Cartesio


Non c'è nulla interamente in nostro potere,se non i nostri pensieri.
Cartesio

domenica 14 febbraio 2016

Il messaggio di Eric Lamet. Invito al perdono.

Eric Lamet (foto L. Tumbarello)

Non è di tutti i giorni che una manifestazione culturale, condotta in modo raffinato, faccia scoprire alla collettività, dopo uno spazio temporale abbastanza lungo, una storia iniziata nel più tragico dei modi, e che da quella follia umana possano nascere dei valori e degli insegnamenti che elevano l’uomo ad una dimensione superiore. Non è facile perdonare, soprattutto quando la propria vita è stata segnata dalla più grande atrocità che il mondo avesse mai visto, ancor più, quando, di tutta la propria numerosa parentela, si sono perdute le tracce nei campi di sterminio nazisti. Tuttavia, può succedere, che, se analizzato da un punto di vista diverso da quella tragedia, che la Arendt definì “la banalità del male”, il bene possa avere il sopravvento sul male e il perdono sull’odio, non rinunciando al ricordo. Sapere perdonare è l’insegnamento che alla fine l’autore vuole trasmettere ad un pubblico attento, emotivamente coinvolto. Non è facile perdonare, ci vuole tempo, occorre scavare in profondità nell’introspezione di se stessi, andare alle proprie radici, sapere raccogliere da quella banalità del male quanto bene può sgorgare, considerarlo un dono da portare con se per sempre.

Eric Lamet, il suo nome di nascita è però Erich Lifschutz, ebreo polacco, infanzia trascorsa a Vienna, cresciuto in Italia, maturato negli Usa. Apparentemente una storia come tanti altri costretti a provare l’orrore della diversità razziale, tuttavia al contrario degli altri, considera quell’ingiustizia subita un dono dal proprio nemico. Quel confino che lo ha relegato, insieme alla madre, a seguito delle leggi razziali contro gli ebrei, in un paesino sperduto dell’appennino campano, lontano dalla civiltà, e dove ha la fortuna di incontrarvi un siciliano, di Mazara del Vallo, che lo plasmerà sul piano degli affetti, della formazione e soprattutto della crescita, verrà considerato, da Eric, un regalo da preservare per tutta la vita.

Oggi Enrico è un giovane ultraottantenne dagli occhi vispi, curiosi, dal sorriso pronto, bell’uomo, e soprattutto testimone di un passaggio epocale di società e modi di vivere diversi, una trasformazione antropologica che lo ha sedotto e forgiato sul piano umano.
Rosario Lentini, Eric Lamet, Antonino Cusumano (foto L.Tumbarello)
Lamet non racconta, dialoga con i suoi interlocutori, lo storico Rosario Lentini e Antonino Cusumano dell’Istituto Euroarabo di Mazara. Soprattutto dialoga con il pubblico. Lo fa in modo affascinante, con linguaggio suadente, lo sguardo benevolo e commosso. Una grande umanità aleggia nelle sue parole, dense di amore e pregne della sofferenza che lui e la sua famiglia hanno dovuto subire. Soprattutto colpisce la serenità con la quale parla di quel momento di vita. Il suo è un atto di amore verso Pietro Russo, quel mazarese antifascista che conobbe durante il confino e che divenne il suo secondo padre, verso quello sperduto paesino che lo ospitò durante la guerra, verso l’America, in cui tuttora vive, verso i parenti di suo padre, i quali, nonostante le diffidenze iniziali, accettarono e riempirono di affetto i nuovi strani parenti di altra religione. Il libro è anche un atto di amore nei confronti di Mazara, città dove Eric portò l'urna con le ceneri del padre per conservarle nel cimitero cittadino.



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