all’interno del limite delle dodici miglia. Eppure non si fa altro che parlare di petrolio. Si continua a istigare, attraverso demonizzazioni e scenari apocalittici, gli impulsi della gente piuttosto che educarli ad una conoscenza della realtà.
Lo si è fatto per il nucleare, e questo ci è costato in termini di debito pubblico che continuiamo a pagare nella bolletta elettrica pur non usufruendone, lo si sta facendo per gli idrocarburi e i gas naturali, lo si farà, domani, per il fotovoltaico e l’eolico, quando, per sopperire a fabbisogno energetico si dovrà fare ricorso, inevitabilmente, a giganteschi parchi off shore. Ma questo è il destino di un paese dove la mediocrità prevale sulle intelligenze. La politica ne è paradigma.
Si è voluto costruire un referendum basato su  un falso assioma, un concetto che non c’è, ovvero la lotta tra il bene e il male, lo yin e lo yang , tra l’energia fossile e quelle alternative. Si è fatto bere alla gente l’idiozia che in caso di vittoria del sì tutto sarebbe cambiato in termini energetici e che le energie alternative sarebbero le uniche utilizzabili in futuro. Questa è la più grande menzogna di questo referendum, perché il quesito non comporta per niente la conversione da una energia all’altra. Non c’entra un fico secco, con il referendum, tirare in ballo le energie alternative per le quali occorre che lo stato e le regioni si dotino di una programmazione energetica, seria, a medio e lungo termine, liberando e incrementando incentivi per raggiungere gli obiettivi previsti dai trattati internazionali.
Il nostro, si sa, è un paese di poeti e di allenatori, di tecnici e di tattici, sovente anche di costituzionalisti. In questi giorni ci si cimenta se l’astensione è legittima o meno, se il voto è un diritto o un dovere, e se una non partecipazione al voto costituisca non solo un vulnus ma una incompletezza della democrazia. Addirittura l’astensione viene definita una specie di delega decisionale ad altri, mentre l’andare al voto significa prendersi le proprie responsabilità; tra coloro che professano tale corrente di pensiero ho molti amici. Se così fosse, come si dovrebbe intendere la scheda bianca o l’annullamento della stessa? Non è anch’esso un modo di eludere le proprie responsabilità delegando ad altri le scelte? Non sarebbe questo, per dirla come i detrattori dell’astensionismo, un modo vile di rifiutare e di assumersi responsabilità dirette?
Se è legittima la non espressione di voto attraverso la scheda bianca e nulla, è altrettanto legittimo l’astensione dall’andare al voto.
E’ solo questione di strategia politica, niente a che vedere con i principi morali ed etici con i quali si vuole imbrogliare l’elettore. Non per niente la costituzione prevede il quorum per la validità dei referendum, e il quorum prevede il diritto di astensione. Le paternali di illustri costituzionalisti sono soltanto semplici opinioni personali e valgono quanto quelle di un umile operaio, di un impiegato, di un libero professionista o di un cattedratico. Valgono solo per chi li pronuncia, non sono vincolanti per gli altri. Purtroppo la demagogia e la strumentalizzazione a fini politici prevalgono sulla buona fede di gran parte degli elettori.
Agli amici di sinistra, che sui social postano che andranno a votare perché  sentono come un dovere morale e politico non delegare ad altri, oppure  che voteranno sì per essere accanto agli amici sindaci delle isole siciliane, faccio notare che saranno accanto, politicamente, soprattutto ai fascisti di Forza Nuova, a razzisti della lega, a quelli di Fratelli d’Italia e di Silvio Berlusconi, oltre che ai Cinque stelle. Una bella ammucchiata politica, non c’è dubbio.



