Cartesio


Non c'è nulla interamente in nostro potere,se non i nostri pensieri.
Cartesio

martedì 18 novembre 2008

Eluana Englara


Monsignor Giuseppe Casale, ex arcivescovo di Foggia, ha rilasciato sul caso Eluana Englaro due interviste: a Il Messaggero e a L’Unità.Le riporto entrambe, anche se presentano qualche ripetizione.

da Il Messaggero 17 novembre 2008

Vescovo Casale:
«La sua vita non è piena, inutile accanirsi»

di Franca Giansoldati

CITTÀ DEL VATICANO (15 novembre) - Carità, comprensione, pietas. Sono parole che ripete più e più volte pensando a Eluana. Monsignor Giuseppe Casale, classe 1923, ex arcivescovo di Foggia è una voce fuori dal coro che, con coraggio, preferisce arrestarsi davanti al grande mistero della morte. Da pastore lui si rifiuta di dare giudizi, di emettere condanne. «Di fronte a questo grande mistero dovremmo avere tutti più rispetto e attenzione. Soprattutto lasciare la possibilità agli interessati di decidere in modo chiaro e sereno».

Dunque lei è favorevole al testamento biologico?
«Sì senza dubbio. Io sono per una vita piena. Nel caso di persone costrette allo stato vegetativo permanente, dico solo che ci si accanisce sulla vita. Eluana vive perché alimentata artificialmente. La sua è una vita ridotta al minimo, non è una vita piena, è vita vegetativa».

Ma è sempre vita.
«Mi interrogo e mi chiedo: davanti a casi simili si può parlare di vita umana, intesa come esistenza piena di relazioni? Noi sappiamo che esistono ammalati gravi, gravissimi, che al contrario possono interagire, farsi ascoltare, essere toccati, reagire, amare, avere sensibilità: ecco, questa per me è ancora vita, per il resto si può solo parlare di stato vegetativo. Posso capire, accostandomi con pietas cristiana, la decisione di un padre davanti ad una figlia in quello stato».

Lei contesta l’accanimento terapeutico?
«Io osservo solo che tutto questo chiasso, la solita battaglia tra guelfi e ghibellini, impedisce di fatto una riflessione serena, che in Italia sarebbe importante. E invece si litiga e alla fine, purtroppo, si perde di vista un aspetto importante: che l’alimentazione artificiale, come quella somministrata dai medici ai malati in stato vegetativo permanente, è una forma di accanimento, se la si toglie provoca la morte. Pertanto, forse, non si può più parlare di eutanasia. Penso che bisognerebbe definire al più presto il problema del testamento biologico, contenente le ultime volontà di vita».

Cosa direbbe al signor Englaro, se lo avesse davanti?
«Lo abbraccerei, gli farei arrivare la partecipazione con la quale, a distanza, l’ho accompagnato spiritualmente in questo calvario, da quando è iniziata la malattia della ragazza, sino al dramma successivo. Il mio augurio è che possano arrivare la pace e la serenità, sia per Eluana che per lui. Pregherò per loro».

Staccare l’alimentazione e l’idratazione non è eutanasia?
«In questo caso alimentazione e idratazione si possono parificare ad un accanimento terapeutico. E poi comunque, quando c’è un consenso alla base. Voglio dire che il padre sapeva bene che cosa avrebbe voluto la figlia medesima».

Lei ricorrerebbe a disposizioni ben precise nel caso dovesse trovarsi in condizioni analoghe a quelle di Eluana?
«Certamente. Per una persona che crede, e io credo in Dio onnipotente, la fine della vita non è “la fine” ma solo il passare da una condizione all’altra. Per un cristiano non è la morte totale. Se mi ritrovassi in una situazione analoga, non vorrei che mi alimentassero artificialmente con le macchine. Noi continuiamo a fare battaglie per la vita, come se la morte terrena fosse la fine della persona, e invece si schiude una esistenza nuova».

Decisamente controcorrente.
«Credo nell’immortalità dell’anima e nella resurrezione dei corpi. Non so cosa il Signore mi riserverà, ma non vorrei nessun accanimento. Spererei solo di avere accanto a me persone care, cui affidare parole di speranza, nella certezza che ci si rivedrà nel Signore. Noi continuiamo a fare un errore grossolano...».

