Cartesio


Non c'è nulla interamente in nostro potere,se non i nostri pensieri.
Cartesio

giovedì 11 giugno 2015

Expo 2015. Una passeggiata per il Decumano

foto Luigi Tumbarello
Un gran battage pubblicitario ha preceduto e seguito l’inaugurazione dell’Expo 2015 a Rho, periferia di Milano.
Ma ne vale la pena visitarlo?  La domanda me la sono posta dopo avere trascorso, con fatica, uscendone stremato,un’intera giornata tra i padiglioni posti ai due lati del Decumano, lunghissima  fiumana umana.
Arriviamo a Rho, mia moglie ed io, nella prima mattinata, in metropolitana. Tempo impiegato da piazza Duomo appena una mezzoretta. All’ingresso dell’Expo  si rimane colpiti nel  vedere migliaia di persone  fare la fila in attesa di entrare nell’area espositiva.  Avendo prenotato  e pagato on line i biglietti  abbiamo  diritto di precedenza, potenza di internet, e una volta superati i tornelli e  i relativi metal detector, ci siamo trovati paracadutati nel maestoso   viale espositivo coperto da gigantesche vele ombreggianti, non prima di avere percorso alcune centinaia di metri a piedi. Quisquilie rispetto a quel che ci aspettava.
foto Luigi Tumbarello
  “ Divinus Halitus Terrae” con questo messaggio ti accoglie Expo2015. È il padiglione zero, la summa o la premessa di quel che dovrebbe essere l’Expo. Non c’è  molta coda, il Decumano deve ancora venire e noi abbiamo fretta di arrivarci. Non entriamo. Peccato. Forse abbiamo perduto il vero senso dell’esposizione universale.
Ma eccolo là, maestoso, babelico, frastornante, il Decumano con le sue sculture rosse. Sono le multicolori installazioni en plein air dell’artista ligure Tomaino raffiguranti giochi, animali, la natura, i bambini. Te li ritrovi lungo tutto il percorso a farti compagnia, ad alleviare la fatica del tour de force che si sta iniziando inconsapevolmente. Il primo padiglione che visitiamo è quello del Regno del Bahrein,  piccolo stato arabo del golfo persico. Modesto, semplice, essenziale, scarno. Mi interessa osservare alcune varietà vegetali, il modo di coltivazione della vite, ad alberello gigante più che a pergola, i giuggioli, gli avocadi. Niente di particolare. Lungo il percorso decidiamo di fare delle scelte. Scartiamo i padiglioni più affollati, violentati da interminabili file di scolaresche, dalle elementari alle superiori. Non ho capito che ci fanno le elementari.  I ragazzi più grandi, quelli delle medie o delle superiori, spesso sono irritanti nel  loro comportamento. Vere mandrie di studenti assolutamente disinteressati e impegnati  solo a fare selfie, incuranti che il loro modo di comportarsi e il loro vociare potesse dare fastidio. In effetti lo danno, visto che  hanno murriti nelle mani. Non sanno stare fermi. Dell’Africa il padiglione del Sudan è quello che presenta meno visitatori. Vi entriamo curiosi. In effetti  ci delude. Niente di particolare se non le solite cianfrusaglie dei mercatini rionali che siamo abituati a vedere.  Quello di Cuba è ancora chiuso ma i banconi dedicati al cacao e ai suoi derivati sono presi d’assalto dai visitatori. I prezzi sono esageratamente alti. Impossibile visitare i padiglioni di Brasile, Svizzera, Stati uniti e Germania. Le code sono troppo lunghe. L’Ungheria ci accoglie con le sue acque, i suoi bagni, le sue terme, i suoi laghi, i suoi fiumi.  Onestamente ci aspettavamo di più.
foto Luigi Tumbarello
Tra un padiglione che scartiamo a priori e un altro, ci infiliamo in quello della Bielorussia. Grande delusione. D’altronde non capiamo la sua presenza all’Expo. All’ingresso un complessino in costume tipico che suona e canta canzonette popolari . All’interno solo un bazar di prodotti locali carissimi. La visita dura poco. Restiamo delusi anche dalla Tailandia e dall’indonesia: molto modesti,solo proiezioni video di risaie e le classiche coltivazioni a terrazza. Intanto si  avvertono i primi languorini e la sete si fa sentire.  Del Decumano abbiamo percorso alcune centinaia di metri. Ce ne aspettano ancora mille.

foto Luigi Tumbarello
Continuiamo il nostro tour. A sinistra il padiglione della Cina. Lunga fila, ma decidiamo di entrare. L’ingresso è  una coreografia floreale di crisantemi gialli di ineguagliabile bellezza.  Colpisce  l’uso della più avanzata  tecnologia. Raffinato, didattico, aristocraticamente comunisteggiante soprattutto nella proiezione del filmato inneggiante alla festa della Primavera. Assolutamente da vedere. Intanto il caldo incomincia a farsi sentire.  Entriamo, dopo una breve fila, in quello della Spagna. Belli i suoni, i colori, la scenografia. Ci sentiamo a casa. Siamo attratti dagli effetti scenografici delle pareti tappezzate di piatti candidi.