mercoledì 13 aprile 2016

Referendum-Come gli ambientalisti smentiscono loro stessi


Che sia un referendum di natura politica e strumentale ormai è agli occhi di tutti. Se seguiamo quei pochi dibattiti, la prima cosa che salta agli occhi è che il tema oggetto del referendum per cui si è chiamati a votare domenica 17 Aprile è di secondaria importanza rispetto agli argomenti che si propongono e che nulla hanno a vedere con il quesito in oggetto.
Cosa dice il quesito referendario:
Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, “Norme in materia ambientale”, come sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)”, limitatamente alle seguenti parole: “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale”?
Si tratta in fin dei conti di non rinnovare, alla scadenza trentennale, la proroga a continuare l’estrazione degli idrocarburi, olio o gas, anche se i giacimenti non sono esausti. Questo per le concessioni che rientrano nelle 12 miglia dalla costa, mentre per le altre, ad esempio qualche centinaio di metri oltre il limite delle dodici, tale divieto non sussiste. Che senso ha?
Si dirà che in questo modo non ci saranno piattaforme front- line le coste che queste ultime  saranno salvaguardate dall’inquinamento da petrolio. Di più, in questo modo si incentiverà il ricorso alle energie alternative, solare e eolico. Si omette però di dire che la maggior parte delle concessioni riguardano l’estrazione del gas, e che le trivelle estraggono gas e non olio. Sul piano dell’inquinamento ambientale questo dovrebbe dire qualcosa oppure no? Il metano è inquinante per il mare? Lo sanno anche i bambini che il metano non è un inquinante delle acque. Esiste inquinamento da gas in quelle aree che ha pregiudicato il sistema delle acque litorali? Gli ambientalisti, di fronte a queste semplici domande, preferiscono glissare e parlano di inquinamento da petrolio che determina addirittura l’eutrofizzazione delle acque litorali. Quali acque, nello specifico non lo dicono, anzi, enfatizzano il loro allarme paventando un danno di natura economico per il turismo, per cui i turisti preferiscono andare in spiagge lontano dalle trivelle. Vengono paventati scenari apocalittici, spiagge deserte e impregnate di derivati oleosi come il catrame, acque sempre più opache e sporche, flora e fauna in estinzione, turisti in fuga, economia che sprofonda. Tutto colpa delle trivelle. Tutta questo quadro da day after ci viene propinato dagli angeli dell’ambiente. Solo che la realtà li smentisce e loro, gli ambientalisti, smentiscono se stessi.
Intanto non c’è alcuna connessione tra trivelle e inquinamento delle acque. Se così fosse, l’intero mare Adriatico dovrebbe essere ridotto ad un enorme stagno puzzolento, con acque in cui non potrebbe essere consentita la balneazione. 
Localizzazione delle trivelle e delle bandiere blu

I risultati di Bandiera Blu dicono il contrario sullo stato di salute dei nostri mari. Il tratto di mare che va dal Friuli Venezia Giulia all’Abbruzzo contiene la più alta percentuale di spiagge classificate con la Bandiera Blu e contemporaneamente la più alta concentrazione di trivelle estrattive di petrolio e soprattutto di gas. Sono dati che Lega Ambiente conosce, non contesta e addirittura approva.  In quelle spiagge aumenta e non diminuisce il turismo.
Allora qualcosa non quadra se addirittura la stessa Lega Ambiente, nel presentare il dossier dello stato delle acque di Goletta Verde 2015 scrive:
«“L’inquinamento rilevato da Goletta Verde è causato essenzialmente da scarichi non depurati che attraverso fiumi, fossi e piccoli canali si riversano direttamente in mare. Una conseguenza diretta della mancanza di un trattamento di depurazione adeguato, che ancora riguarda il 42% degli scarichi fognari del nostro Paese”», e ancora:
«“Ma non è solo la mancata depurazione a danneggiare il nostro mare e le coste. Le principali tipologie di reato vanno dalle illegalità nel ciclo del cemento sul demanio marittimo all’inquinamento del mare dovuto a mala depurazione, scarichi fognari, inquinamento da idrocarburi, sversamento di rifiuti di vario tipo, anche se non mancano i casi di pesca di frodo e le infrazioni della nautica da diporto”. “Tra i fattori inquinanti, troppo spesso sottovalutati, c’è anche il non corretto smaltimento degli olii esausti. L’olio usato - che si recupera alla fine del ciclo di vita dei lubrificanti nei macchinari industriali, ma anche nelle automobili, nelle barche e nei mezzi agricoli - è un rifiuto pericoloso per la salute e per l’ambiente che deve essere smaltito correttamente”».
Come si vede neanche una parola da parte di Goletta Verde e di Lega Ambiente sulle trivelle.
Un altro tema caro ai referendari è quello delle royalties, che a loro dire sono non remunerative e insufficienti, mentre in altri paesi il concessionante ricaverebbe di più, addirittura in Libia le royalties incassate, sostengono, sono il 50% contro il 5% in Italia.
Inutile ribattere che la percentuale dell’ammontare delle royalties è stabilita dalla legge e che si aggira sul 10%, mentre ammontano a centinaia di milioni di euro quelle incassate dalla sola regione Basilicata e dai comuni interessati, che hanno consentito e consentono un radicale cambiamento del tenore di vita oltre che un notevole incremento di lavoro in una regione proverbialmente povera e derelitta. Ricordiamo “Cristo si è fermato a Eboli” di Carlo Levi.
Si lascia colpevolmente intendere che una vittoria del sì porterebbe alla dismissione dell’estrazione dei combustibili, mentre non è così, come non corrisponde a vero che le sole fonti rinnovabili, che naturalmente dovrebbero essere ulteriormente incentivate e incrementate, siano sufficienti al fabbisogno del sistema paese.
Infine un refrain di questi giorni, si vede che non sanno più cosa inventarsi, è la demonizzazione dell’astensione. Il dibattito diventa politico, e basta poco, come una intervista inopportuna del presidente della Corte Costituzionale che invita ad andare a votare. L’ipse dixit diventa lo slogan come se l’astensione fosse incostituzionale. Invece il cittadino che sceglie di astenersi gode della stessa legittimità di chi decide di andare a votare o di votare scheda bianca. Tutto questa avversione all’astensionismo dimostra quanto debole sia la natura di questo referendum sul piano propositivo e politico. Ci sono referendum molto più significativi e importanti di questo.



