Cartesio


Non c'è nulla interamente in nostro potere,se non i nostri pensieri.
Cartesio

mercoledì 10 luglio 2013

Gli equivoci della innovazione

Il parco eolico nell'Orensund - Danimarca

di Antonino Cusumano. 

La lingua, si sa, rivela il pensiero fino a tradirlo, a illuminarlo, a supplirlo in certi casi, fino a metterne a nudo epifanicamente anche i più nascosti intendimenti. Nel lessico politico le torsioni e le contorsioni linguistiche sono oggi il segno più evidente ora del vuoto di idee e di progetti, ora dei raggiri sottintesi e delle imposture più infami. Le parole sempre più spesso sono piegate a violente distorsioni, a ingannevoli manomissioni. Accade così che si usi in modo disinvolto e senza suscitare sorpresa  l'espressione “parco eolico” per indicare un impianto di pali piantati in mezzo al mare, a meno di due miglia dalla costa.
Quando leggo “parco” penso in prima istanza ad un ambiente naturale protetto, ad un luogo lussureggiante di piante e animali, ad uno spazio pubblico da tutelare o da valorizzare. Associare alla parola “parco” un insieme di 48 antenne con eliche ruotanti che fuoriescono dall'acqua per 150 metri, fissate nel fondale marino lungo il tratto antistante Capo Feto, Margi Spanò e Punta Biscione, ovvero tra la costa di Mazara e Petrosino, è operazione quanto meno bizzarra, per non dire ambigua. L'ambiguità trova conferma nelle parole inglesi che accompagnano con un tocco esotico la locuzione “parco eolico”: off shore, che letteralmente significa “al largo, lontano dalle coste” ma per estensione metaforica fa riferimento anche a imprese fittizie create in centri finanziari sinonimi di paradiso fiscale.
Che si rischi di consumare un ennesimo misfatto al patrimonio ambientale è più che un sospetto. Del resto, sul fronte dei beni culturali Mazara ha già alle spalle una lunga storia di colpevoli e imperdonabili  “distrazioni”. La mente corre all'esempio più clamoroso: il palazzo  municipale di Piazza della Repubblica. Un monstrum di alluminio e cemento che ha nella sua struttura aggettante la cinica protervia del potere. Ma più indietro nel tempo altre ferite sono state inferte sul corpo della città: si pensi solo alla costruzione dell'edificio della Cassa mutua marittima accanto al monumento arabo-normanno della chiesa di san Nicolò Regale e all'elevazione di grattacieli nel pieno centro storico. Senza contare lo scempio urbanistico perpetrato ai danni del litorale di Tonnarella. Più recentemente si è per fortuna scongiurata la realizzazione di un imponente porto turistico davanti al lungomare che avrebbe privato i mazaresi di uno dei pochi privilegi gratuiti goduti fin qui: lo spettacolo offerto dall'orizzonte del mare.
La progettazione di un megaimpianto infrastrutturale di produzione di energia eolica a poca distanza dalla costa, in mezzo al mare, costituisce una grave minaccia per l'equilibrio ambientale e paesaggistico. Pensavo fosse acquisita nel senso comune e collettivo la convinzione del danno prodotto dalla pervasività di queste altissime “croci” disseminate sul territorio, che a me sembrano disegnare tanti penosi calvari lungo i crinali delle valli del nostro entroterra. Se si considera che agli effetti rovinosi sul paesaggio si associano la scarsissima redditività e l'altissima densità di infiltrazioni mafiose e di corruttele, si stenta davvero a credere che possa esserci ancora qualche ingenuo o qualche buontempone che scambi queste operazioni di profitto privato per opportunità di occupazione e di sviluppo economico. Le stesse offerte di lavoro sarebbero comunque di breve momento, limitate all'effimera fase dell'istallazione, mentre l'impatto di queste pale innalzate in mezzo al mare resterebbe monumento alla stoltezza, memoria dell'inganno, oltraggio incancellabile alla bellezza.
È quanto meno singolare che coloro che sostengono, in nome delle innovazioni, le ragioni di questo mito salvifico affidato alla costruzione del cosiddetto “parco eolico”, siano gli stessi che rivendicano la vocazione turistica del nostro territorio e trascurano di considerare che l'impianto sorgerebbe in presenza di una prospiciente e ampia area protetta (questa sì, vero e proprio parco), di interesse comunitario e di riconosciuto valore naturalistico. La Sicilia non è l'Inghilterra né la Danimarca, dove queste turbine che emergono dal mare sorgono comunque a più di venti chilometri dalla costa. Sarebbe insensato pensare di assumere questi modelli, impropri per dimensioni strutturali e caratteristiche naturali. Le contraddizioni  non finiscono qui, se si prendono in considerazione altri fattori: i rischi sismici di origine geologica, le conseguenze sulla piccola pesca e sulla navigazione, le ripercussioni sulle correnti marine e sugli habitat delle specie animali.
Ma un'argomentazione su tutti dovrebbe essere prevalente, quella che ci suggerisce la storia e ci offre la natura, ovvero la difesa di quanto abbiamo ereditato e che ci fa diversi, riconoscibili, credibili. Se avessimo più rispetto per la bellezza dei luoghi che abitiamo, avremmo probabilmente consapevolezza che i beni ambientali e culturali non sono velleitario appannaggio di minoranze nostalgiche che negano il diritto alle innovazioni tecnologiche, ma sono invece preziose  risorse economiche da gestire con intelligenza, occasioni di benessere  e di sviluppo civile, capitali fondamentali del nostro patrimonio storico e identitario.  


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