Cartesio


Non c'è nulla interamente in nostro potere,se non i nostri pensieri.
Cartesio

martedì 27 novembre 2012

La forza delle primarie.



Da oggi in poi sarà difficile tirarsi indietro. Chi vorrà candidarsi alla guida della città dovrà passare per il rito delle primarie. Sarà sempre più complicato fare accettare agli  elettori e agli iscritti ai partiti candidature imposte dall’alto o in forza di un  diritto o contrattate al di fuori della città a seguito di accordi  stipulati in camera caritatis.
 Le primarie sono lo specchio attraverso il quale si potrà finalmente osservare con trasparenza all’interno dei partiti e dei movimenti,con dibattiti che riportino i partiti a riconquistare la gente alla politica,che poi non è altro che quello di enunciare in che modo e con chi si intende amministrare,quali sono le priorità che bisogna affrontare e con quali mezzi.
 La grande attenzione dei cittadini verso le primarie del PD è anche una  richiesta di politica partecipata,una voglia di democrazia reale,non formale,che si sviluppa e trova il suo patos in piazze e sale affollate e non agitate,con linguaggi più consoni e coerenti al contesto.
 L’imprevedibilità dei risultati delle primarie renderanno difficilmente realizzabili giochi, ammiccamenti,promesse,incarichicchi e poltrone date come caparra per future alleanze sancite molto tempo prima. Questo vale per i partiti canonici.
Per chi, pur  essendo appartenuto al sistema dei partiti,da esso si allontana per procedere lungo un percorso parallelo, ma esterno, attraverso la formazione di liste civiche o mascherate come tali,le primarie possono anche essere considerate inutili. Ma che credibilità avrà agli occhi degli elettori?
Per un sindaco o un presidente  uscente  che si  autocandida per un secondo mandato senza essersi sottoposto ad un confronto politico con i suoi cittadini o con la coalizione che lo ha sostenuto,può essere sufficiente il principio dell’autoreferenzialità?
 Credo che su questo punto occorra aprire un dibattito

domenica 25 novembre 2012

Noi Rebedìa 2010



Arte (Cuttone) - Poesia (Contiliano)
“Noi Rebeldìa 2010”: Firenze (29.11.’12)-Roma (1.12.’12)

Noi Rebeldìa 2010, We are winning wing, l’ultimo libro di poesia collettiva sine nomine,  – (a cura di A. Contiliano, ed. CFR, Piateda [SO] 2012, pp.78, € 10,00; copertina di Giacomo Cuttone (china: “Alle radici”) –,  sarà presentato il 29 nov. 2012, ore 17, alle “Giubbe Rosse” (spazio diretto da Massimo Mori) di Firenze e l’1 dic. 2012, ore 18, al “Lavatoio Contumaciale” (Laboratorio diretto da Tomaso Binga). A Roma la presentazione del libro sarà accompagnata da una personale del pittore Giacomo Cuttone. Il Cuttone, insieme alla copertina del libro, ha infatti realizzato anche una serie di chine che, “ispirate” ai frammenti dei poeti sine nomine del libro, ibridano elemento grafico-pittorico e poesia. Una sperimentazione – che negli anni di frequentazione con i testi poetici di Antonino Contiliano – il pittore non ha mai smesso di realizzare con successo. La personale del pittore Cuttone (residente a Mazara del Vallo è originario di Petrosino), che avrà luogo all’interno del “Lavatoio Contumaciale” di Binga – sarà presentata dallo scrittore, poeta e critico Mario Lunetta.
A Roma, Noi Rebeldìa 2010 , We are winning wing  sarà invece presentato dai critici Francesca Fiorletta, Francesca Medaglia e Francesco Muzzioli (Univ. La Sapienza). A Firenze ne avranno cura il poeta ed editore Gianmario Lucini e Giuseppe Panella (Normale di Pisa).  Con We are winning wing  e I volti di Lou (poesie) di Maria Teresa Ciammaruconi, il poeta ed editore Lucini inaugura anche la sua nuova collana “ibrida” (collana di poesia e altre arti, Edizione CFR). Del libro Noi Rebeldìa 2010 , We are winning wing, curato dal marsalese Nino Contiliano –  che ha visto la partecipazione all’esperimento sine nomine di diversi poeti (Franca Alaimo, Giuseppe Aricò, Gherib Asma, Nadia Cavalera, Massimiliano Chiamenti, Antonella Ciabatti,  M. Teresa Ciammaruconi,  Giovanni Commare, Ivana Conte, Antonino Contiliano,  Beppe Costa,  Valerio Cuccaroni, Davide Dalmiglio, Antonio Fiore,  Stefano Lanuzza,  Mario Lunetta, B. Maria Menna,  Francesco Muzzioli,  Giovanni Nuscis, L. Omar Onida, Natalia Paci, Marco Palladini, Giuseppe Panella, Emilio Piccolo, Luca Rosi, Francesco sasso, Gianluca Spitaleri e Lucio Zinna) – , già si è interessata la critica letterario-poetica (attenta ai fenomeni di rete).
Riportiamo qualche frammento dell’analitico e approfondito saggio che Domenico Donatore (critico) gli ha già dedicato sulle pagine di www.retididedalus.it (rivista del sindacato scrittori italiani, nov. 2012):
Oltre alla scomparsa dei politici, dei partiti, dobbiamo incominciare a riflettere anche sulla scomparsa dei poeti? Pare questo il tema che più sorprende e cattura, sollevato da un movimento letterario dal nome “Noi Rebeldìa 2010 We are winning wing” (a cura di A. Contiliano), mentre intorno a noi visibili sono le macerie di un mondo che pensavamo di conoscere. [...] Personalmente penso a We are winning wing come ad un testo poetico destrutturante [...], un deposito di esperienze che dà tutte le possibilità, nonostante le differenze, di potersi incontrare su un comune denominatore/spazio di strategia, per superare il presente impresentabile, post-umanista e post-moderno. [...] Il collettivo poetico “Noi Rebeldìa 2010” è strategicamente pronto per essere un “soggetto-poetico” che respira a pieni polmoni nella trama del “fare rete”, così da arginare (sarebbe meglio dire sfuggire?) la morsa della speculazione editorial-capitalistica e pluto-finanziaria. [...] Se il poeta scompare nella rete vorrà dire che tutto il concentrato delle sue idee si sta immedesimando in qualcosa di nuovo, di ibrido (come viene ben detto in più passi nella prefazione al libro), perché ormai non si può essere una sola cosa e basta. La letteratura segue la tecnica, fa rete. [...] L’aspetto davvero fondativo del movimento poetico “Noi Rebeldìa 2010” è la sua valenza meta-politica, meta-letteraria, ampiamente condivisibile, da programma partitico e politico puro, che ribadisce, specie in questa fase storica, che bisognerebbe unirsi anziché litigarsi le briciole. [...] Il testo We are winning wing, per concludere, ha una sua dignità letteraria, esprime una vitalità che sulla pagina torna ad essere come un figlio illegittimo che vuole conoscere il padre d’origine. [...] Sulla pagina è invitante questo post-dadaismo e post-surrealismo che ricorda Tristan Tzara e André Breton, il meccanismo del montaggio e della fusione testuale, a cui i poeti di “Noi Rebeldìa 2010” (quindi “Noi Ribellione 2010”) hanno dato spazio con intelligenza non autoreferenziale. Dentro questo testo c’è anzitutto il respingimento di ogni espressione lirica, di ogni tema legato all’io, in quanto, scrive la Medaglia, «la poesia contemporanea è troppo spesso preda di un noioso e monotono io autoreferenziale, che rifugge il confronto e la relazione e si sente responsabile solo di se stesso: ciò può essere cambiato, ma solo dalla proposta di una cultura cooperativa e plurale che ponga al centro della sua attenzione il senso comune e la necessità sociale».”.
Altro intervento è leggibile su http://retroguardia2.wordpress.com/2012/11/24/noi-rebeldia-2010-we-are-winning-wing-presentazioni-a-firenze-e-roma.