foto Luigi Tumbarello
Ognuno di essi è una piccola porzione di schermo, nell’insieme un mosaico di immagini che raccontano la produzione agricola, il lavoro, le abitudini. È il tema comune di tutta l’Esposizione. Decidiamo di fermarci nel ristorante spagnolo. Affollatissimo, lunga file per entrare, per finire stipati in un tavolo come sardine. Ordiniamo paella e sangrìa. Piatto quantitativamente insufficiente , almeno per le mie sane abitudini. Il gusto è scialbo, freddo, il riso è  ‘nchiummatu, la sangrìa è una bevanda  colorata insapore, il conto però è da nababbi:  cinquantadue euro per una cuppinata di riso e un bicchiere di acqua avvinazzata. Aggiungiamo quattro euro per una bottiglietta di mezzo litro di acqua. Incredibile. Alla faccia della fame nel mondo.
foto Luigi Tumbarello
Il caldo si fa opprimente, si suda, per fortuna siamo vicini al padiglione dell’Austria con un bosco tipico ricostruito nei minimi particolari compreso il microclima. Meraviglioso.
Ottimo lo strudel di mele accompagnato con panna ai mirtilli ( quattro euro la porzione). La frescura è quanto di meglio si possa desiderare in una giornata assolata. Ne usciamo a malincuore per visitare il padiglione dell’Iran, assai povero, scarno, con un modestissimo complessino che suona annoiato musiche tipiche. Ma dove sono finiti gli sfarzi dell’antica Persia?  Eppure il paese degli ayatollah è uno dei più avanzati del medioriente sul piano dell’industria e della tecnologia. Interessante il padiglione del Sultanato dell’Oman con il deserto ricostruito e la produzione dell’acqua dalla dissalazione del mare. L’alimentazione è tipicamente mediterranea, i metodi di pesca come quelli nostri di mezzo secolo fa. 
Foto Luigi Tumbarello
Di fronte ci appare il padiglione del  Qatar. Sfarzoso, lussuoso, accogliente, con la bellezza delle sue fontane da mille e una notte e  delle sue hostess. Le ragazze liceali  fanno a gara a farsi fotografare con gli uomini in "kandura", la tunica bianca caratteristica. Si sale dal piano ammezzato a quello superiore attraverso una scala mobile, lusso che troviamo solo qui   (potenza dei petrodollari).
foto Luigi Tumbarello
L’acqua è il bene vitale, enormi gli investimenti sui dissalatori. Nulla si dice del petrolio. Lo spettacolo tecnologico è stupefacente nella rappresentazione  scenografica dell’albero, metafora della vita e della nutrizione.Molta interattività per quanto riguarda il tavolo degli alimenti e i piatti tipici. la coreografia è raffinata. Non hanno badato a spese, beati loro che se lo possono permettere. Il Qatar è l’unico tra i padiglioni visitati ad offrirci datteri. Squisiti. Impossibile entrare in quello del Giappone e del Messico. Troppa la coda da fare.
foto Luigi Tumbarello
Ci avviamo verso quello della  Russia, sormontato da un enorme baldacchino di specchi che riflettono il largo ingresso.  Una folla di ragazzi circonda delle bellissime ballerine russe scatenate in una danza tipica. Guardiamo lo spettacolo  con gli occhi verso l’enorme specchio  del baldacchino in alto che riflette ciò che avviene in basso. La fila è ordinata, disciplinata e scorrevole. L’interno è dominato da un enorme parete raffigurante la tavola di  Mendeleev e ogni elemento associato ad un alimento. 
foto Luigi Tumbarello
È l’elogio agli scienziati che si sono dedicati e continuano a farlo nel migliorare le tecnologie produttive e soprattutto e lanella ricerca della biodiversità. Tutto all’insegna del super, supertecnologico, superiflettente, superdidattico. Giganteschi monitor informano che la terra della grande e santa madre  Russia possiede il lago più profondo della terra, quello più grande, il fiume più lungo e per finire, il 26% delle risorse idriche mondiali di acqua dolce. Un avvertimento? Un messaggio per  dire che le sanzioni fanno un baffo a Putin? Un enorme e  psichedelico bancone da pub che dispensa gratuitamente bibite caratteristiche  era assaltato dai giovani. 
Troppa folla di ragazzi al banco. Un segno dei tempi.  Altro che interesse didattico da parte loro. Viva la vodka, che per fortuna non viene dispensata.  Vietato comprare souvenir per noi poveri visitatori. Tutto all’insegna del costoso. D’altronde chi può permettersi oggi di spendere a Milano se non i paperoni russi, gli sceicchi arabi e i mandarini cinesi? Usciamo soddisfatti non dopo averne ammirato la struttura avveniristica, per certi versi ardita, del padiglione a forma di  una moderna arca con le pareti esterne in tema con quello che è lo spirito dell’expo. Ci avviamo, siamo a pomeriggio inoltrato, verso il padiglione Italia. Incastonato tra quello svizzero e quello della Frau Merkel , si presenta imponente. Una struttura di acciaio avvolta da un enorme  candido ricamo, gioiello architettonico  e di tecnologie ingegneristiche avanzatissime. Quello della Germania non è da meno per l’arditezza costruttiva.
foto Luigi Tumbarello
In fondo al viale si erge imponente l’albero della vita e il giochi d’acqua della grande vasca. Ci affascina e subito ci troviamo in coda ad una lunghissima fila. Un serpente umano disciplinato e paziente  che dall’esterno si snoda verso l’interno per due rampe di scale di acciaio. Centinaia e centinaia di teste e di corpi verticali che si muovono lentamente. Siamo fortunati. Ci dicono che bisognerà attendere un’oretta per entrare. Fortunati perché il martedì è il più anonimo dei giorni della settimana. Immagino cosa succederà il sabato, la domenica o durante il  prossimo ponte del 2 giugno.  
foto Luigi Tumbarello
Il serpente umano si snoda dall’esterno verso l’interno segmentato, fanno entrare gruppi di trenta intervallati ogni 15 minuti. Intervalli di tempo  di attesa lungo le rampe di acciaio che conducono ai piani superiori. Nessuna scala mobile, significa che non abbiamo i petrodollari. Arrivati alla rampa del  primo piano solo allora mi rendo conto della quantità di persone che sono in fila all’interno del padiglione Italia, moltissimi stranieri. Se la sommiamo a quella che sta fuori si ha la rappresentazione abbastanza approssimata per difetto di quanti siano i visitatori quel pomeriggio. Uno sguardo più attento, verso il basso, rivela un qualcosa che non ti aspettavi. Nessuno al piano terra si sofferma a guardare la bellissima statua marmorea di Hora proveniente dagli Uffizi.   All’interno del padiglione altre opere d’arte vengono ignorate, o almeno, per esse solo sguardi fugaci. La Vucciria di Guttuso ad esempio. Sono centinaia le opere d’arte  provenienti da tutto il mondo esposte nei vari spazi dell’Expo, gran parte di esse saranno ignorate dai visitatori medi, categoria alla quale mi riconosco di appartenere. Non si viene all’expo per ammirarle, nell’immaginario collettivo esse fanno parte di un altro circuito, di conseguenza vengono ignorate dalla massa, che è poi quella che conta e  che fa statistica.
Foto Luigi Tumbarello