martedì 12 aprile 2016

Referendum

I fautori del sì del referendum gridano allo scandalo se il Presidente del Consiglio e il PD, nella sua maggioranza, si schierano per l'astensione.
Scandalo! s'ode a destra lo squillo di trombe.
Scandalo! risponde a sinistra uno squillo.
Scandalo! - s'indigna il presidente della Corte Costituzionale - votare è un dovere! Bisogna votare! Non importa se Sì o No. L'astensione è una ferita alla completezza della democrazia! 
Oggi, alla camera si è votata la riforma costituzionale. Era l'ultimo passaggio previsto dalla Costituzione.
La maggioranza governativa ha votato favorevolmente.
Le opposizioni, di destra e di sinistra, hanno preferito non essere presenti al voto abbandonando l'aula. Si sono astenuti.
"Se la votino da soli questa riforma" hanno dichiarato astiosamente.
Nessuno ha gridato allo scandalo, nessun presidente di Corte Costituzionale ha sentenziato il vulnus alla democrazia, nessuno ha accusato di viltà gli astenuti. Nessuno si è slabbrato in improperi.
Questa è la democrazia, dove ciascuno può scegliere se votare sì oppure no o non andare a votare.
Il voto è un diritto ma non un dovere. Per questo non andrò a votare domenica. E nel fare questa scelta non devo dare alcuna spiegazione a nessuno, solo alla mia coscienza.
Cari amici referendari, votatevelo da soli questo referendum. Io non vi accuserò mai. Rispetto le vostre scelte.

lunedì 4 aprile 2016

Lo Strano Paese

Siamo un paese energeticamente sprovveduto da quando, da imberbi, ci siamo autocastrati con lo smantellare il nucleare. Abbiamo scelto l’uso dell’energia fossile, forse per accontentare l’industria petrolifera, allora di stato, senza dotarci di un piano energetico alternativo. Con la conseguenza di indebitarci ulteriormente e ampliare esponenzialmente il debito energetico. Non siamo mai stati capaci di progettare soluzioni alternative agli idrocarburi. Per la sindrome ambientalista e in nome della sacralità dell’ambiente, in questo paese sono stati vietati i grandi impianti fotovoltaici termodinamici, anche se situati in territori aridi, incolti e improduttivi, e soprattutto i parchi eolici offshore. E’ altresì vietato trivellare entro le dodici miglia anche se in presenza di grossi giacimenti, e se fosse per le anime angelicate degli ambientalisti lo sarebbe anche sulla terraferma. Non importa se qualche metro fuori dalle acque territoriali altre compagnie trivellino e succhiano quel petrolio o quel gas al quale noi abbiamo rinunciato. Con l’aggravante che là non vanno certo per il sottile in tema di salvaguardia e di sicurezza ambientale. Tutto in nome del dio οκος, anche se siamo al primo posto, in Europa, per il consumo di energia da combustibili fossili, petrolio, carbone o metano. Siamo anche il paese con il più vetusto parco automobilistico europeo, con il sistema di trasporto urbano più inquinante e meno adeguato, con un sistema ferroviario obsoleto, inefficiente e non concorrenziale a quello gommato. Guai però a cercare di renderlo più efficace e moderno. Sarebbe blasfemia nei confronti del dio Ambiente. Siamo anche il paese più refrattario a dotarci dei sistemi più innovativi di energia alternativa. Anche se lo facessimo, saremmo sempre energeticamente insufficienti a soddisfare il nostro fabbisogno. Ma i sacerdoti di οκος non ne vogliono sentire, non importa se per far viaggiare le macchine occorre la benzina, per muoversi con il gommato, per volare, per navigare occorre consumare petrolio, per riscaldare le case occorre il metano, per portare l’energia elettrica si usano in gran parte centrali a carbone o a metano. E tutto questo da qualche parte bisogna pur prenderlo, anzi comprarlo, e qualcuno dovrà anche estrarlo e raffinarlo e trasportarlo. E tutto questo, diciamocelo francamente, ha un costo anche in termini ambientali. L’Italia, si possono dire tutto le sciocchezze contrarie, ha bisogno di petrolio e di gas, e se li trova nel proprio territorio ne ricava enormi vantaggi e arricchimento in termini economici e di posti di occupazione. Le regioni stesse, dall’estrazione, ne ricavano milioni di euro di royalties. Nel caso della regione Basilicata ben 150 milioni di euro, 25 milioni ai piccoli comuni del territorio. Non sono quisquilie in una terra fortemente spopolata e di conseguenza impoverita per mancanza di lavoro. Ma anche qui, l’ambientalismo più ottuso non ne vuol sentire e prepara il ritorno a Cro-Magnon. Perché, bisogna dirlo con estrema chiarezza, le anime verdi e angelicate sono contrarie, per dogma, a tutto, dal fossile al nucleare alle alternative. Vedono in esse demoni e dissesti, mafia e malaffare, conflitti di interesse e arricchimenti illeciti, come se fare impresa è da confraternita francescana. Per questo, in nome di οκος, alzano i vessilli del cavernicolismo, con il ritorno alle origini, a Cro Magnon.