martedì 20 novembre 2012

Una proposta per i prossimi viaggi del Satiro.

                                              Mazara del Vallo- Chiesa di S.Egidio:Museo del Satiro

Con l’esposizione del satiro danzante all’expo di Aichi inizia il pellegrinaggio della statua, fatto unico nel suo genere, verso le città che ne facevano richiesta. Tokio, Roma, Parigi, Palermo, Londra.
Il satiro diventa una “cosa” itinerante, e alla stessa stregua di una “cosa” viene considerato dalla Sopraintendenza ai Beni Culturali, dalla stessa Regione Siciliana e dall’amministrazione comunale.
L’ex chiesa di S. Egidio diventa così, più di un museo, un luogo di parcheggio momentaneo per il satiro,e durante la sua assenza rimane un involucro vuoto, scarno, triste, inutile.
All’expo di Haichi la statua dominava il padiglione Italia dove era stato installato in una struttura a forma di gigantesca perla che ne amplificava la bellezza;si disse allora che la perla sarebbe stata donata al museo mazarese.
Era stato promesso anche un sofisticatissimo impianto di climatizzazione per proteggerlo dalle intemperie. Solo promesse.
Durante la sua permanenza al Louvre,al museo di Mazara,grazie ai nostri super competenti dei BB.CC., è stato dato il privilegio di ospitare niente meno che delle copie dellaVenus Genetrix e della Supplice Barberini;per quanto interessanti, non possono competere per bellezza, per importanza, per richiamo con il Satiro di Mazara. Se non è irriverenza questa!
Durante la trasferta a Londra,ci si è dovuti accontentare di una traslocazione di una parte di pezzi facenti parte della bella mostra Islam a Gibellina. Reperti peraltro in gran parte appartenenti a Mazara.
Insensata si rivela la Regione, che annacqua la vocazione turistica e culturale di questo territorio nel momento in cui acconsente le trasferte della statua;ma non era  stato proprio l’allora assessore ai Beni Culturali della Regione,Leanza, dopo la trasferta al Louvre, ad avere annoverato il satiro tra le opere d’arte non trasferibili dalla propria sede?
 Ammesso che la traslocazione temporanea di un’opera così unica rappresenta un momento alto di promozione per Mazara e la Sicilia tutta, ciò non è sufficiente se non viene accompagnata e seguita in maniera sinergica da una politica di interscambio che abbia come obiettivo la promozione del territorio
 Il depauperamento seppur provvisorio,ma si tratta sempre di alcuni mesi,della  sede naturale del Satiro costituisce una pur sempre perdita di appeal per la città, e come tale dovrebbe essere ricompensata da iniziative altrettanto significative. Sono queste iniziative ad essere venute meno,e che associate ad una politica culturale “idiota” da parte della Regione Siciliana e degli enti preposti alla salvaguardia e alla rivalutazione dei beni culturali del territorio, hanno di fatto svuotato di ogni interesse la statua pescata in mare, e altre pregevoli opere almeno in questa terra di Sicilia.
Non esiste, ovviamente, il percorso inverso. Nessuna opera significativa e di grande interesse culturale ed artistico verrà portata in questa terra da altri grandi musei, nessuna opera farà il viaggio da Londra,da Tokio o da Parigi a Mazara;il  paradosso è che la Sicilia al di  fuori dalla Sicilia  è conosciuta come  un insieme meraviglioso di arte,cultura,tradizioni,colori e sapori;al contrario, dentro casa  essa risulta come un buio magazzino.
Perché,dunque, i turisti dovrebbero venire a Mazara, quando hanno la possibilità di ammirare il Satiro in luoghi geografici più vicini a loro? Lo stesso vale per il Giovane di Mothia o l’Ephebo di Selinunte.
Le grandi opere d’arte,grazie ad una gestione politica regionale fatta da incompetenti ed incapaci,sono ignorate  così dagli stessi siciliani i quali trovano più interessante affollare i centri commerciali anziché i siti d’arte e i musei. Quanti sono i siciliani che vanno a visitare il museo di arte contemporanea di Gibellina, il museo Riso di Palermo o la Venere di Morgantina?
E’ inverosimile la disattenzione e la non partecipazione alla discussione di quanti e quante,  che di questa città hanno scritto e strascritto,  oggi appaiono distratti e indifferenti, come se tutto ciò che rappresenta una cultura ”alta” non appartenga alla collettività. Forse che la verità sta forse nel fatto che Mazara non ha mai sentito come “antropologicamente proprio” il satiro?
 Per la prossima uscita della statua si potrebbe chiedere alla regione qualcosa di più adeguato e significativo:si potrebbe pretendere il ritorno a Mazara, sua sede naturale, del Vaso Arabo – Ispano di tipo Alhambra*che si trova al museo Regionale di Palazzo Abatellis e che potrebbe essere allocato nello stessa sede del satiro o in una apposita sezione da allestire, assieme alle anfore e ai vasi appartenenti a Mazara ma dislocati nelle diverse sedi della sopraintendenza ai BB.CC.
Si vuole o non si vuole promuovere Mazara come capitale  della multiculturalità e della ceramica?
E’ chiedere troppo? Stiamo esportando il Satiro, non cannoli!