 La curiosità viene soddisfatta dalla creatività, dall’originalità, dalle forme curvilinee o geometriche impossibili, dai materiali usati e progettati appositamente per i vari padiglioni. Più che il cibo attrae l’estetica, e con essa gli effetti speciali, il gioco di luci, i cromatismi, le proiezioni caleidoscopiche delle immagini, come avviene nella sala degli specchi. La novità è rappresentata dagli avatar, l’avevo incontrato in quello del Qatar. Manichini che attraverso  fasci luminosi provenienti da  proiettori computerizzati danno loro un senso di animazione.  
foto Luigi Tumbarello
Sono  gli avatar a rappresentare le varie categorie produttive del nostro Paese.  Tutto all’insegna della retorica presentata come potenza: del fare, della bellezza, del limite e del futuro. I temi sono comuni: la salvaguardia dell’ambiente dal disastro ecologico, la difesa del territorio, il dissesto idrogeologico, l’inquinamento. Priorità di tutti i paesi partecipanti è, almeno a parole e nei messaggi promozionali, il miglioramento della qualità della vita. Ambiente e cibo, un connubio didattico che crea consenso. Una piccola annotazione alla fine della visita. Mi ha lasciato perplesso, nello spazio dedicato alla produzione di eccellenza delle regioni d’Italia dovere tristemente osservare che la mia regione, la Sicilia, viene rappresentata  solo per la produzione di fichidindia e fichi. 
foto Luigi Tumbarello
Godiamo di scarsa considerazione, in questo modo il messaggio promozionale appare devastante sul piano dell’immagine. Non bastava la pessima figura fatta con il padiglione Sicilia chiuso perché inagibile.
Usciamo dal padiglione Italia dopo un paio d’ore, stanchi, indolenziti, ci sentiamo esausti. Si decide di rientrare a Milano essendo le energie esaurite. Mancano ancora tanti padiglioni da visitare, quello del Vaticano, il  Messico oltre a quelli inizialmente citati. Ma tutto non si può girare  in un giorno né in due. Non mancano, lungo il percorso del Decumano, cortei di protesta o quantomeno di sensibilizzazione sulla questione del cibo.  Tutto avviene in modo ordinato, circoscritto, discreto, quasi ironico. Fa parte quasi della coreografia di questa grandiosa messa in scena espositiva.
foto Luigi Tumbarello
  Ne è valsa la pena?  Sì, vale la pena, non fosse altro che per questo secolo non vi sarà in Italia un’altra esposizione universale. L’attimo deve essere raccolto quanto si può. Possiamo sempre dire di essere stati testimoni di qualcosa che inciderà nei prossimi anni sul cambiamento del modo di percepire la vita. E sarà una rivoluzione. Prepariamoci.

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