venerdì 18 marzo 2016

Ma a cosa serve questo referendum?


Sarà possibile in Italia sostituire le trivelle con parchi eolici offshore?

Il 17 Aprile gli italiani saranno chiamati a votare ed esprimere il proprio voto su un quesito, l’unico ammesso dalla Corte Costituzionale e che riguarda la proroga alla scadenza della concessione dello sfruttamento dei giacimenti offshore, sia essi petroliferi o gassosi, entro le dodici miglia.
Attualmente le concessioni offshore sono in italia 66, 21 delle quali ricadono entro il limite delle dodici miglia.
Il referendum interessa solo queste 21. Le altre 45 continueranno ad estrarre fino alla fine delle risorse dei giacimenti.
L’attuale legge vieta la concessione entro le 12 miglia. Per quelle pregresse alla legge, le 21 entro le dodici miglia, la durata della concessione è prevista inizialmente per 30 anni, prorogabile una prima volta di 10 anni e altre due volte di 5 anni ciascuna. Alla scadenza delle proroghe si può chiedere una ulteriore proroga fino all’ esaurimento del giacimento.
Il referendum prevede, invece, che alla scadenza dei 50 anni, anche se il giacimento non è esaurito la società concessionaria dovrà smettere di estrarre combustibile. Viene negata, cioè, l’ultima concessione fino all’ esaurimento, anche se il giacimento non è ancora esaurito.
Le motivazioni sono, secondo i promotori di natura ambientale e turistica.

Cerchiamo di chiarirci le idee. Le 21 concessioni entro le dodici miglia sono localizzate: una in Veneto, due in Emilia-Romagna, uno nelle Marche, tre in Puglia, cinque in Calabria, due in Basilicata e sette in Sicilia.
Tuttavia la maggior parte delle risorse estrattive proviene da quelle oltre il limite stabilito che continueranno ad estrarre.
E allora? Il problema è esclusivamente politico. Non si tratta di impedire disastri ambientali che potrebbero anche non essere esclusi, né tanto meno sostenere che le trivelle incidono negativamente sulla presenza turistica, i dati al contrario smentiscono quest’ultima tesi, bensì programmare una strategia energetica futura per il paese che non sia solo quella dello sfruttamento degli idrocarburi.
Qualunque sia il risultato del referendum, le trivellazioni per le concessioni in atto all’ interno del limite delle dodici miglia continueranno fino alla loro scadenza naturale cinquantennale. I primi effetti dismissivi avverrebbero a partire del prossimo decennio. Tutto sommato comunque il referendum poco incide sulle estrazioni di gas e petrolio non solo in mare ma anche in terraferma.
Sul piano dell’impatto ambientale, una eventuale dismissione delle trivellazioni dovrebbe essere sostituita da una politica energetica da fonti alternative, l’eolico in particolare, aprendo la strada, per necessità e virtù, ad impianti eolici offshore di notevoli dimensioni se si vuole equilibrare il gap dato dalla mancanza di produzione di idrocarburi. Anche in questo caso si verificherebbe un impatto ambientale di notevoli dimensioni. Dovrebbero inoltre aumentare i parchi eolici e fotovoltaici sulla terraferma. E noi conosciamo come vanno le cose nel nostro paese con gli ambientalisti pronti a dire no a tutto. Un diniego da parte degli ambientalisti sarebbe ancora una volta un atto di irresponsabilità.
Prima di andare a votare sarebbe utile conoscere da parte dei promotori referendari se sono favorevoli all’estensione dei parchi eolici offshore a largo delle nostre coste e nei pendii delle nostre colline e alla costruzione di centrali solari termodinamiche.
Non è una richiesta da poco. Ne vale della credibilità del referendum stesso.