*La grande anfora giunse al Museo Nazionale di Palermo dalla Chiesa della Madonna del Paradiso di Mazara del Vallo e confluì nelle collezioni di Palazzo Abatellis con l’istituzione della Galleria nel 1954. Essa costituisce un pregevolissimo esempio per qualità e dimensioni di ceramica dipinta a lustro metallico (loza dorada), particolare tecnica di decorazione che prevedeva un’attenta e difficile cottura.
 Il minutissimo ornato descrive nella fascia centrale un’iscrizione in caratteri cufici, che ripete la medesima parola. 
L’opera può essere confrontata con altri rari esemplari simili oggi conservati a San Pietroburgo, Stoccolma, Madrid e Granada; questi vasi, dalla funzione puramente ornamentale, sono detti di tipo Alhambra poiché alcuni di essi erano destinati ad abbellire il palazzo dell’Alhambra di Granada. 
La produzione di queste anfore, di grandi dimensioni e con due anse piatte, costituisce indubbiamente il punto più alto raggiunto dalle fabbriche andaluse di Malaga nel XIV secolo.

venerdì 16 novembre 2012

Sicilia-Africa, il dialogo possibile nel Mediterraneo di pace



Sabato a Mazara del vallo al via l’incontro internazionale “Sponde”

Prenderà il via sabato mattina col seminario di studio e lavoro su “Economia sociale e finanza etica”, la quinta edizione di “Sponde”, l’incontro internazionale sul dialogo interreligioso sul Mediterraneo, organizzato dal CeMSI, il Centro mediterraneo di studi interculturali con sede a Mazara del Vallo. L’edizione di quest’anno si articolerà in tre eventi che da sabato continueranno sino a domenica 25 nella città del Satiro danzante. Si inizierà dopodomani (sabato) alle 9,30 nell’aula magna del seminario vescovile di piazza della Repubblica col seminario organizzato in collaborazione con l’Istituto di formazione politica “Padre Arrupe” e con esperti del mondo della finanza etica cristiana ed islamica.

LA CERNA - Domenica (18) alle ore 10,30 nella Cattedrale Ss. Salvatore di Mazara del Vallo l’apertura ufficiale della Cerna, la Conferenza Episcopale Regionale del Nord Africa. A concelebrare la Santa Messa saranno il Vescovo di Mazara del Vallo monsignor Domenico Mogavero e i Vescovi del Magreb (ne arriveranno otto) che da lunedì a mercoledì in Episcopio terranno i lavori della Conferenza. Alla Cerna prenderanno anche parte otto Vicari generali provenienti dall’Africa, compreso padre Mario Lèon, amministratore apostolico del Sahara occidentale. La Conferenza, presieduta da Jean-Paul Desfarges (Vescovo di Costantin) è formata da: Vincent Landel (Arcivescovo di Rabat), Santiago Martinez Agrelo (Arcivescovo di Tangeri), Ghaleb Bader (Arcivescovo di Algeri), Maroun Lahham (amministratore apostolico di Tunisi), lphonse Georger (Vescovo di Oran), Sylvester Magro (Vescovo di Benghazi) e Claude Rault (Vescovo di Laghouat- Ghardaia).

IL SEMINARIO DI ALTA FORMAZIONE - Mercoledì 21, proprio in concomitanza con la chiusura dei lavori della Cerna, si aprirà il seminario di alta formazione sul tema “Il dialogo possibile: le religioni e il Mediterraneo”, organizzato in collaborazione col Pontificio Istituto Orientale di Roma e la Pontificia Facoltà Teologica di Sicilia. La lectio magistralis (ore 19) sarà tenuta da monsignor Cyril Vasil, Segretario della Congregazione per le Chiese Orientali. Tra gli interventi è previsto anche quello del sacerdote gesuita Samir Khalil Samir che relazionerà su “Attualità della questione arabo-cristiana”. Il seminario di alta formazione si concluderà domenica 25 con le conclusioni del Vescovo Mogavero.

