Cartesio


Non c'è nulla interamente in nostro potere,se non i nostri pensieri.
Cartesio

venerdì 13 giugno 2014

Mazara: Comune, Chiesa, Soprintendenza come le tre scimmiette

( Foto di L.Tumbarello)

 Nei secoli passati, oscuri artigiani e maestranze hanno dedicato la loro vita, con l’abilità e l’umiltà del loro lavoro, a costruire con maestria l’immenso patrimonio di bellezza unico al mondo e da tutti invidiato. Adesso quello stesso patrimonio quando non rischia di scomparire, viene spesso ferito, dilaniato, oltraggiato non solo dall’incuria e dal degrado ma dalla stessa mano dell’uomo. Quegli anonimi maestri erano guidati dall’orgoglio di partecipare ad un opera destinata a durare nel tempo, erano fieri di lavorare per il futuro e per la gloria del loro paese. Orgoglio che purtroppo in questa città la collettività ha smarrito, avendo perduto il senso del futuro che è “il dovere” lasciare un mondo migliore di quello avuto in eredità. L’abbandono del proprio patrimonio culturale riflette la decadenza morale di una società che ha perduto il senso dei valori più profondi, quello della propria identità, della propria storia, della propria cultura, e che si avvia tristemente verso un futuro privo di passato, ovvero verso un futuro senza futuro, come una zattera alla deriva.
Mazara ha nel suo D.N.A questo gene del disfacimento della memoria, di accidia, di colpevole disattenzione, di apatia generale, di indifferenza, ed è attraverso quest’ultima che si consuma uno scempio su un simbolo della città. Viene in tal modo flagellata la dignità, mortificata la storia, attraverso uno scellerato quanto irragionevole innesto di un corpo estraneo, anonimo, in quella che è tuttora la millenaria scalinata tufacea, l’acchianata naturale che conduce alla bella e caratteristica chiesetta normanna del XI secolo: Santa Maria delle Giummare o Madonna dell’Alto come viene chiamata dal popolo, fatta erigere da Giuditta D’Evreux, moglie di Ruggero D’Altavilla.
Già contaminata da una toponomastica infelice e disattenta alla peculiarità del luogo, attraverso l’intitolazione della salita a Attilio Bertolucci, che nulla ci azzecca con la storia e la cultura della città, adesso la stessa chiesetta ha dovuto subire un’ulteriore offesa, ancor più grave, che ne deturpa la secolare bellezza.
(Foto di L.Tumbarello)
Così viene costruita, da un giorno all’altro, in piena luce, tra l’indifferenza generale, una scala in conci di tufo, di maldestra manifattura, altro che maestranze di un tempo, senza che nessuno abbia niente da ridire: la Chiesa che ne è proprietaria e custode, il Comune che ne deve dare l’autorizzazione, la Soprintendenza ai monumenti che deve vigilare. Quel corpo estraneo rappresenta la conseguenza dello scarso senso estetico della collettività accompagnato da un deficit di etica pubblica. Inoltre descrive la perdita del senso del bello, anzi sembra che la bellezza dia molto fastidio; così i monumenti vengono abbandonati all’incuria, umiliati da vicine discariche, abbandonati alle erbacce e sterpaglie. Tutto è stato consumato in presenza di una comunità apparsa in catalessi, incapace di indignarsi persino di fronte al vandalismo imperante In questa città è successo e succede! L’incuria del territorio lo ha privato di identità, ne ha cambiato la fisionomia, ha offuscato la memoria dei suoi abitanti ai quali è stata negata quel che la natura ha loro donato: la capacità di godere e meravigliarsi del bello. La bellezza del paesaggio è un patrimonio collettivo da rispettare, da accudire e da preservare, non appartenendo alla sola sensibilità di alcuni esteti ma all’intera comunità. Questo in tutte le parti tranne che a Mazara, dove le tre istituzioni tacciono,se non si compiacciono, di tale scempio.
Insieme, per le proprie responsabilità, Comune, Chiesa e Soprintendenza incarnano alla perfezione le tre scimmiette: Non vedono, non sentono, non parlano. Ma il popolo non è da meno.


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