martedì 1 marzo 2016

Emancipazione femminile: la donna fattrice

India: madri surrogate.
Trovo quantomeno stupefacenti le dichiarazioni di Nichi Vendola alle critiche, legittime, alla notizie della nascita del figlio del suo compagno, non del suo, avvenuta servendosi della tecnica dell’utero generatore.
« Condivido con il mio compagno una scelta e un percorso che sono lontani anni luce dalla espressione “utero in affitto”», ha dichiarato l’ex governatore della Puglia. «Questo bambino è figlio di una bellissima storia d’amore, la donna che lo ha portato in grembo e la sua famiglia sono parte della nostra vita. Quelli che insultano e bestemmiano nei bassifondi della politica e dei social network mi ricordano quel verso che dice: “ognuno dal proprio cuor l’altro misura”
Credo che mai tanta ipocrisia sia tracimata da poche frasi come quelle espresse dal segretario di SEL. 
Il compagno anti globalizzazione, nell’uso delle parole, manca del senso della misura, e da bravo e scialbo affabulatore di frasi vuote, ridipinge con concetti che non stanno né in cielo né in terra, quello che è evidente per tutti. Per di più reagisce con sufficienza e spocchia intellettuale a quelle che definisce“critiche squadriste”.
L’ambiguità dell’espressione vendoliana “bellissima storia d’amore” riferita sia alla sua relazione con il compagno sia alla relazione con la donna indonesiana, presumo giovane, che si è prestata al ruolo di “fattrice” non solo appare poco convincente, ma addirittura una forzatura che avrebbe fatto bene a tenere, per pudore, sotto silenzio.
Allora cerchiamo di capire il percorso di questo “atto di amore”.
Di norma si va in una clinica sede di Banca del seme. Si acquista un ovulo di madre donatrice anonima, ma con un certo pedigree, selezionato geneticamente, e non un ovulo qualunque di una donatrice qualunque. Non so se questo si chiama classismo o razzismo o selezione. Ciò non è da poco e qui sta tutta la differenza con una fecondazione naturale e casuale come avviene nella norma.( Prima anomalia).
Si procede in laboratorio alla fecondazione dell’ovulo selezionato in vitro. Lo spermatozoo, uno, non migliaia, (seconda anomalia,) lo mette a disposizione il compagno della coppia, se fertile. Una volta fecondato, l’ovulo, divenuto zigote, lo si lascia sviluppare nelle varie fasi fino a quella di preembrione; in questo stato lo si impianta nell’utero gestante di una terza persona, dove si svilupperà.
In tutto questo dove sta l’amore?
Sul mercato globale c’è tanta miseria, per pochi spiccioli si vende il corpo delle ragazzine al turismo del sesso, con le mamme complici e  compiacenti. Bambine e bambini diventano oggetto da mercatino rionale, merce di scambio sulla quale contrattare. Adesso il commercio si è affinato. Si affitta la persona il cui utero ha la funzione di una incubatrice biologica, una macchina vera e propria. La gestazione viene monitorata dalle cliniche compiacenti fino a prodotto confezionato. La donna fattrice sta lì, in attesa di sgravidare, di liberarsi da quel fardello che non è suo e che non considera suo. Questa è la madre surrogata.
In tutto questo, dove sta l’amore?
Le donne non hanno niente da dire? Possibile che tutte le lotte di emancipazione si riducano alla frase cult:” L’Utero è mio e me lo gestisco come mi pare”? Anni di lotta per arrivare alla donna fattrice?
Anche qui, dove sta l’amore?
Perché vietare la vendita degli organi per trapiantarli? Il fine non è un atto di amore?
Riflettiamo un momento, al di là delle posizioni ideologiche, in che direzione si vuole andare. Un limite alla ragionevolezza bisogna pur darlo, altrimenti non possiamo che dare il benvenuto al “Nuovo Mondo” di Huxley. 

domenica 28 febbraio 2016

Presentazione del Dossier Statistico Immigrazione 2015


Si è svolto presso il Centro Interculturale - Auditorium ‘Mario Caruso’ dell’ex Cinema Diana la manifestazione di presentazione del Dossier Statistico Immigrazione 2015 curato dal centro Studi e Ricerche IDOS, in partenariato con Confronti e con il sostegno finanziario tratto dal fondo dell'8 per mille della Chiesa Valdese.
L’evento è stato organizzato, come avviene da qualche anno, dall’Istituto Euroarabo di Mazara del Vallo con il patrocinio della Città di Mazara del Vallo.
Il dossier offre un’ampia e ragguagliata documentazione intorno ai dati conoscitivi del fenomeno immigrazione, nonché l’opportunità di riflettere e ragionare sulla realtà, al di là delle sue rappresentazioni. Nel volume si analizzano i diversi aspetti del fenomeno: il contesto internazionale ed europeo fino ai singoli territori regionali italiani, le caratteristiche quantitative e qualitative dei flussi e delle presenze, i livelli di inserimento sociale ed economico, le problematiche intorno ai diritti, le questioni relative all'accoglienza dei profughi e le prospettive del futuro.