“Come Chiesa che è in Mazara del Vallo non possiamo ignorare le vicende legate al bacino del Mediterraneo come se fossero tanto lontane ed estranee, ma dobbiamo inventarci un percorso nuovo nel quale essere costruttori della civiltà dell’amore, proponendo un umanesimo mediterraneo orientato al bene comune e che rispetti e valorizzi le minoranze religiose creative. Dobbiamo, altresì, promuovere la solidarietà e la cooperazione, la legalità e la difesa dei deboli, il lavoro e il sacrificio, la festa e le tradizioni, l’amicizia e l’ospitalità, la testimonianza e la libertà. È proprio questo il terreno nel quale coltivare il dialogo per promuovere e costruire esperienze di incontro fra le religioni. «Anche i rapporti con culture ed esperienze religiose diverse, resi più intensi dall’aumento dei flussi migratori e dalla facilità delle comunicazioni, possono costituire una risorsa feconda, da valorizzare senza indulgere a irenismi e semplificazioni o cedere a eccessivi timori e diffidenze» (Conferenza episcopale italiana, Educare alla vita buona del Vangelo, n. 10). Se la religione viene definita come rapporto di giustizia con Dio, religione e giustizia sono un binomio inseparabile per i popoli che vivono nello spazio di Abramo, che, secondo la felice intuizione di Giorgio La Pira, è proprio il bacino del Mediterraneo”.
 (Diocesi Di Mazara Del Vallo, Camminare secondo lo Spirito. Piano pastorale 2012-2013, n. 1, pp. 12-13).

lunedì 12 novembre 2012

Un malinconico declino



  Al di là della solita ridondante retorica  contenuta nel breve ma sostanzioso comunicato del sindaco di Mazara all’atto della presentazione della sua rinnovata giunta,dobbiamo prendere atto che ormai l’On.Cristaldi  ha di fatto abiurato ad appartenere al partito in cui è stato nominato deputato,e  ha iniziato un apparente processo di catarsi culturale e politica in  seguito alla cocente sconfitta che  lui ed il suo candidato Pecorella hanno dovuto subire.
 Ci si aspettava da parte del primo cittadino mazarese una analisi del voto seria, puntuale,che portasse ad  individuare cause e responsabilità di tale sconfitta,o quanto meno delle riflessioni su come un sindaco,eletto tre anni prima in modo plebiscitario con circa il 70% di consensi,vada incontro,al primo test elettorale nella sua città dopo la sua elezione,ad una debacle di inaudite proporzioni.
 Appare singolare dare la responsabilità di tale disastro al sistema partitico o alla sua classe dirigente quando egli stesso  fa tuttora  parte di quella dirigenza regionale.
 Forse folgorato dalla  folla che dalla piazza della sua città osannava Grillo,quella stessa piazza che  da candidato sindaco aveva trasformato con enfatica retorica nel  salotto buono della politica in cui si  fingeva di dialogare con la gente,il sindaco non esita a usare le stesse parole del comico genovese dando luogo ad una filippica contro l’inutilità dei partiti e la loro inadeguatezza a rispondere ai bisogni della società.
Anche lui si adegua con tempestiva metamorfosi agli umori della piazza,tirandosi fuori da ogni responsabilità personale,e arriva addirittura a promulgare,con un coup de théatre,  un fantasioso “ Partito-Città di persone e intelligenze di posizioni ideologiche diverse ma che si fondono in una sola entità”.
Cristaldi,che nei partiti canonici di appartenenza è stato a livello regionale uno dei maggiori esponenti,a questo sistema politico,che ora contesta, deve incarichi istituzionali di prestigio,notorietà e benessere;pertanto non appare coerente con la sua storia,tutto a un tratto,promuovere una  sorta di movimento civico come antidoto alla inadeguatezza dei partiti rispetto ai malumori sociali.
La stessa società, ricordiamo anche, non ne può più di essere tartassata,spremuta,irrisa e umiliata,e chiede l’abolizione di tutti i privilegi e le iniquità e soprattutto una maggiore parsimonia nell’uso delle finanze pubbliche.
Se la risposta,sul piano politico,è questo alieno Partito–Città, inconsistente e privo di contenuti, l’immagine che ne viene fuori è deludente,inteso che un Partito - Città non si improvvisa in poche ore,ma richiede contatti a più livelli, analisi,riflessioni,strategie e scelte ponderate.
E queste ultime dovrebbero rappresentare una discontinuità forte con il sistema partitico  che si contesta.
 Non pare che sia così,a cominciare dal maquillage della ridisegnata giunta,di tutt’altro tenore rispetto alla risposta politica di radicale cambiamento uscita dalle urne.
Inoltre,tale sortita appare poco credibile sul piano politico, in quanto sembra scaturita più da pulsioni personali e da intenti di rivalsa che da una conversione di idee;si presenta tardiva e senza reali prospettive,tenendo conto dei risultati elettorali che hanno sconvolto l’intero sistema dei partiti.
Quello del sindaco Cristaldi si configura come un atto mal riuscito  di mascherare una campagna elettorale disastrosa e un triste tentativo di  reagire a quello che appare a tutti un  malinconico declino.

giovedì 8 novembre 2012

Astensione: espressione politica di dissenso.



