Cartesio


Non c'è nulla interamente in nostro potere,se non i nostri pensieri.
Cartesio

mercoledì 19 dicembre 2012

Una passeggiata nel centro storico di Mazara.




Ha smesso di piovere da alcune ore,ma si respira un’aria ancora umida e calda dovuta allo scirocco. Lo scirocco a Novembre  non è una normalità,di solito predominano i venti di ponente e qualche libecciata. Ma da un po’ di tempo il clima si è tropicalizzato. Così si alternano violenti acquazzoni ad intensi squarci di cielo azzurro.
 Decido,all’improvviso,di lasciare in standby il mio notebook e di sgranchire le gambe irrigidite dall’immobilità della postura  con una passeggiata lungo le strette stradine del centro storico di Mazara.Vi sono appena trecento metri da casa mia a piazza Mokarta.
Approfitto del tepore della temperatura che gradualmente va innalzandosi per uscire di casa,non prima di avere messo in tasca la mia Nikon coolpix. E’ una di quelle macchinette digitali di cui ti puoi sempre fidare all’occorrenza e che non ti tradiscono mai. Almeno si pensa. Peraltro sono estremamente comode da tenere in un taschino per le loro dimensioni molto ridotte. Sono meno ingombranti del portafoglio. Solo che ti devi ricordare di tenere la batteria sempre carica,ma chissà perché, a me capita spesso che si scarichi all’improvviso nel momento in cui ne hai più bisogno.
Uscire alle 10 di mattina e guardare  le vie luccicanti dai riflessi della pioggia ti da un senso di pulizia e di serenità,soprattutto se le strade del centro sono avvolte nel silenzio assoluto.  In quell’inizio di giornata non c’è anima viva in giro,i ragazzi sono tutti a scuola. Le saracinesche dei negozi sono state  da poco alzate,i bar vuoti.
 E’ in queste condizioni che puoi godere della musica del silenzio. Chi vuoi che esca a quest’ora di un martedì,che poi è il più anonimo dei giorni della settimana? (La stessa sensazione e lo stesso effetto si ripresenta più tardi, alle cinque di pomeriggio).
Attraverso una Piazza Mokarta ancora intorpidita dalla pioggia,la zona ZTL amplifica il senso di vuoto. I miei sneakers rendono felpati i passi al contatto con i lastroni  bocciardati della strada. La piazza Municipio si presenta davanti a me incorniciata in una scenografia  stracolma di  assenze. Non un’anima viva, il bar vuoto,la via Garibaldi che si snoda nella sua incomprensibile solitudine,e quei pochi raggi incidenti di luce che vi penetrano  la rendono ancor più triste e desolante. Sembra il percorso di un paesaggio kafkiano.
Itinerario dei Vicoli. Trovo la scritta su mattonelle in ceramica ripetersi ossessivamente lungo tutto quel labirinto di viuzze. La stessa scritta ,con le stesse piastrelle,con lo stesso colore, con gli stessi smalti,con lo stesso carattere che mi accompagnò durante una mia visita a Calatafimi.
 Mi incammino per il vicolo Giattino:lo percorro lentamente accompagnato dal ritmo scandito dalle note martellanti e ripetute di  una musica arabeggiante proveniente da uno di quei cortili taroccati da piastrelle,le stesse che sul pavimento cementato indicano la direzione, le stesse che in quelle facciate  in parte bianche e in parte azzurre ricalcano uno improbabile miscuglio stilistico di  culture che non riescono ad intrecciarsi.
 Osservo lo sventolio di panni ancora umidi, stesi ad  asciugare sulle ringhiere delle brevi scale dei piccoli cortili interni,andare alla ricerca del tepore del sole che vi penetra abbagliante; dalle porte socchiuse   voci magrebine si intercalano alle nostalgiche note della musica delle radio o dei televisori sintonizzati sulle frequenze dei canali tunisini. E’ la stessa nostalgia che da sempre accompagna ogni migrante in ogni luogo.
 Osservo  i pannelli di ceramica che tappezzano le facciate delle case, messi là a bella posta,in un inconsapevole caos culturale, per raccontare una storia,una  leggenda,una tradizione,tutte slegate tra loro,e per ricordare retaggi che non senti tuoi, mentre hai la percezione di essere osservato da  presenze che ti seguono da dietro le finestre.  Proseguo curioso  in quelle viuzze  di case abbandonate,degradate,fatiscenti, mascherate da  cornici di pittura con calce bianca,quasi a volerle disinfestare, con su  disegnate finte porte che  introducono al niente, commiste ad  abitazioni ricostruite con stile stridente dopo l’ultimo sisma degli anni ’80. La ricostruzione ha violentato più del sisma l’antica tipologia del quartiere storico.
 Dal vicolo degli Aragonesi si arriva alla piazzetta Mahdia seguendo il solito camminamento tracciato da piastrelle sui muri,dall’ossessiva presenza di giare e  pannelli,dai racconti e dai disegni che vogliono coprire la violenza del degrado dovuto al tempo,all’incuria e all’indifferenza  dell’uomo. Di tanto in tanto  passa un mio consimile,un tunisino o uno slavo,le sole forme antropologiche di quella mattinata.

  Proseguo attraverso quell’intreccio di viuzze della casba,sono le 11 appena trascorse, e questa volta di gente ne incontro un po’ di più;ragazzini che giocano ma  che dovrebbero essere a scuola a quell’ora,un’anziana slava seduta sul gradino della porta di  casa,i soliti panni stesi nei cortili;la via Pilazza con i suoi inconfondibili contrafforti a forma di semiarco è immersa nella sua solitudine. Mi colpisce la pulizia delle stradine,l’assenza di spazzatura e di odori dei quali vado inconsciamente alla ricerca.
 Ancora piastrelle con i soliti  disegni,ancora giare,ancora pannelli multicromatici,e ancora muri dipinti con la calce a far da cornice che ti invitano ad osservare quel che si vuole che si osservi,che ti invogliano a tenere lo sguardo non oltre un certo livello  al di sopra del  quale ti rendi conto che la realtà non può essere nascosta né artefatta,perché se il passato vive nel presente, questo presente non riesce a  restituirgli l’anima e dargli  un futuro.
 E’ scomparsa l’antica pilazza, il lavatoio comune adesso fa posto ad un cortile anonimo, e  più in là,una breve scala ceramizzata ti accompagna nella chiesa barocca di S. Francesco,vittima di un restauro mal riuscito e soprattutto  devastata e umiliata da un arredo  di paccottiglie che feriscono la dignità e la storia di quel luogo di preghiera.
Non meno offeso dal degrado e da restauri approssimativi si presenta il convento francescano,in pessimo stato, con le pareti scalcinate e corrose,con il suo chiostro in balìa delle erbacce e dell’incuria.
Esco da quel groviglio di macerie del passato,di silenzio e di degrado per immergermi nei rumori della quotidianità. 

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