Presenti, tra il folto pubblico, una delegazione degli avvocati dell’ordine di Marsala e i dirigenti della camera del lavoro di Mazara e dell’ufficio immigrati della Uil di Mazara. Dopo i saluti del Presidente dell’Istituto Euroarabo di Mazara del Vallo, Tonino Cusumano, sono intervenuti: Ugo Melchionda, Presidente del Centro Studi e Ricerche IDOS e Antonella Castronovo, dell’Istituto IDOS. Ha coordinato e introdotto i lavori Abdelkarim Hannachi, dell’Università Kore di Enna.

lunedì 22 febbraio 2016

Il congresso del PD

(foto Roberto Rubino)
Mai come questa volta i numeri hanno un significato insignificante. La percentuale con la quale è stata eletta la nuova segreteria del nuovo Pd che dovrebbe produrre una nuova politica a Mazara per avviarla su un nuovo corso verso un nuovo futuro, appare inoppugnabile e la partecipazione del pubblico sembra foriera di speranze per un partito per troppo tempo rimasto allo sbando, in balia di se stesso e delle sue contraddizioni.
Ma veramente tutto quel che si vuol fare apparire è realtà?
Soffermiamoci un momento sui numeri. Ad iscrizioni appena chiuse il nuovo circolo PD conta ben 427 neo tesserati, uno dei circoli più numerosi della provincia. Ci si aspetta una gran voglia di politica, di ricominciare, di partecipazione dopo una lunga pausa di torpore e di catalessi. Quel tesseramento rappresenta una notevole insufflazione di ossigeno in un organismo in stato di asfissia Tanti giovani, se così si possono considerare i quarantenni entrati di forza nel partito. Tanta linfa apportata da formazioni politiche trasversali, segno che il partito della nazione si forma nelle periferie, tanti osservatori e un parterre delle grandi occasioni con sindaci e codazzi a portare i saluti istituzionali dopo un inno nazionale cantato da una voce assai timida e un pubblico in piedi, in raccoglimento più che in corale partecipazione alle note di Mameli. Esaurita la passerella formale dei politici di turno che non possono fare a meno di fare notare la loro presenza, ne va della propria esistenza, il congresso entra nel vivo con la relazione delle due mozioni contrapposte, una di maggioranza e una di minoranza, come nelle più classiche delle partite di democrazia. A tenere le due lectio magistralis di politica i due candidati alla segreteria non prima di essere stati preceduti dal mea culpa del segretario uscente, che da capro espiatorio, assume su di se le responsabilità della debacle delle trascorse elezioni amministrative. Un gesto coraggioso, eroico, un martirologio politico, come si conviene in quei partiti per bene che della democrazia e dell’autocritica ne fanno un simbolo, un nome e una bandiera.
L’Ecce Homo si fa da parte, non prima di avere dato prova di incondizionata fedeltà al suo mentore. Nessuno grida il “ crucifigge”, il martirio è già avvenuto. L’esposizione delle due mozioni appare stantia, vaga, generica, fumosa e vuota di contenuti, come hanno insegnato i dorotei democristiani. Nessuna analisi politica, nessuna ricerca introspettiva della propria essenza di partito, come se niente fosse successo, con la velleità di costruire il futuro proprio a partire da questo niente. Come se da quel 27 ottobre 2013 non fosse successo niente. Eppure quel pomeriggio di tre anni fa ne erano volati stracci!
Non si lesinano gli applausi e gli squilli di tromba da destra e da sinistra. Nell’aria aleggia una calma di rassegnazione, un clima sereno. È il segno dell’accordo tra King Giorgio e l’ex avversario del precedente congresso. Teresa Diadema, nomen omen, sarà incoronata segretaria. Son tutti felici, le vestali hanno avuto la vittima sacrificale, adesso si può dare fiato alle trombe. Sono i prodromi di un sindaco donna per la prima volta nella storia della città?
I risultati parlano chiaro. Il 76% di preferenze alla neo segretaria, il 24% all’avversario. Soffermiamoci un momento sui numeri. I voti congressuali sono stati 278, molto ben al di sotto degli oltre quattrocento aventi diritto. Ne mancano un bel numero per un congresso in cui si inneggia alla voglia di partecipare alla politica. Il 35% ha preferito astenersi. Non è un bel segnale. Come interpretare questo entusiasmo affievolito?
Ma il vero congresso si svolge fuori dal palco, tra le poltrone della platea. È lì che hai la sensazione del clima. I miei interlocutori non lesinano argomenti. C’è chi parla di giochi che potrebbero aprirsi tra qualche settimana con l’ingresso di nuove presenze nella scarna rappresentanza PD in consiglio comunale. Addirittura la stessa segreteria verrebbe messa in minoranza all’interno del neo formato gruppo democratico. Un problema di non poco conto. Un componente di spicco del PD si limita a far notare come “questo congresso non abbia alcun senso in prospettiva delle prossime amministrative in cui i partiti contano sempre meno e le liste civiche sempre di più. Gli ultimi sindaci, da vent’anni a questa parte sono stati espressione di liste civiche e non di partito, citando Crimaudo, Macaddino, lo stesso Cristaldi, nonché i loro avversari sconfitti, dalla Di Giovanni a Torrente. I destini della città e della politica non sarà certo questo congresso a segnarli”. Un esponente della vecchia guardia parla di accordi e “cornetti”, forse riferendosi al tavolo della stanza adiacente  ricolmo di vassoi con cornetti. Il linguaggio criptico continua con un altro esponente di primo piano che addirittura chiama in ballo la letteratura e Camilleri citando un personaggio il quale, alla domanda se avesse qualcosa da dire, risponde” che devo dire? Non ha visto che i due si sono guardati negli occhi?”
È nella platea il vero congresso. Segno di vitalità.