  
Cosa ha indotto la maggioranza assoluta dei siciliani a rifiutarsi di andare a votare?
Tante le analisi fatte  da  politologi, da sociologi, da analisti dei flussi di massa e dai  sondaggisti. E’ peraltro vero che l’astensionismo si rivela inefficace nel costringere al cambiamento la politica? E cosa bisogna fare perché ciò possa avvenire?
La causa principale del disaffezione della gente alla politica è dovuta sicuramente ad una democrazia insidiata mortalmente dal privilegio che ha generato una  "casta" politica al di sopra della legge  alla quale sono invece soggette le persone comuni; sono queste caste che  hanno fagocitato regole e leggi.La democrazia si è trasformata,lungo un percorso graduale che va dal dopoguerra ad oggi,in una partitocrazia alla mercè di  oligarchie di politici privilegiati; essa è stata ridotta in una democrazia anòmica, fondata sulla ingiustizia. "Una democrazia che vive di privilegi divide le persone secondo una scala: chi sta su e chi sta giù; chi sta su  guarda dall’alto in basso chi sta giù" scrive Zagrebelsky.
E’ quindi il privilegio la causa principale delle tensioni sociali, del disprezzo sociale,dell’invidia sociale, del qualunquismo e del populismo. Soprattutto,anche,quando gli elettori cittadini sono considerati dalla politica come mezzi per raggiungere i propri fini personali.
Che fare dunque?
 Ebbi qualche anno fa un lungo colloquio telefonico con il compianto Giovanni  Venezia. Io non lo conoscevo, né ebbi il privilegio di conoscerlo personalmente. Fu lui a telefonarmi, in merito ad un mio articolo su Mazaracult in cui lo menzionavo,avendo avuto il mio numero di telefono da un amico comune.
 Giovanni Venezia,di grande cultura e di raffinato intelletto, asseriva che bisognava "  riconquistare l'arma del referendum per demolire il regime illiberale e dare voce ai cittadini e dignità alla politica, lasciando ai margini i mediocri, gli avventurieri e gli incompetenti",mettendo questo suo pensiero in un bel post  sul blog.Era convinto di quel che affermava. A me, tale soluzione appariva e appare tuttora debole, non in se, ma per come è strutturato il ricorso referendario e come esso possa essere facilmente vanificato; la storia dei fallimenti delle ultime proposte referendarie è lì a ricordarcelo. Per invalidare un referendum basta che non  si raggiunga il 50% + 1 degli aventi diritto. Oppure  è sufficiente un semplice cambio di parole per aggirare l’oggetto referendario:ricordiamo come il finanziamento pubblico  ai partiti bocciato dal referendum,è stato introdotto,in forma peggiore e brigantesca come rimborso elettorale. Però,se la stessa regola del 50%+1 valesse anche per tutti i tipi di elezioni,forse incominceremmo ad avviarci verso una forma di democrazia compiuta. In assenza della quale al cittadino elettore,defraudato dei propri diritti fondamentali, non rimane che manifestare il proprio disagio non andando a votare o votando scheda bianca. Una simile scelta, denuncia il dissenso reale da un sistema fattosi ripugnante ed insopportabile; un atto di accusa forte nei confronti di una democrazia decadente,di una politica chiusa nel proprio guscio,incapace di confrontarsi con i reali problemi e che si rifiuta di dare loro una soluzione; politica alla quale l’elettore non intende dare alcuna delega; è da questa forma deviata di democrazia che egli intende prendere le distanze. Un Parlamento “nominato” o eletto,ammesso che si riesca a cambiare la legge elettorale, con una alta percentuale di astensionismo non può che essere rappresentativo di "se stesso". Ma sarebbe la fine di questa falsa democrazia,della democrazia del privilegio vero germe dell’antipolitica e del qualunquismo;l'astensione è l’unica forma per potere esprimere rabbia; rabbia per essere trattati come utili e onesti idioti.

martedì 6 novembre 2012

Salvate il soldato Pecorella


All’indomani della brutale batosta elettorale che ha visto il candidato Pecorella umiliato dal suo stesso partito,qualcuno già si chiedeva: come ripagarlo dal tradimento subito? Perché,diciamolo francamente,Pecorella è stato tradito. I conti non quadrano. Chi ha votato Pecorella?
Considerando la formidabile e  gioiosa macchina da guerra schierata a suo favore,e considerato che almeno la metà delle 1440 preferenze prese dal candidato di Cristaldi in città sono voti personali,grazie alla sua famiglia,ai suoi amici e ai suoi simpatizzanti,la riprova è che fuori Mazara Pecorella per i suoi rapporti personali ne prende  di più,allora i suoi sponsor  o non lo hanno fatto votare o addirittura hanno canalizzato la loro attenzione su qualche altro candidato. E’ forse  all’interno di questo gruppo che si è perpetrata la strategia della seconda scelta?
 Dunque,a favore di Pecorella erano schierati tre assessori pesanti della giunta Cristaldi: Zizzo, Ingargiola, Quinci, lo stesso sindaco e l’intero suo entourage incluso i suoi fedeli consiglieri comunali della lista PDL e della lista Cristaldi sindaco;inoltre: Nicola Lisma e i  consiglieri comunali del gruppo Liberi,il consigliere provinciale Silvano Bonanno,la segreteria comunale del PDL guidata  da Giovanna Mauro,Gianpaolo Caruso e i suoi giovani, e naturalmente,sebbene con un suo limitato seguito, il fedelissimo assessore Ditta.
 Un semplice calcolo aritmetico si fa presto a farlo:Tot numero di preferenze diviso tot teste e si ottiene la capacità politica espressa in voti. Dunque:fatto salvo che 720 voti li ha portati direttamente Pecorella,gli altri 720  diviso  10,tanti sono all’incirca i referendari politici pro Pecorella,dà un quoziente di 72 voti cadauno. Il soldato Pecorella era circondato da generali senza truppe,con in testa il sindaco. 
Dall’altra parte della barricata,arriva la sorpresa in termini di preferenze del candidato Vito Billardello,uomo di Massimo Russo,inserito al fotofinish nella lista Crocetta. Sebbene supportato dall’ex magistrato in termini di immagine e da un gruppo di intimi amici ben lontani dalla politica, Billardello ottiene un numero di preferenze inaspettato,ben 2118,al di là di ogni ragionevole aspettativa. Nulla togliendo ai meriti del candidato, il risultato agli osservatori più attenti appare sproporzionato. Si pensa addirittura ad inciuci,ammiccamenti,giochini da prima repubblica.
Fatto sta che una settimana dopo, Billardello, Pecorella ed una insegnante tuttora politicamente sconosciuta,Francesca Ferro,vengono nominati assessori da Cristaldi.
 Pacta servanda sunt?
Una donna in giunta è una novità rilevante considerando la misoginia che ha caratterizzato le giunta Cristaldi. Di solito si dice che dietro a un politico c’è una grande donna,nel nostro caso,possiamo ribaltare il detto con:” dietro a una donna c’è un politico”,e ciò vuol dire che si inizia con il piede sbagliato, altro che “La nostra Città assume il ruolo di laboratorio e di riscossa nella politica e nella società” come dichiara il primo cittadino.
Il  risultato è che il “soldato Pecorella” è stato salvato comunque,o quanto meno il suo onore.Ci aspettiamo una medaglia al valore.                                                                                               


lunedì 5 novembre 2012

Ebrei Arabi:Una questione insoluta.