Cioè?
«Vedere la morte e la malattia grave con l’occhio della tecnica, mentre dovremmo accostarci al nostro spegnimento come un passaggio, non dunque come un pericolo, una mannaia».

Intervista rilasciata all’Unità 16 novembre 2008

Monsignor Casale:

«La vita è relazione: basta accanirsi»
L'ex arcivescovo di Foggia ha le idee chiare:
«lo credo che nel caso di Eluana si debba lasciare agli interessati

libertà di decidere in modo sereno»

di Federica Fantozzi

«La vita è relazione, non un fatto biologico. Nel caso di Eluana si parla di stato vegetativo, e non è opportuno accanirsi». È l'opinione controcorrente di monsignor Giuseppe Casale, ex arcivescovo di Foggia. Che invita il Parlamento a esprimersi «con saggezza: una legge sul testamento biologico potrà evitare casi analoghi».

Il silenzio invocato da Beppino Englaro non è mai sceso. Anzi, si moltiplicano le pressioni per dissuadere il Friuli ad accogliere gli ultimi giorni di Eluana. Perché?
«Noi in Italia ragioniamo di alti problemi dimenticando le persone. Ci schieriamo in partiti come guelfi e ghibellini tralasciando di lavorare per soluzioni concrete. Così la politica diventa difesa aprioristica di punti di vista».

Fa eccezione il governatore friulano Tondo, che comprende il dolore della famiglia. Pur facendo parte di uno schieramento, il Pdl, contrario alla sentenza.
«È così, è vero. Il punto è che bisogna guardare la realtà di questa giovane da anni in una situazione difficile. E guardare la realtà del padre depositario della volontà da lei espressa in senso contrario all'accanimento terapeutico».

C'è chi mette in dubbio la volontà di Eluana: mancherebbe la «piena consapevolezza».
«Come si fa a dubitare di un padre che sembra persona seria e preoccupata? Come si può pensare che tiri in ballo una fandonia? Mi sembra così pregiudiziale tutto questo».

Secondo lei, le cure a Eluana configurano accanimento terapeutico?
«La questione di fondo è proprio se dopo tanti anni sia opportuno interrompere cure che sono un accanirsi sul corpo di una ragazza in coma irreversibile. Io credo di sì e che si debba lasciare agli interessati libertà di decidere in modo sereno».

Anche di interrompere l'alimentazione artificiale?
«La mia opinione è che la nutrizione forzata vada considerata come cura. Se non nella sostanza, almeno nella forma: viene erogata con tubicini, attraverso espedienti. È un'operazione non naturale ma collegata a interventi medici, solo grazie ai quali Eluana vive. Attardarsi dietro la distinzione tra terapia e alimentazione mi sembra, se non un sofisma, spaccare il capello in quattro».

Su questo sofisma presto dibatterà il Parlamento. Prevedibilmente, in modo aspro.
«Speriamo che ragioni con saggezza. Al di là degli scontri e delle posizioni precostituite. Servirebbe un sussulto di dignità perché una legge sul testamento biologico potrà impedire casi del genere».

Non solo la politica ha opinioni restrittive. Anche la Chiesa si è fatta sentire In modo pressante. Dalla Santa Sede alla Cei ai movimenti più oltranzisti.
«La Chiesa si sente di dover difendere grandi principi e la prima reazione è tenere fermo il cammino. Nella sua storia ci sono sempre stati due momenti: il primo per erigere una diga che fermasse riflessioni reputate pericolose per la vita sociale. Nel secondo momento sono arrivati riflessione e discernimento delle novità giuste da quelle sbagliate».

Significa che la Chiesa si aprirà sui temi bioetici?

«Faccio un esempio storico. Dopo Pio IX è arrivato Leone XIII con la Rerum Novarum. Di fronte ai grandi movimenti di opinione la Chiesa si è sempre comportata così».

Ha avuto contatti con il signor Engiaro?
«No. Studio, lavoro, prego. Spero che la cosa si risolva con serenità. Non è una battaglia di opinione: è la difesa di chi soffre».

Si spegnerà una vita?
«La vita è relazione, non un fatto biologico. In questi casi si parla di stato vegetativo. Quella di Eluana non è una vita piena, è ridotta al minimo».

Soffrirà?

«Secondo i medici non dovrebbe».


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