domenica 14 febbraio 2016

Il messaggio di Eric Lamet. Invito al perdono.

Eric Lamet (foto L. Tumbarello)

Non è di tutti i giorni che una manifestazione culturale, condotta in modo raffinato, faccia scoprire alla collettività, dopo uno spazio temporale abbastanza lungo, una storia iniziata nel più tragico dei modi, e che da quella follia umana possano nascere dei valori e degli insegnamenti che elevano l’uomo ad una dimensione superiore. Non è facile perdonare, soprattutto quando la propria vita è stata segnata dalla più grande atrocità che il mondo avesse mai visto, ancor più, quando, di tutta la propria numerosa parentela, si sono perdute le tracce nei campi di sterminio nazisti. Tuttavia, può succedere, che, se analizzato da un punto di vista diverso da quella tragedia, che la Arendt definì “la banalità del male”, il bene possa avere il sopravvento sul male e il perdono sull’odio, non rinunciando al ricordo. Sapere perdonare è l’insegnamento che alla fine l’autore vuole trasmettere ad un pubblico attento, emotivamente coinvolto. Non è facile perdonare, ci vuole tempo, occorre scavare in profondità nell’introspezione di se stessi, andare alle proprie radici, sapere raccogliere da quella banalità del male quanto bene può sgorgare, considerarlo un dono da portare con se per sempre.

Eric Lamet, il suo nome di nascita è però Erich Lifschutz, ebreo polacco, infanzia trascorsa a Vienna, cresciuto in Italia, maturato negli Usa. Apparentemente una storia come tanti altri costretti a provare l’orrore della diversità razziale, tuttavia al contrario degli altri, considera quell’ingiustizia subita un dono dal proprio nemico. Quel confino che lo ha relegato, insieme alla madre, a seguito delle leggi razziali contro gli ebrei, in un paesino sperduto dell’appennino campano, lontano dalla civiltà, e dove ha la fortuna di incontrarvi un siciliano, di Mazara del Vallo, che lo plasmerà sul piano degli affetti, della formazione e soprattutto della crescita, verrà considerato, da Eric, un regalo da preservare per tutta la vita.

Oggi Enrico è un giovane ultraottantenne dagli occhi vispi, curiosi, dal sorriso pronto, bell’uomo, e soprattutto testimone di un passaggio epocale di società e modi di vivere diversi, una trasformazione antropologica che lo ha sedotto e forgiato sul piano umano.
Rosario Lentini, Eric Lamet, Antonino Cusumano (foto L.Tumbarello)
Lamet non racconta, dialoga con i suoi interlocutori, lo storico Rosario Lentini e Antonino Cusumano dell’Istituto Euroarabo di Mazara. Soprattutto dialoga con il pubblico. Lo fa in modo affascinante, con linguaggio suadente, lo sguardo benevolo e commosso. Una grande umanità aleggia nelle sue parole, dense di amore e pregne della sofferenza che lui e la sua famiglia hanno dovuto subire. Soprattutto colpisce la serenità con la quale parla di quel momento di vita. Il suo è un atto di amore verso Pietro Russo, quel mazarese antifascista che conobbe durante il confino e che divenne il suo secondo padre, verso quello sperduto paesino che lo ospitò durante la guerra, verso l’America, in cui tuttora vive, verso i parenti di suo padre, i quali, nonostante le diffidenze iniziali, accettarono e riempirono di affetto i nuovi strani parenti di altra religione. Il libro è anche un atto di amore nei confronti di Mazara, città dove Eric portò l'urna con le ceneri del padre per conservarle nel cimitero cittadino.