Si è tenuta sabato 3 novembre,presso l’aula magna del liceo scientifico “ G.Ballatore” di Mazara la presentazione del bel libro  - Ebrei Arabi:terzo incomodo?- una raccolta di saggi di intellettuali  ebrei  e palestinesi curata da Susanna Sinigaglia.
 Oltre alla curatrice,ha relazionato il prof. Wasim Dahmash,per la seconda volta a Mazara; vi  era stato già  negli anni ottanta dorante una delle edizioni degli “ Incontri dei popoli del Mediterraneo” organizzati da Rolando Certa.
 Di ampio respiro l’intervento del sindaco della città,Nicola Cristaldi, il quale,oltre ad essersi congratulato con l’I.E.A, ha mostrato tutto il suo apprezzamento “per manifestazioni culturali di tale portata,alla luce del fatto che la stessa Mazara è unanimemente riconosciuta come cittadina multiculturale e multietnica”.
Al di là della chiarezza e dei  brillanti interventi dei relatori, moderati con l’usuale eleganza e competenza dal prof.Dino Levi, il libro apre uno squarcio di comprensione sulla natura dell’essenza della questione israelo-palestinese,andando alle sue radici in modo non conformistico,così come la stessa viene propinata dai media. Viene sviscerata una analisi storico -politica  delle origini della costruzione dello stato di Israele   sino ai giorni nostri,tuttora sconosciuta o soggetta ad autocensura da entrambe le parti in causa.
Attraverso una narrazione saggistica a più voci viene fuori un nuovo progetto di stato,non più democratico né oligarchico,ma “ Etnocratico” e colonialista,e come tale stratificato al suo interno in classi sociali diseguali,dei quali i palestinesi ne rappresentano i paria.
 Israele diviene così una operazione ingegneristica politico religiosa  fuori da qualsiasi modello istituzionale del mondo occidentale,fino a conclamarsi in Stato ebraico,dunque uno stato religioso,al pari di quegli stati islamici considerati eredi di Amlek il precursore dell’antisemitismo  secondo l’ammonimento- "Ricorda ciò che ti ha fatto Amalek"- affermato dalla Torah (Deuteronomio 25, 17).
Esiste soprattutto una questione irrisolta dei rapporti tra la governance  incardinata su un etnocentrismo forte e dominante con gli altri ebrei di immigrazione,i quali diventano anch’essi vittime al pari dei conterranei palestinesi. E’ in alcuni settori ultra religiosi e politici israeliti che la demagogia assume  una forma di visione apocalittica,una sorta di ossessione della “necessità di difesa per la sopravvivenza” di Israele dalle forze  oscurantiste e medievali dell’Islam più radicale; è così che i palestinesi sono visti  come portatori di antisemitismo al pare dei nazisti,dell’Iran,di Al Qaeda e dell’integralismo islamico. Per costoro è in gioco la stessa esistenza di Israele,dell’Europa,di tutto il mondo occidentale.
“ Ebrei arabi è un libro di storia contemporanea di popoli che si intrecciano,si combattono,fino a diventare vittime di se stessi. Un libro non solo da leggere, ma da proporre come testo  nelle scuole.
                                                                                                                                                    

venerdì 2 novembre 2012

La Contea, il Borgo e i Cavalieri Serventi



La Contea, il Borgo e i Cavalieri Serventi

di Luigi Tumbarello

C’era una volta una Contea.
 Essa era governata da un Principe barbuto, potente, straricco,stracolmo di proprietà, nobili palazzi e ricchi feudi sparpagliati nelle diverse contrade di ponente che ricadono sotto la Sua potestà, e da alcuni Baroni, scaltri, meno danarosi ma non meno potenti; tra costoro faceva spicco anche una nobile dama, maliarda,tenace e pugnace. Costoro dominavano l’intera Contea dal Mare ai Monti,da ponente a levante, ed erano vezzi a circondarsi di cortigiani e coorti di servitori,valletti,palafrenieri e paggi provenienti dai vari borghi ricadenti sotto la loro giurisdizione.
 Tutti gareggiavano nel mostrare chi fosse più ossequioso, più deferente, più adulatore, più servile nei confronti dei Padroni. Un viaggiatore errante che entrava attraverso la porta principale di uno di questi borghi, una volta “ Inclito”, poteva notare  sopra l’arcata di essa una lapide con una scritta:

”Pammilus instituit liquide prope fluminis undam
Mazariam nomen Mazarus ipse dedit”.

