Cartesio


Non c'è nulla interamente in nostro potere,se non i nostri pensieri.
Cartesio

domenica 1 novembre 2009

Integrazione e Fede: una occasione mancata.


Doveva essere un confronto sulla realtà dell’enclave musulmana di Mazara, un dibattito che aprisse,finalmente, uno spiraglio di luce nella nebbiosità dell’indeterminatezza, che aiutasse a comprendere e avere contezza di quelli che sono le effettive esigenze della comunità maghrebina, la quale si trova a relazionarsi con la popolazione locale in una ambigua integrazione non comunicante. Le intenzioni, per quanto nobili, se non supportate da un percorso chiaro, possono dar luogo a dibattiti, per quanto interessanti, inutili rispetto agli obiettivi prefissati. E’ quanto successo con il tanto atteso dibattito, su “ Islam e occidente: dialogo possibile o scontro inevitabile?” organizzato dal periodico L’Arco diretto dal Prof. Onorato Bucci e dall’Associazione Arco-baleno onlus presieduta dal Prof. Giuseppe Fabrizi. Relatori il Prof Onorato Bucci, direttore dipartimento di scienze giuridiche e sociali dell’università del Molise e il Prof. Abdel Karim Hannachi, docente di lingua araba dell’università di Catania. Dibattito arricchito dalla presenza di S.E. Mons. Domenico Mogavero vescovo di Mazara, e di S.E .Mons. Vito Rallo, N.A. in Burkina Faso e Niger.
Il tema era di per se affascinante anche se eccessivamente abusato negli ultimi tempi:( L’Islam in Occidente di Tariq Ramadan, la Solitudine dell’Occidente di Fouad Kaled Allam, L’Islam è compatibile con la democrazia? Di Renzo Guolo). Ci si aspettava un dibattito che aprisse la strada ad un progetto culturale e politico verso l’integrazione reale della comunità musulmana di Mazara. Invece, da parte dei due interlocutori si è preferito percorrere la via degli stereotipi già trita e ritrita nei numerosi dibattiti, convegni, talk show sul solito refrain Islam e cristianesimo, Islam e democrazia, con Corano, hadith, scuole coraniche e Sharì’a per condimento. Si è dato sfoggio di grande erudizione, ma nessuna proposta progettuale di come possa realizzarsi un processo di integrazione a partire dalla analisi della comunità tunisina di Mazara. Esiste una percezione del disagio all’interno della comunità tunisina? Quali le cause? Come affrontarle e proporre ipotesi di soluzione? L’integrazione presuppone una perdita di identità? Che cosa si intende per identità? Essa è statica o dinamica? L’identità è legata alla formazione culturale o alla tradizione dei padri? Si ha il diritto di praticare con dignità la propria fede? Sono domande che attendono una risposta. La comunità tunisina di Mazara vede con apprensione gruppi di giovani che si trovano in rotta di collisione con la società che li ha accolti o dove sono nati? In questo contesto, una parte di giovani si trova sempre meno a proprio agio .Spesso la provocazione di alcuni gruppi, crea problemi di sicurezza e di legalità, divaricando le distanze tra la popolazione autoctona, sempre più impaurita o addirittura intimidita, e i giovani immigrati sempre più aggressivi. Tra questi cresce la percezione di essere esclusi e discriminati dai gangli sociali, a causa dell’elevato tasso di disoccupazione, di dispersione scolastica e di inserimento nel mondo del lavoro. Di fronte alla difficoltà di vivere la disuguaglianza e l’esclusione, questi giovani sono tentati di ripiegarsi nelle radici identitarie dei loro padri. E’ su queste problematiche che si dovrebbe sviluppare un dibattito sociale e politico su come affrontare il processo di integrazione dei musulmani, pur con tutte le difficoltà dovute al fatto che non vi è un interlocutore ufficiale della comunità musulmana. A questo dovrebbe servire la figura del consigliere aggiunto in Consiglio comunale o dei vai mediatori culturali. La sfida da sostenere è quella di eliminare ogni motivo, per i giovani musulmani, di sentirsi malgiudicati e di affrontare la discriminazione nel mondo del lavoro. L’altro aspetto che non si può eludere è quello della pratica religiosa. In una città caratterizzata da una convivenza pacifica e reciprocamente rispettosa tra popolazione autoctona e comunità maghrebina, occorre ripensare in maniera responsabile sulla possibilità di aprire una vera moschea, al posto di inidonei locali di preghiera, in modo da riconoscere il loro culto e il diritto di praticarlo in maniera dignitosa. Una moschea che sia realmente radicata nella realtà locale, che viva i mutamenti sociali e demografici dei musulmani, senza richiudersi nel bigottismo e nel radicalismo fondamentalista. Una moschea che sia inserita del tutto in un sistema di progresso e di modernità, in cui si possa educare, nello spazio delle pratiche religiose, alla libertà e alla convivenza, alla solidarietà, e al riconoscimento dei diritti fondamentali. Un ruolo importante dovrebbe assumere in proposito l’autorità tunisina attraverso la sua capacità di controllo e di filtro. E’ in questo contesto di modernità che la moschea assume anche una valenza di positività sociale. Non si può parlare di integrazione se si vieta alle persone che hanno una fede di esprimerla pubblicamente ma al contrario si chiede loro di riservarla nella sfera privata.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Molte delle cose trattate nell'articolo sono condivisibili.
Però, secondo me, c'è un errore di fondo. L'autore parla di "comunità musulmana". A me risulta che a Mazara ci sia, invece, una numerosa comunità tunisina. Tutti sappiamo che, agli inizi dell'immigrazione, l'aspetto religioso sia rimasto sempre in secondo piano, ammesso che ci fosse. Col tempo, specie dopo la 1^ guerra del golfo, hanno cominciato a diffondersi segni di identità religiosa anche nella nostra città: veli hanno cominciato a fasciare i visi delle donne tunisine ( non di tutte ) qualche muezzin s'è cominciato ad udire ed in qualche locale s'è iniziato a pregare verso la mecca, al nord questo processo è stato più rapido perchè il rozzo rifiuto di matrice leghista ha fatto sì che gli immigrati, chiusi in sè stessi, abbiano trovato solo nell'iniziativa religiosa degli iman, molti improvvisati, un'occasione di aggregazione. Ora, che questi concetti possano svilupparsi in un consesso ove presenzino alti prelati cattolici non mi pare facile. La Chiesa, infatti, ha l'interesse a sostenere che 'ibi societas, ibi religio'; io, nel mio piccolo, infimo convincimento rimango convinto che le religioni, per definizione, sono incompatibili fra di loro: ciascun fedele di ciascuna confessioone infatti è convinto che solo il suo credo sia l'unico ammissibile..ora,finchè la dimensione religiosa rimane privata, non c'è problema, ma quando deborda nel pubblico si arriva per forza allo scontro. Ora parlare d'integrazione partendo dalla religione, cioè dal fattore di maggior divisione tra popoli diversi mi sembra un approccio più che sbagliato, assurdo!