martedì 9 febbraio 2016

Unioni civili. Una crociata di retroguardia



Quanto sia strana e ipocrita questa politica ormai è sotto gli occhi di tutti. Ma ancor di più lasciano sconcertati alcuni interventi da crociata da parte di personaggi che ritenevamo, per la loro età e per il ruolo che hanno esercitato nel cristallizzare questo Paese in una posizione di retroguardia, si pensi al divorzio, all’aborto, alla fecondazione assistita, ai DICO, essersi ritirati alla contemplazione dello spirito in una prospettiva escatologica.
La stranezza di tutto ciò sta soprattutto nella mobilitazione di centinaia di piazze a manifestare, legittimamente, ma ipocritamente, in favore o contro il d.d.l. che regolerà le unioni civili delle coppie omosessuali. La disinformazione è tale da generare un calderone di giudizi e pregiudizi , seminare confusione nella gente, dividere il Paese in bianchi e neri, in puri e impuri, in probi e reprobi, in virtuosi e debosciati.
Il nocciolo della questione è la così detta stepchild adoptotion, un brutto termine anglofono che significa adozione del figliastro di uno della coppia da parte dell’altro partner. Poiché si tratta di coppie appartenenti allo stesso sesso, l’obiezione che viene posta da una parte è: l’adozione aprirebbe le porte all’utero in affitto; inoltre si degenererebbe il concetto naturale di procreazione che avviene attraverso ed esclusivamente tra sessi diversi. -Perchè un bambino possa essere adottato, affermano, occorre che la famiglia adottante sia composta da un padre e una madre e non da due genitori dello stesso sesso; una famiglia in cui manca la figura genitoriale di sesso diverso creerebbe disturbi nell’equilibrio della crescita del bambino, genererebbe delle diversità di relazione con i coetanei di famiglie “naturali”, introdurrebbe inevitabilmente alterazioni della personalità-. Siamo, come si vede, nel campo speculativo del pensiero in assenza di riscontri scientifici. Infatti, le opinioni, sul piano sociologico, sono contrastanti, ancor di più, se da parte di coloro che sono fermamente contrari, si riconosce che la tesi non è generalizzabile. La figura genitoriale naturalmente viene identificata con la mancanza di una madre nel caso di una coppia gay, mentre si è “più disponibili” a chiudere un occhio per una coppia lesbica.
L’aspetto centrale, quello del riconoscimento dei diritti dell’altro coniuge viene artatamente offuscato da ipotesi che si spingono al di là della stessa legge e che non sono previste o espressamente vietate come il ricorso dell’utero in affitto.
Si tratta, invece, nel riconoscere le unioni civili, di dare dignità alle persone, alle coppie omosessuali e a quei bambini che, comunque sia il metodo con il quale sono stati procreati, hanno diritto ad avere gli stessi diritti dei loro simili nati da coppie etero.
Cosa diversa, invece, è la pretesa al diritto di avere figli. Ma se questa possibilità la si lascia aperta alle coppie etero, difficilmente potrà essere non consentita alle coppie omosessuali, visto che l’orientamento giuridico internazionale va in questa direzione. Su questo punto, anche se con i soliti distinguo, il Paese reale è molto più avanzato e aperto rispetto alla politica; gli stessi cattolici non sono propensi a seguire la crociata del card. Ruini & C se all’interno della stessa Chiesa si riscontrano posizioni teologiche discordanti. A riprova di ciò le battaglie sul divorzio e sull’aborto che videro sconfitte le posizioni di retroguardia della Curia Romana e della politica ad essa molto sensibile.
La famiglia come comunemente la si intende, quella “tradizionale e naturale”, sembra ormai una questione non più dirimente, al contrario di quello che si vuol far credere, se essa viene sempre più percepita come superata nella realtà, soprattutto in un contesto di società secolarizzate. Né, tantomeno risulta credibile quanto si afferma, da parte cattolica, clero e laici, ovvero che il riconoscimento delle unioni civili condurrebbe, a breve termine, alla disgregazione della famiglia “naturale”. Lo stesso ritornello è stato declamato per il divorzio e per l’aborto. I fatti li hanno smentiti. Ma la politica di retroguardia, con i suoi giochetti del mezzo passo indietro o di uno laterale, non ha intenzione di stare al passo dei tempi né della ragione.