Tale Borgo, millantando  sì illustre progenie, era governato da gente andante, priva di una salda identità, dominata dal gene della piaggeria e della trasmutazione, persone dalle cento maschere e dai mille travestimenti,compiacenti e sensibili alle altolocate lusinghe,alfieri nello spoliare il borgo dai suoi beni per offrirli alla disponibilità delle maestà. Non erano da meno i borgatari, sempre festaioli e voraci onnivori dell’effimero, impavidi demolitori delle belle e nobili vestigia del borgo, rimembranze della sua antica magnificenza. Costoro si mostravano, per natura, indifferenti scopini della memoria e provetti sarti nel tagliare i panni addosso al vicino, considerato unico reo delle proprie disgrazie. Questi indigeni erano anche proclivi ad arruolarsi sotto le insegne altrui, non facendo capo, il Borgo, a Signori di nobile casato. L’unico Signorotto di borgata noto per il suo acume e la sua sagacia nonché per la sua insofferenza alle Signorie costituite, era stato relegato, in attesa di mettere fine alla sua alterigia, alla potestà di un piccolo feudo sperduto all’ interno della Contea; al messere, però, per tenerlo  a freno,veniva  concesso  anche uno scranno nel Consiglio della Corona così  da potere soddisfare i suoi bisogni e ostentare la sua nobilitate. Allo stesso fu dato il consenso di potere soddisfare la sua brama di ascesa anche al dominio del natio borgo dove s’insediò con un manipolo di suoi fidi: menestrelli di corte,legulei, amanuensi,messi e agrimensori;in cambio fu costretto a rinunciare a far parte del Consiglio della Corona,e conseguente fu la rottura del patto di non belligeranza con il barbuto Signore della Contea del quale ne divenne indomito rivale. Ebbe così inizio una epopea di tenzoni dalle quali il fiero signorotto ne uscì ferito,più nell’orgoglio che nel corpo,e costretto a trincerarsi  con un manipolo di fedeli nel  palazzo del borgo,non disdegnando,di tanto in tanto,qualche sortita nei feudi viciniori alla ricerca di  nuove alleanze per una rivalsa contro lo strapotere della baronia.  Era in uso suggellare siffatte alleanze festeggiando attorno a lussuose tavole imbandite dove venivano offerte agli ospiti ricche ed abbondanti libagioni insieme, come segno di riconoscenza,a grassi e teneri agnelli del gregge del signorotto.
Nel borgo,dopo gli osanna iniziali della plebe per l’ascesa del Signorotto,un lungo periodo di carestia provocò la mancanza di grano e di  farina,mentre aumentavano le gabelle per il sostentamento dei cortigiani. Il popolo,che si impoveriva di giorno in giorno, incominciò a lamentarsi prima mormorando e poi rifiutandosi di pagare i dazi. Nonostante nei forzieri del palazzo arrivassero sempre meno tributi,il Signorotto, ascoltando dai trovatori i racconti sul grande Svevo Imperatore,ne subì talmente il fascino che volle emularlo chiamando alla sua corte poeti,fabbri,artisti e persino affabulatori berberi  che ne cantarono le lodi.
 Egli stesso si cimentò nell'arte della scrittura e del decoro mostrando il suo estro nei vicoli,nei cortili, nelle piazze e nelle contrade  del borgo che girava con il suo carro bardato a festa  e arricchito da  preziosi finimenti.
 Anche nel Consiglio del borgo i malumori e le invettive contro il signorotto si facevano sempre più forti per l’aumento dei tributi e c’era chi proponeva di arruolare armigeri per abbattere la potente Signoria.
Il Borgo, per le sue bellezze paesaggistiche e per la minchioneria dei suoi abitanti, costituiva meta delle scorribande delle popolazioni delle vallate circostanti, che una volta entrati, spesso vi dimoravano definitivamente,vi aprivano botteghe e attività commerciali e si arricchivano con il benestare dei locali.


Nel Borgo, ma in tutta la Contea, per la verità, con una cadenza quasi biennale, aveva inizio una Giostra;i vicoli,i cortili,le strade e le  piazze venivano inghirlandate con stemmi e con vessilli e in esse echeggiavano rulli di tamburi e squilli di trombe suonate dagli araldi. Per l’occasione agli zelanti servitori era concesso dai loro Signori di essere innalzati al rango di valvassori;era loro consentito di indossare preziose cappe ed elmi con piume cromate per poterle ostentare alla gleba, e permesso,anche, di potere circondarsi di armigeri arruolati per l’occasione.
 Tutto avveniva sotto gli sguardi compiaciuti, caritatevoli e magnanimi delle Signorie del Principe e dei Baroni i quali non disdegnavano di farsi ritrarre in confidenza accanto ai loro fidi. I vincitori della disfida potevano avvalersi delle grazie delle loro maestà fino alla prossima tenzone e fregiarsi dell’alto titolo di Messaggeri del Borgo; acquistavano diritto di sedere sugli scranni del Consiglio della Contea o del Consiglio del Borgo nell’attesa che venisse loro riconosciuta per i servigi prestati la potestà di un feudo o concesso il governo del Borgo.
 Nell'intervallo tra un Torneo e l’altro i cavalieri riprendevano il loro ruolo di palafrenieri,di valletti e di paggi cambiando padroni e signorie,mentre il popolo continuava a festeggiare,ad ingozzarsi,a brontolare,ad inveire,a piagnucolare e ad invecchiare con le proprie sventure .
 Il viaggiatore,che mesto attraversava la porta di uscita dal Borgo vi osservava una lapide  con su scritto:

“Heu quam magna olim, tam modo facta nihil.”


giovedì 1 novembre 2012

Il rito cannibale dei pupi di zucchero




Dal libro di Antonino Buttitta "Cultura figurativa popolare in Sicilia", edito da Flaccovio, pubblichiamo, per gentile concessione dell' autore e dell' editore, un estratto dedicato alle tradizioni dei defunti e dei pupi di zucchero. Contrariamente a quanto si costuma nel resto d' Italia, in Sicilia e in qualche altro luogo del Meridione vige l' uso di fare le strenne ai fanciulli il 2 novembre, giorno tradizionalmente consacrato alla celebrazione dei defunti. (...) Sulle origini e il significato di quello che è l' uso più diffuso in Sicilia, possono illuminarci una serie di fatti, in parte già ricordati dal Pitrè: l) alcuni dei dolci che fanno parte dei doni portati dai morti sono detti dal popolo, oltre che pupi di zuccaru, pupi di cena o più semplicemente cena; 2) a Erice si credeva, ancora negli anni in cui scriveva il Pitrè, che i morti, prima di portare i loro doni, mangiassero; 3) a Nizza Sicilia (Messina) i dolci, che l' indomani sarebbero stati dati ai bambini, venivano disposti in bell' ordine su una tavola, perché si riteneva che in quella notte i defunti della famiglia venissero a cenare nella loro antica casa; 4) assieme ai dolci e ai giocattoli, in alcuni paesi, si regalano anche fave; 5) in Acireale è uso mangiare il 2 novembre li favi 'n quasuni, cioè, fave cucinate in particolar modo; 6) i dolci che di solito si regalano per questa ricorrenza sono per lo più antropomorfi, cioè, pupe di zucchero e paste di miele. Integrando il numero uno con i numeri due e tre, noi possiamo parzialmente comprendere il significato del costume che stiamo studiando. Da essi si deduce, che i doni e i dolci non sono destinati ai fanciulli, ma ai trapassati. Si tratta, cioè, di una vera e propria cena, apprestata in onore dei defunti; uso di cui è necessario ricercare le origini remote per penetrarne l' intimo significato. Esso si riconnette alla credenza in una effettiva seconda vita dopo la morte, già rintracciabile nella preistoria e di diffusione quasi universale. Resterebbe, tuttavia, da dare una risposta esauriente ai seguenti quesiti: come mai quei cibi e quei dolci, che inizialmente si credevano servissero come nutrimento per i trapassati, vengono dati ai bambini? Perché i dolci sono in gran parte antropomorfi? Il primo di tali fatti è stato spiegato dal Rosa e dal Pitrè come effetto della proibizione della Chiesa di recare offerte alle tombe, di modo che «prevalse l' uso che in luogo di recar vettovaglie alle tombe, queste si distribuissero ai poveri dalle case dei ricchi». La spiegazione, però, non regge, dato che offerte alimentari ai defunti si facevano in casa anche prima del Cristianesimo. Un' ipotesi più attendibile, giustificata dall' uso pirenaico ricordato dal Bérenger - Féraud, è quella che i vivi, perpetuazione dei defunti, cibandosi degli alimenti a loro destinati, entrino in contatto con essi, acquistandone forza e virtù. L' interpretazione forse più esatta, è da mettere in relazione, però, con la primitiva credenza che mangiando il cibo destinato ai defunti, è come se ci si nutrisse simbolicamente dei trapassati stessi. Riguardo, poi, al fatto che in Sicilia, a differenza degli altri luoghi, i cibi e i dolci, inizialmente destinati ai morti, vengono dati in dono soltanto ai fanciulli non c' è da meravigliarsi. è accaduto anche per questo uso quello che si verifica per parecchie istituzioni sociali e religiose, le quali nel loro processo di decadenza e di svuotamento del primigenio significato, finiscono col rivivere sotto altra forma nel mondo infantile. La supposizione spiegherebbe anche il secondo interrogativo che ci eravamo posti: perché i dolci regalati ai bambini il 2 novembre hanno prevalentemente forma umana. è noto che presso alcuni popoli primitivi, gli australiani, ad esempio, è costume mangiare chi viene a morte o, almeno, parti del suo corpo. Le ragioni di tali pasti al Frazer sembrano semplicissime. Se si tiene conto della mentalità dei primitivi, il selvaggio, mangiando la carne di un uomo, crede comunemente di acquistarne le caratteristiche fisiche e morali. Fin qui abbiamo cercato di provare due fatti apparentemente contrastanti: la strenna siciliana del 2 novembre era inizialmente un' offerta alimentare per i defunti: le pupe di zucchero e le paste di miele raffigurano i defunti stessi. (...) Se teniamo conto, ora, del fatto che la notte del 2 novembre, oltre a dolci antropomorfi, in Sicilia ne vengono preparati anche non figurativi, si potrebbe concludere che gli uni rappresentano il cibo dei morti, gli altri i morti stessi. Mangiando, quindi, i morti, ma a loro volta vengono anche ritualmente mangiati. La forma umana delle pupe di zucchero può venire spiegata anche diversamente. I Romani, durante le Compitalia, feste dedicate ai Lari, offrivano a Mania, madre o nonna degli spiriti, delle pupattole di lana (oscilla), le quali si appendevano una per ogni persona, sulle porte di casa o nei quadrivi. Questo si faceva in relazione alla credenza che in quel giorno gli spiriti dei morti errassero per il mondo, sperando che essi prendessero le effigi sulla porta lasciando le persone della casa. è quindi, possibile che le pupe di zucchero siciliane inizialmente avessero la stessa funzione delle oscilla offerte agli spiriti dai Romani. Ma come osserva il Bayet, le oscilla con tutta probabilità raffiguravano semplicemente i Lari. Per concludere, dunque, crediamo si possa affermare che il significato della strenna siciliana dei morti è duplice. Da una parte essa rappresenta un' offerta alimentare alle anime dei defunti, dall' altra un chiaro esempio di patrofagia simbolica; nel senso che il valore originario dei dolci antropomorfi appartenenti a tale strenna, era quello di raffigurare le anime dei defunti, in maniera che cibandosi di essi, era come se ci si cibasse dei trapassati stessi. (...) L' importanza dei dolci figurativi di cui discorriamo, oltre che demologica è anche artistica. Pienamente essi ci rivelano, insieme ad alcune tradizionali credenze, le predilezioni e il gusto artistico del popolo e le sue concezioni figurative. Diciamo delle pupe di zucchero. Si tratta di statuine di zucchero chiarito, la cui semplicità di forme, dovuta agli stampi con i quali vengono eseguite, è vivificata da tinte sgargianti e vivaci, non diversamente dagli altri prodotti degli artigiani popolari siciliani. Grande è il loro effetto decorativo, e non di rado, oltre a servire come strenna per i fanciulli, vengono usate almeno per il tempo che resistono, come soprammobili. Alcune di queste figurine si impongono a volte come un fatto d' arte di notevole portata, sia per il felice dosaggio dei colori che ricordano quelli dei pannelli dei carri, ma senza possederne la violenza, sia per la grazia e l' immediatezza figurativa. è proprio questa grazia, spesso un po' affettata, a denunciare le origini probabilmente settecentesche dei temi di alcune di esse. Essa ci riporta, infatti, mentalmente a quei biscuits raffiguranti dame, cavalieri, ballerine, tanto cari al Settecento lascivo e galante.
ANTONINO BUTTITTA